Le ragazze delle confezioni, poemetto di Giuseppina Di Leo

Le ragazze delle confezioni, poemetto di Giuseppina Di Leo.

     

     

Giuseppina Di Leo è nata e vive a Bisceglie (BT). Laureata in Lettere Moderne, frutto della tesi di laurea è la pubblicazione bio-bibliografica Pompeo Sarnelli (1649-1730): tra edificazione religiosa e letteratura (2007).
Ha pubblicato i seguenti libri di poesie: Dialogo a più voci (LibroitalianoWorld, 2009); Slowfeet. Percorsi dell’anima (Gelsorosso, 2010); Con l’inchiostro rosso (Sentieri Meridiani Edizioni, 2012); la plaquette Il muro invisibile (LucaniArt, 2012); Navigo nelle parole (Libreria Editrice Urso, 2018).
Numerose poesie e scritti vari sono ospitati su riviste, antologie, blog e siti dedicati alla poesia.
Alcune poesie sono state musicate dal M° Giovanni Castro.

      

Le ragazze delle confezioni

(dedicata a Nicoletta, operaia)

      

Odiavo il lavoro delle ragazze delle confezioni
centinaia ne arrivavano al mattino e sostavano davanti alle porte
poi nei locali ad azionare i macchinari: cucitrici e tagliacuci
si passavano l’un l’altra il pezzo di stoffa
tagliare, imbastire,  ricamare,
il pezzo sarebbe diventato jeans maglietta sottana,
ridevano fra loro le ragazze delle confezioni
le conoscevo poco le amiche di mia sorella, io.
Se ridevano era per questo o quel ragazzo
per la storia intricata di un amore
non c’era posto per parlarne
a centinaia arrivavano sotto casa
la strada sconfinava di sorrisi.

Ragazzetti in motorino sfrecciavano
approcciando mani e baci nel sud delle voglie
li vedevi poi armeggiare a sagomare scatoloni
grandi quanto una casa vuota poi pesanti di prodotto finito
o con grosse balle di stoffe colorate
e che balle!  le ragazze tutte dentro e silenziose
il cicaleccio era quello delle macchine.

Di quel tempo non rimane niente oggi
i più fortunati tra gli imprenditori sono all’Est,
Bulgaria, Romania, Iugoslavia, o chissà dove
qualcuno è pure morto giovane
la birra! – diceva mia madre – fin dal mattino.

La caposquadra era sempre arcigna brutta e zitella
non se la filava mai nessuno, le ragazze la evitavano
ma lei sapeva di tutte tutto
e le ragazze ridevano già di lei:
in fondo un decennio ancora
e poi quella storia sarebbe finita.

Ci mettono le auto in quei locali ora
nemmeno negozi ci sono più nella via
il fitto è troppo caro.
Le confezioni: chi ci ha saputo fare s’è fatto ricco!
C’è da crederci: da mille a tremila lire a settimana
per dodici ore al giorno e vene varicose già accreditate.
Quando arrivava la caposquadra le ragazze
smettevano le risa.

Era il tempo delle massaie che battevano i tappeti
alle finestre, ricorda mia madre;
lei dice di aver notato un cambiamento
da questo particolare perché nessuna vicina
o dirimpettaia oggi spalanca più la finestra al mattino;
con la scusa del tappeto si guardava, si commentava
di questo, di quello, del bello come del brutto tempo
del fattaccio e del fatterello e c’era chi, per ascoltare
rischiava di finire oltre la ringhiera
e tra le grida qualcuna ogni tanto ci cadeva per davvero.
Diverso è adesso
le finestre restano chiuse
fino al venerdì.

Mille lire mi diedero per una settimana
di lavoro in confezione
ne ebbi rabbia, al punto che ne parlai con la titolare.
Qualcuna, esterrefatta: ma guardala, l’ultima arrivata!
Le altre ragazze però erano d’accordo con me per protestare.
Così, tredici anni appena, l’affrontai la controparte
quella, ingioiellata e bionda, mi fece accomodare
truccata come una madonna mi fece accomodare.
Non preoccuparti, mi disse,  che presto avrai l’aumento;
ma io, la tredicenne, non tanto per la mille ero amareggiata
ma che un’altra assunta con me lo stesso giorno
più adulta però
aveva ricevuto non mille bensì tremila lire.
La signora fu di parola
la settimana successiva
mantenne la promessa
pagò me tredicenne
mille e duecento lire.
Ghiaccioli mi comprai sulla spiaggia a mare.

Tovarish, Berta filava
e alle incursioni dei controllori era il fuggi fuggi:
nascondetevi presto e quanta più roba
metteteci sopra a quegli scatoloni.
Altro che cortei, altro che sfilate
“IN BASSO”, appiattite
al Sud non in molte restammo.

*

          

Roma ore 11, Giuseppe De Santis, 1952
Roma ore 11, Giuseppe De Santis, 1952

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