La vita è un’avventura di Louis Braquier, recensione di Elio Ria

“La vita è un’avventura – Il poeta meticcio” di Louis Braquier, trad. di Bianca Fenizia, Round midnight ed. 2015, recensione di Elio Ria: la fatica del vivere nei versi di Braquier.

    

    

Il mare, il porto, la città, gli uomini e le donne, i vicoli, le piazze, i locali, esprimono un incanto poetico nella silloge La vita è un’avventura di Louis Brauquier (traduzione a cura di Bianca Fenizia), round midnight edizioni.

Marsiglia è città portuale, luogo di approdo e di partenze, dove «Tutte le forze della Terra / Sono qui». Il porto consuma ogni giorno risse e divertimenti, incontri. Qui «La forza delle ragazze prosperose, / Che nella notte chiamano dal marciapiede» si mescola con il sudore degli uomini faticati dal sole e dal mare, con l’alcol che scorre nelle vene, con i giocatori che si appigliano alla fortuna delle carte nelle bettole del porto, con le speranze perdute ma sempre sul punto di venire ritrovate. Città unica al mondo. Ha un fascino irresistibile che nelle turbolenze degli istinti umani dà sfogo all’avventatezza. Città speciale non solo del Mediterraneo, ma del mondo: periferia e centro del mare con le parole al vento e i molteplici linguaggi incrostati di esperienza di vita. Città che assorbe e rigetta, custodisce le frasi fatte e i cinismi introiettati nel sangue dei marinai.

Brauquier delinea la fatica del vivere di una città di mare e dei suoi (anche) occasionali frequentatori. Porta sempre aperta per le entrate e le uscite in cui l’inquietudine esistenziale è abilmente soffocata nella spensieratezza del vivere ma soprattutto nelle azioni rimando alle regole della quotidianità, in cui l’avventura della vita è l’unica prospettiva di sopravvivenza. La sua poesia rifugge dalle tentazioni metaforiche e dalla tendenza letteralistica che fa del linguaggio e del gioco dei significati un universo testuale a sé. Essa propugna un’idea di poesia come mezzo di approdo e di conoscenza del «vissuto» sensibile del «semplice». Nel testo La puttana non vi sono suggestioni o moralismi, cadenze ritmiche, ma soltanto la realtà di un «vissuto».

È enorme, come un’otre di lussuria,
Con tutta la sua carne esposta e marcia,
Cammina sui marciapiedi di rue Bouterie
Tra i tanfi penetranti delle vetrine.

La sua voce rauca logorata da sbronze appassionate
Canticchia senza tregua un motivo nostalgia;
La sigaretta pende dalle sue labbra sformate,
Un nastro verde sulla fronte le tiene l’acconciatura.

Passeggia impassibile in mezzo ai debosciati,
Senza sospettare di essere sognata ancora nelle notti
[calde
In tutti gli interporti, e che i marinai

Dal Mar Baltico allo Stretto di Formosa,
Vagano ciecamente nei loro desideri lascivi
Per la risata italiana e la sua camicetta rosa.

La dannazione di instabilità del marinaio, dovuta al suo peregrinare nei mari di tutto il mondo, nel testo di Brauquier assume una connotazione di bellezza della nostalgia con oscillazioni di perdizione. L’avventura della vita è dunque movimento: liturgia dell’inferno per un’idea futura di paradiso, non in funzione onirica bensì in un agire di infinite libertà che si pongono fuori dell’ufficialità delle buone maniere, in cui prevale appunto il fascino dei porti, degli usi e costumi della gente, soprattutto delle donne, tanto da intravedere in alcuni testi l’ombra di Verlaine, seppure con toni morbidi e di eleganza sensuale, ad esempio in Le mani:

Le sue due mani, le dita sinuose, formano le coppa
Dove si raccolgono i prodotti del mio frutteto,
Ormai quieti nella profondità delle sue cosce.

Foglie di fico proteggono la sua tunica,
In cambio di succhi dorati, perle di resina.

