Le motivazioni del poeta: Troni e dominazioni di Emidio Montini.
Questa rubrica si prefigge di scoprire, facendocelo raccontare dal creatore stesso dell’opera, cosa sta dietro alla nascita di una composizione poetica. Gli scrittori sono restii a fornire informazioni e chiavi di lettura di solito, quindi il valore di queste uscite allo scoperto è decisamente altissimo.
Lasciamo la parola in questo numero a Emidio Montini, non prima di avervi fornito qualche informazione biografica:
Emidio Montini nasce nel 1954 in una valle del Bresciano fra le più laboriose e chiuse a tutto ciò che non ricada sotto la voce “tempi e metodi”. Forse, a condurlo ignaro verso quella vanità chiamata poesia, può essere stato quell’elemento, primitivo e sacrale, ereditato da parte materna. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni poetiche dal 1978 ad ora: Poesie (La Voce del Popolo, Brescia 1987); A Colloquio con l’Angelo (Edizione del Leone, Venezia 1990); Mutamenti e Identità (Edizioni del Leone, Venezia 1992); Cassandra la Bella e altre cose (Edizioni Tracce, Pescara 2002); il romanzo breve Il Panico e la Grazia (L’Arcolaio Editrice, Forlì 2008); Uodishallo – Diario Africano (L’Arcolaio Editrice, Forlì 2009); La Moneta a noi Donata (L’Arcolaio Editrice, Forlì 2010); Parola di Scriba ( L’Arcolaio Editrice, Forlì 2011). Numerose le recensioni su quotidiani e le segnalazioni in vari premi letterari. E’ stato più volte fra i segnalati e i finalisti (cogliendo un secondo posto) al Premio Lorenzo Montano.
***
Non avessi incontrato lei sarei alla deriva. Fu un amore repen-tino, una soluzione imprevista. Esistere per qualcosa che esigeva da me il meglio per approdare al mondo. Escluso da esso nelle forme del quotidiano, ad esso giungere per mezzo della parola: per mezzo di immagini scolpite di singole essenze, e questo dal mare del possibile immaginato o visto. Essere, semplicemente, in contatto col tutto e col nulla, il più vuoto dei mortali con un tesoro nella sacca. Come un delfino, signore del salto e delle rot-te. Cominciò a vent’anni la profusione, la ricerca, la sete d’una luce intravista, il ritorno a casa: dopo la curva, il fumo dei comi-gnoli, le illuminate finestre del borgo dell’eterna giovinezza.
Questo il mio rapporto con la Signora, schiavo e padrone insieme, parola dopo parola, anni di schermaglie e di tenzoni: te-merario e incauto insieme, così vicino al fuoco da non vederne il rischio. Ciò che si manipola è magma puro, il primo fiato delle cose: la ricaduta – filtrata – dei Troni e delle Dominazioni. Di quell’Unico da cui provengono eternamente e la grandine e le rose. E’ stare a dimora sull’orlo di un vulcano, in un capanno, e invocare a ogni verso una venuta, finché giunge per ognuno quella senza intermediari, e il Creativo è lì, nel tuono che prece-de lo smottamento e la paura. Non andiamo da salariati a indagare il caos, lo sguardo furtivo non inganna la lava che pullula sotto la crosta. La cellula è primordiale, su chiamata è il sigillo. E il nome non è importante. E.M.
***
Qui eccoci Socrate
Qui eccoci Socrate, ansiosi secondo
l’accordo di ieri – sulle bianche scalee,
là uno schermo d’ulivi profondo,
qui suadenti le tue panacee.
Tu che vìoli l’abisso del tempo,
per noi così greve, a te tutto t’è chiaro,
quasi vico spazzato dal vento,
o vetro soffiato sapiente,
ma tu nemmeno puoi quello,
da un morbo sanare un fanciullo,
d’un sopruso risolvere il caso,
ristabilire rotto quel vaso.
***
O Cristo pietoso
Sul bordo non ero là quel giorno,
gremito dell’acque dall’Angelo mosse
per dare salute alla gente intorno.
Ahimè non ero là quel giorno,
chinato sull’acque grosse,
io colmo ma dentro di bende.
O Cristo pietoso le nostre tende
rendici monde, vinci soffuso
il Deserto – il Refuso:
accogli l’eterno Escluso.
***
Qui il Simbolo
A coloro che in futuro verranno,
a quei pochi dal burrascoso sguardo,
buio capestro di rovere e vento,
radente, lapideo, battente,
a quelli – senza pace,
incommensurabilmente,
per cui il Tempo è relazione
fra Croce e Croce –
a quei pochi il mio invito
d’acerbo tacere vada.
Qui il Simbolo è pericolo,
la Bugia ragione…
***
Al Cristo
Al Cristo chiedi per me dipinto sul drappo,
che Ardenne son quelle sulle quali sei in viaggio,
mentre buio un bisbiglio di preghiere intorno,
come di frasche impietrisce il tuo raggio.
Al Cristo chiedi per me dipinto sul drappo,
che sono quell’ombre raccolte al piede del monte,
adesso sguarnito di sentinelle il tuo tempio,
e bello se esiste di topazio quel ponte.
***
Venuto l’inverno
Questa estate un ramo ho raccolto,
dal suolo, non più che un semplice ramo.
A lungo lo avevano levigato l’acque,
battuto a lungo l’aveva il sole.
Venuto l’inverno quel ramo,
in fiamme si è mutato e in cenere.
E io quella cenere ho deposto,
calda ai piedi delle rose.