Landai, rubrica di Marco Ribani: Antonio Devicienti.
Continua il ciclo dedicato a poeti e poete che hanno fatto del Landay una forma di espressione di alto livello. In questo numero ospitiamo i landais di un uomo: Antonio Devicienti.
Antonio Devicienti, di origine salentina, collabora con Cartesensibili e Compitu re vivi; suoi interventi sono presenti sulla Dimora del tempo sospeso, Samgha, Poeti e poesia, L’immaginazione. Gestisce il blog personale Via Lepsius ed ha pubblicato Linea borbonica (LietoColle 2011) e Torrido (in Opere scelte, Fara editore 2014).
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1.
Sono palo di telegrafo:
tu pure, sorella: fila di tremiti.
Di palo in palo la voce
rivibrando raggiunge l’orecchio del mondo.
2.
Siamo tutte lune rinchiuse
nella stanza degli orchi. Che buio in cielo!
3.
La montagna chiama il latte
della donna per proteggerlo, onorarlo.
Avessi gambe di luce
correrei alla montagna, fortezza femmina.
4.
Sette giorni e saprò, sette
notti. Mi scalci dentro: maschio o condannata?
5.
Oh gelsomino a Kandahar!
Amore che manchi, amore non dato, strazio!
6.
Sento la testa di mia figlia
tra le gambe: 12 anni 6 mesi e 7 giorni
che lui l’uccise. C’è la testa
di mia figlia tra le mie gambe che nasce:
12 anni 6 mesi e 8 giorni.
7.
Di gelsomino ti profumi
le mani, figlia folle, per lui il profumo,
per lui che con il coltello ti
segnò le cosce e tu, folle, non ricordi.
8.
Scrivo con la voce, leggo con
le orecchie, ricordo con la pelle, canto.
9.
Nella petraia i sassi ardono
quando i cavalli si accoppiano a Samarcanda.
L’amore incendia la terra.
Ah, maschio, sapessi tu coglierne il gusto…
10.
Questo landay è cantato da una donna dalla lingua mozzata:
“… m m m n m n … “
Sua cugina così traduce:
“Io sono suono anche muto,
io risuono, soffio dalla mente suoni blu”.
E sempre la cugina canta il suo landay:
“Questo blu del cuore sfolgora
nella bocca accesa dalla sete-fame.
Mangiamo sillabe di canto
e beviamo le voci delle sorelle”.
Poi tace mentre si avvicinano gli uomini per il pasto di mezzogiorno. Mangiano separati dalle donne.
11.
Questo landay è cantato da un’Occidentale:
“Ti credi forte se mi picchi –
di pugni e di calci lavori debole
maschio amore di mamma
di sputi e di morsi lavori stupido
gigante di segatura”.
12.
Il fiume, quasi in secca, porta via il sapone con cui le donne hanno appena lavato i panni. Un albero femmina canta movendosi piano al vento che sale da Kabul:
“Sorelle in questo vento di
guerra, sorelle: apritemi i rami c’è
il sale delle vostre labbra
mentre scorre, mentre avanti e indietro
col corpo ondeggiando vostro
figlio canta il Corano e voi pensate:
dolcezza che pur diventerai rozzo maschio!
Dolore e rabbia, bambino
che ora segui bellezza di scrittura, di canto,
dolore e rabbia dentro me
e tu, tutto canto, devierai in bruto”.
13.
Dio, segni anche tu col ferro
le tue angele, le chiudi di buio, le batti?
14.
Una profuga nel campo ospedale canta tra sé e sé:
“Tornerò nella casa delle
catene? Qui non esisto né lì: velata (negata)”.
15.
Quest’ultimo landay riflette sul fatto che un Occidentale, sul garantito tavolino dello studio di casa, inventi landays che sono, invece, voce straziata e ferita di chi soffre, segregato ed offeso:
“Fa sentire buoni e giusti
questo canto solidale e indignato.
Ma c’è uno sguardo in esso,
occhi dentro occhi, perché, pur segregata,
li vedo i tuoi occhi, sorella”.
sembrerebbe più importante ancora perché è la voce di un uomo, ma la sensibilità e la consapevolezza sono prerogativa della persona, a prescindere dal sesso.
gridano e graffiano, questi landays, e richiamano lo sguardo su un dolore che nasce sempre dalla sopraffazione. grazie Antonio.
e non aspettatevi di averli solo qui, anche in cartesensibili c’è una pagina dedicata ai Landays e vorrei portarli anche lì. Grazie di questa preziosa anteprima. fernanda f.
Una poesia efficacissima e radicale quella di Antonio Devicienti, i cui versi leggo per la prima volta, perciò preziosa nel panorama poetico contemporaneo.