L’Anima aggiunta di Stefano Iori, recensione di Gabriella Modica

L’Anima aggiunta di Stefano Iori, edizioni SEAM, recensione di Gabriella Modica.

    

   

Nella sua introduzione a “L’Anima aggiunta” di Stefano Iori, per le edizioni SEAM di Roma, Beppe Costa sottolinea quanto sia importante nella poesia “un testo che a ogni lettura ti fa scoprire qualcosa non notata prima che si incontra e unisce a qualcosa di comune a tutti. Poeti e non”.

Ognuno di noi ha un diverso senso dell’osservazione.
L’osservazione è una nobile potenzialità dell’uomo, specialmente quando viene esercitata nell’ambito della ricerca della bellezza.
Osservare, per trovare la bellezza che abbiamo intorno. Oggi la ricerca della vera bellezza è divenuta un’arte marziale da educare, affinare, riscoprire giorno per giorno in noi stessi e in ogni essere umano, sebbene una parte del mondo odierno conosciuto per certi versi sia decisamente brutto.
È un’arte marziale perché ciò che certa parte dell’umanità sembra temere più di ogni altra cosa è la vera bellezza. Va così, ha perso l’abitudine di riconoscerla. E allora il punto è che bisogna armarsi di bellezza, recuperandola ovunque sia possibile, e restituirla ovunque sia possibile. Produrre e donare bellezza. Pubblicamente ma anche in incognito.
Stefano Iori, secondo l’avviso di Chi Scrive, è un fine intenditore di bellezza. Insomma, un guerriero.
L’atto poetico, implica il continuo peregrinare per l’animo umano e non, e il più delle volte senza saperlo, cura le ferite di intere civiltà.

Fiato

Agire le cose fuori
Agire le cose dentro
Agire alto e basso
Agire, agire, agire
fin che fiato ci regge

Quando si fa del tempo di rappresentazione, quello fittizio in cui sembra si possa soltanto correre, il cardine della propria esistenza, non si fa altro che delegare a una qualsiasi scusa la mancanza di energia da utilizzare per un cammino più consono alle proprie reali esigenze.
La poesia è immune da questo, sia perché è la quintessenza dell’atto di volontà, e sia perché rimette in equilibrio quelle regioni sconosciute alla comprensione razionale, che appartengono all’essere umano e che ne determinano la buona salute.
È come se, col suo semplice esistere la Poesia dicesse al suo fruitore: So esattamente cosa ti accade, cosa senti, cosa non dici. Ci sono e per questo, ci sei anche tu.
La Poesia è l’entità della parola. In certo senso è il risultato individuale di un pensiero collettivo. Lo è nel bene, nel male, e nell’insondabile.
È ritmo, respiro, pausa. Non c’è altro da aggiungere: la poesia è (anche) armonia.
E lo è anche quando ci appare sgradevole, o quando ne sconosciamo i segreti strutturali, o le misteriose potenzialità.

Nella cultura ebraica le parole rivestono un’importanza basilare. Segno, suono, respiro, attenzione, sospensione, fiato, ma anche silenzio e ancora enunciazione, intenzione, pensiero che attraverso la parola si fa materia. Questi elementi, nella cultura ebraica sono sacri.
La poetica di Iori coglie efficacemente quei momenti in cui la dialettica tra l’uomo e l’ambiente circostante investono la comunicazione non verbale. Esattamente come accade ai veri cultori del silenzio, che recuperano in sé la simbologia nascosta in ogni avvenimento, e la raccontano, come metafora di un cammino dell’esistenza, fatto di tentativi, fallimenti, ancora intenzioni, cadute e risalite, opposti e incontri.

Non è la prima volta che Chi Scrive s’imbatte in versi coraggiosi, che analizzano la questione della fede in un modo così incisivo. E anche qui, la riflessione sulle tradizioni, gli atteggiamenti dei detentori dell’una e dell’altra sapienza, o dell’una o dell’altra profezia o dell’uno o dell’altro pensiero cosmico ma comunque unilaterale, nei confronti delle altre sapienze o dell’individualità del libero cercatore del proprio destino, seppur con la rispettosa devozione, si mostra come una decisa dichiarazione d’indipendenza:

da Occhi ciechi dell’indovino


Non tollero la resa
Affronterò il destino
con passo di gazzella
e grazia di farfalla,
occhi ciechi di talpa
e coraggio di mangusta

Il bisogno di purezza, di depurazione, di disintossicazione è una costante dei versi di Iori.
È tonificante la lettura di questo invito cadenzato all’attenzione, alle parole che si dicono e che si pensano, all’esercizio continuo del trasformarle, del filtrarne le scorie entro fine giornata, lasciandone con grazia i barlumi di gentilezza ad accogliere il nuovo giorno che deve arrivare.

