Le Geometrie precarie di Luigi Paraboschi

Note di una lettrice a le “Geometrie precarie” di Luigi Paraboschi, ed. Helicon 2009, di Claudia Zironi.

 

Nonostante il titolo dell’opera “Geometrie precarie”, non e’ la matematica dell’incompiutezza terrena di Borges o le figure visionarie di Escher che ritrovo in questi scritti di Paraboschi. Le sue geometrie tendono a rappresentare la compiutezza del Disegno, in fantasiose similitudini che regalano la vita ai freddi tratti delle figure del possibile euclideo. La natura pragmatica e ironica del poeta mi ha regalato sorrisi immaginando, ad esempio, i volti degli angoli ottusi che “senza cattiveria, non ci arrivano”, e quelli degli altri caratteri forti della scena come i cilindri e le piramidi, ma anche momenti di dolcezza:

 

Ma ora che indosso male il tempo, amo
quelli a giro perchè non hanno punte,
si sono annullati al vorticare, consci
che il bene ha forma circolare dentro cui
basta cambiare una vocale
per tramutare l’angolo in angelo.

 

Tornando alla compiutezza del Disegno, sono le parallele che meglio espongono il pensiero filosofico di Paraboschi:

 

…ma pure se la teoria insegna
che è nel mancato incontro la condanna d’ogni parallela
quando scrutiamo la massicciata fino all’orizzonte
scopriamo che è nell’infinito il nostro punto di contatto.

 

E nel Teorema di Pitagora si ritrova l’intimo di un uomo che non “sa a chi narrare una fragilità / mascherata dietro la virtù”.
Procedendo nell’agevole lettura c’e’ tutto un mondo fisico, familiare e spirituale molto articolato e un vissuto poderoso che avvincono e avvicinano allo scrittore. Il “pezzo” che io preferisco è sicuramente “Il punto” dove piccoli dettagli quotidiani assurgono a mistero universale in splendidi versi.

 

Conclusa la prima parte del libro: “Geometrie”, si comprende meglio l’aggettivo della precarietà nella sezione “Viaggi low cost”, tutta dedicata al viaggio, non certo inteso solo come spostamento fisico o fantasioso, ma piuttosto come esperienza di vita e percorso di crescita spirituale, fra gli alti e i bassi di una straordinaria personalità ondeggiante fra l’allegro disincanto e il pessimistico rimpianto.
Ed è da questa sezione che scelgo di citare quasi integralmente una poesia emblematica, a mio parere, dell’opera artistica di Paraboschi, invitando tutti alla lettura di questo ottimo autore:


Nangha Parbat

E’ quasi sempre in solitaria sopra pareti a vetro
e sotto zero, la salita, le corde forse aiutano
certi passaggi ma non contarci troppo,
devi sperimentare ove poggia il piede
e poi procedere incerto, timoroso sui cedimenti,
occhio che non può vedere ciò che la mente spera.

La sicurezza sta dentro una tenda
un punto rosso lasciato all’alba
ma contro il cuore c’è una roccia da carpire
e conservare anche dopo la fatica.

Sulla montagna della luce non sali con gli sherpa
né con viaggi organizzati, la scali in solitudine
spesso rabbiosa, usando ramponi, chiodi
e picozza avuti in dono, e poi in cima
arrivi sempre in carestia d’ossigeno,
t’illudi di possederla e fai foto per la memoria
e discendi in fretta verso quella tenda rossa
d’accoglienza, vela che ti aspetta,


***

 

Luigi Paraboschi mi ha mandato oggi, 1 marzo, una lettera personale. Mi perdonerà l’amico se ne riporto un passaggio:

… in questi giorni si sono perse dal 6 febbraio le tracce dello scalatore francese Joel Wischnewski che stava tentando in solitaria la stessa montagna che mi aveva ispirato dopo la salita di Messner.

La sua tenda era gialla, e la mia rossa, ma ha poca importanza.
La cosa tragica è che era ed è afflitto dal morbo di Crohn: una malattia terribile e non so come abbia potuto pensare di fare quella scalata in quelle condizioni.

Quando si dice…. la forza della solitudine. 


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2 thoughts on “Le Geometrie precarie di Luigi Paraboschi”

  1. Ho passato l’infanzia e l’adolescenza in montagna. Camminavo, sciavo, arrampicavo. E’ raro trovare qualcuno che scriva di queste cose senza cadere nel trito, se non addirittura nel “leggendario” dello scalatore, o nella “filosofia del solitario”. Sono ben fatte queste poesie. “…ma pure se la teoria insegna
    che è nel mancato incontro la condanna d’ogni parallela
    quando scrutiamo la massicciata fino all’orizzonte
    scopriamo che è nell’infinito il nostro punto di contatto.” Lo trovo bellissimo. Grazie a Claudia.

  2. ringrazio Massimiliano per la sua lettura.
    non sono un intenditore di montagne, semplicemente uno che crede che la vita sia una scalata senza fine, spesso………in discesa.
    sulle parallele invece….che dire ? io per l’incontro con Quel punto di contatto ci vivo.
    Grazie per l’attenzione

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