Mani sagge, mani capaci, mani che conosco
E così dolci che si desidera essere questi frutti
Stagionali, non si dovrebbe vivere che qualche ora
Nelle loro carezze e nel calore del ventre divino.

Mani tenere, avvolgenti e materne.
Amorevoli, ancora!

O Vera grazia!
Tu risorgi dalle acque morte della memoria.

Il poeta è alla ricerca di un ordine, configura nel disordine dell’avventura della vita un misticismo, centrato su un’operazione alchemica della Parola verso la purezza. I panni sporchi della vita vengono lavati da Brauquier attraverso il candeggio della parola che nelle sue forme di poetica odorano di pulito, rimessi a posto per un’altra avventura che li porterà inevitabilmente a macchiarli. Allora ogni identità umana assume una sovra identità celebrata sì nei tanfi e nelle sporcizie del luogo ma depurata dalla Parola che fa affiorare l’inquietudine e il dolore visibile dell’uomo che non giungerà mai alla completezza della propria esistenza in uno sfondo di complicità «universale», in cui ciò che è personale confluisce nella collettività, eliminando ogni forma di resistenza di fronte alla felicità delle cose semplici buone o cattive. Nella marginalizzazione di un luogo si impone una forza dirompente di vivere la vita fuori dagli schemi sociali, in un benessere interiore «sporco» che dà però sollievo, gioia di vivere che si mostra nel suo splendore delle bellezze della diversità. La diversità è una ricchezza: Brauquier intuisce l’importanza di guardare dentro di essa, dentro le storie degli uomini impresse sui propri visi, nelle nostalgie di altri porti, da un punto privilegiato – o meglio da un altro luogo – la poesia. La diversità non deve essere intesa in chiave negativa né deve generare paura e sospetto. Esiste nelle invenzioni che ogni uomo vuole darsi per non fingere e disegnare il tracciato originale della propria vita, si configura e si formalizza nelle azioni anche spericolate, ma nel silenzio di una continua riflessione dell’inquietudine umana fintantoché non emergerà qualcosa che farà sorprendere la vita stessa.

Il poeta marsigliese osserva e si compiace di quanto riesce a percepire, ad annusare, a proiettare immagini e corpi in una dimensione della realtà che non chiede di essere formalizzata da inutili moralismi, ma chiede soltanto di essere compresa per quello che è in realtà, senza l’aggiunta di edulcoranti poetici e sofisticati sofismi, con semplicità, anzi con il gusto della semplicità da bere tutta d’un fiato. Un’operazione che può sembrare scontata, invece è tutt’altro, richiede prova di intuizione, di divinazione, per riuscire a scoprire affinità e rispondenze fra tante diversità che nella loro consacrazione poetica – attraverso la dissoluzione di rigorosi schemi sintattici, di rime, di assonanze, allitterazioni – vibrano di avventura e non annegano nel fatalismo, acquisiscono invece centralità esistenziale evitando accuratamente di cadere nella indefinita preghiera della speranza. Realtà e non sogno: questa è la poesia di Brauquier, in cui il dato reale non è mai approssimazione anzi è sorprendentemente realtà di «Uomini venuti da altri porti / Affacciati come il mio su un nodo del mondo».

In Distesa sterile spiega la sua vocazione di cacciatore di parole, quelle giuste che non complicano ma semplificano, restituendo al pensiero l’innocenza che esse possiedono prima di essere usate e abusate, scritte per significare la giustezza dell’idea di un verso. La sua poetica volta a rappresentare la realtà e a dare un senso all’apparenza delle immagini, distinte dall’inganno illusorio dell’immagine, fornisce tra l’altro una lucidità logica e argomentativa nella sorveglianza della forma e della descrizione della glorificazione della realtà. Si può certamente affermare la sua vicinanza con Baudelaire e Rimbaud per gli slanci di speranza e di desiderio di bisogno di verità, basato sul valore salvifico dell’atto poetico che in qualche modo compensa l’assenza delle divinità, ma in un rapporto costante sulla «verità di parola» e non sull’accettazione del caso.

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