Profumo di pulito

Non resta che smaltire
la polvere dell’odio
e infine ritirarsi
in orti da curare,
ben vigili nel fare,
attenti ad ascoltare
Pulito dalla lotta
forse vinta, forse persa
Pulito dalla storia
mutata in fiaba
da sogni gentili
Non più adombrato
da ottusa boria
Buono sapore
Bello colore
Persino il rimpianto
mi lascia con garbo
Profumo di pulito

da Di giorno in giorno


Lavoro ogni giorno
per non conservare,
per non far della vita
un mucchio di scorie,

La silloge è nel suo insieme la narrazione di una evoluzione verso l’infinito, inteso come infinite possibilità di sperimentarsi, di rinominarsi addirittura, nel cammino di un’esistenza. Ed è un cammino che parte in modo garbato, mai pesante, mai pervaso di egocentrismo, caratterizzato da una serena leggerezza, che è quella che appartiene alla vera sapienza, alla Poesia che esercita sapientemente il suo ruolo.

Il tino dei miracoli

“Non dovuto”,
fulgore d’imprevisto,
vai lasciato fermentare,
fintanto da addolcirti,
come acino nel tino
Via così l’amaro del consueto,
le lacrime del caso,
insipide all’eccesso
“Non dovuto”
colto al volo,
abbracciato per gioire
in santa trasparenza,
nel codice nuovo
del miracolo sperato.

Il caso e l’imprevisto, sono quelle combinazioni di eventi che per alcuni sono di ostacolo ai propri progetti. Secondo altri punti di vista sono il segno tangibile del fatto che quanto desideriamo si sta compiendo.
Bisogna credere all’imprevisto. E bisogna farci caso: il più delle volte l’imprevisto sovviene per impedirci di andare in una direzione deleteria. Quando si ha l’abitudine di chiarire a se stessi il contenuto e l’utilità di ciò che si desidera, allora il numero di imprevisti aumenta considerevolmente (o forse ci si presta più attenzione), e ad un certo punto l’imprevisto diventa una sorta di vecchio amico che si attende per comunicarsi a vicenda gli aggiornamenti sui propri progetti.
Ed è un codice benefico, la dimestichezza con l’imprevisto, perchè lascia che tutto si trasformi continuamente, portando a traguardi di libertà il contenuto delle più antiche sapienze, che di questo per l’appunto parlavano ai loro albori.
L’ermetismo cui si riferisce Iori in alcuni versi della silloge rimanda sia alla tradizione, sia a una lettura nuova dello stesso: ciò che non viene compreso va visto e rivisto sotto ogni forma esso ci si presenti, e accompagnato dalla convinzione che esso contiene delle chiavi importanti e utili alla nostra evoluzione umana, dove il termine evoluzione va inteso a tutti i livelli, e non solo ad una aulica elevazione spirituale, espressione ormai abusata, ma quanto mai ricorrente.

Da Un altro Sol(o)e

Che viene a me
dal gusto del fare?
Un filo d’erba
mi ha risposto
in segno di speranza
Il vento l’ha spostato
mentre coglievo un fiore
Il giallo ranuncolo
morrà tra le mie mani,
il verde stelo oscillante
vedrà un altro sole,
a dire del miracolo
per nuovo tempo ancora
Potevo essere morto

Ciò che rende così godibile questa silloge è la risoluta volontà di cantare la bellezza della vita, nel vero senso della parola, anche tra gli ultimi versi, dove ci si aspetta un cambiamento, una evoluzione nell’uno o nell’altro registro. Il motto sembrerebbe l’antico detto orientale “Guarda il sole, e l’ombra ti cadrà alle spalle”. Si potrebbe obbiettare che non sempre si riesce a vedere il sole, nel nostro cammino di vita.
Ma come dicevamo all’inizio, bisogna esercitare l’osservazione, espanderla a tutto ciò che si ha intorno, sollecitarne il potenziale. Questo è l’unico modo per aumentare la possibilità che attraverso la nostra osservazione si possa scorgere la luce, e illuminare la bellezza del mondo in cui ci troviamo.
La Poesia di Stefano Iori è quell’Anima Aggiunta che dà il titolo alla silloge:

Anima Aggiunta

Altro da me,
l’anima aggiunta
lavora da sola
Mi scrive e mi dice
con fare garbato
La penso e non c’è,
mi volto e lei ride
Il bello – sapete? –
è che lascia i suoi segni

COPERTINA fronte

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