L’editoriale di Gianmario Lucini

L’editoriale di Gianmario Lucini.

 

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Il sostanziale fallimento delle elezioni rispecchia, a mio avviso, l’educazione all’irresponsabilità e alla delega che, da molto prima del ventennio fascista a tutt’ora, costituisce il continuum negli atteggiamenti e nei comportamenti della maggioranza degli italiani. La politica è, per l’italiano medio, un gioco di vertice fra semidivi, uno sport come il calcio, al quale si partecipa con grandi manovre coreografiche una volta tanto, nel periodo elettorale, per poi tornare al ruolo di spettatori, più meno mugugnanti, del solito teatrino; così che cambiano gli attori ma il dramma-gioco è sempre quello.
A nessun partito o movimento passa per la capoccia che “politica” significa “agire politico” e che, a questo livello, ogni cittadino è sullo stesso piano. Càpita quindi che si chieda alla politica meno tasse e appena si può le si evade. Chiediamo la tutela dell’ambiente e non ci facciamo problemi a buttare la spazzatura dove càpita o ad acquistare merci con imballaggi assurdi e dannosi per la nostra salute oltre che per l’ambiente. Chiediamo la pace e lavoriamo nelle fabbriche di armi. Chiediamo acqua e aria pulita e non facciamo nulla perché la fabbrica nella quale lavoriamo si doti di filtri e depuratori. Ce la prendiamo con la finanza e affidiamo i nostri risparmi a chi li investe in “derivati”. Ce la prendiamo con la cattiva qualità dell’informazione e seguiamo i peggiori canali televisivi. Vogliamo che i nostri rappresentanti nel Parlamento si mettano d’accordo e poi li accusiamo di “inciucio”. Vogliamo che siano ragionevoli e poi ci azzuffiamo per un nonnulla. Vogliamo giustizia ed equità fra le nazioni e non ci chiediamo da dove venga il nostro benessere. Chiediamo istruzione e leggiamo sempre di meno.
Vogliamo l’auto grossa e veloce e ci lamentiamo per l’inquinamento. Vogliamo il grano a buon mercato e non ci tocca se il grano viene usato come combustibile e di conseguenza sale il prezzo. E così dicendo.Insomma, pretendiamo dalla politica e dall’economia il benessere a qualunque costo, anche al costo di qualsiasi ingiustizia e poi inorridiamo di fronte alle porcherie della politica, comprese quelle che la politica fa per procurarci questo benessere, in cambio del consenso.
Qualcuno deve pur fare il lavoro sporco, ma non si sappia chi è e come agisce, e se lo si sa lo si metta alla gogna. Questa è la logica.
Il problema è che la politica deve fare i conti, oltre che con noi, anche con i “mercati”, che sono altri soggetti ai quali noi stessi affidiamo il nostro danaro sudato e risparmiato, paradossalmente per complicarci la vita, credendo invece di semplificarla arricchendoci un po’.
(7)US-ECONOMU-NEW YORK-STOCKLa vera politica oggi la fanno loro, questi misteriosi collettivi che poi non sono tanto misteriosi. Una impresa finanziaria, oggi, può contare forse più di un governo. Alcune imprese che fanno cartello, fanno quello che vogliono alla faccia di tutti i Governi, usando le nostre risorse contro i nostri interessi. E se agiscono da folli, lo fanno su mandato di altri folli e irresponsabili: noi. E se non fanno così, se non aumentano smisuratamente il nostro capitale creando inflazione, ritiriamo le nostre disponibilità e le affidiamo ad altri, più folli di loro. Ma ovviamente nessuno è per l’inflazione, così come nessuno vuole le guerre ma le guerre ci sono, alimentate proprio dalle potenze ricche che sobillano mezzo mondo povero per ottenere lo sfruttamento di tali risorse, così come l’inflazione c’è, alimentata dalla nostra irresponsabilità.
Ora, è ovvio che il problema, al suo centro, consiste in un comportamento non appropriato e poco intelligente da parte nostra.
Io credo che la democrazia, in ultima analisi, si riduca a una cosa semplicissima: svolgere al meglio, onestamente e responsabilmente il ruolo che la società ci riconosce. Ognuno infatti ha diritto a un lavoro, ma se lavora in una fabbrica d’armi deve onestamente impegnarsi a chiedere alla direzione una riconversione; se lavora come poliziotto deve impegnarsi a non abusare del proprio potere, se lavora come dirigente, deve impegnarsi a usare il suo potere in funzione di servizio e non di vessazione, se pulisce i cessi lo faccia con scrupolo, e così via. E chieda, in cambio, non soltanto soldi, ma il riconoscimento della sua dignità di essere umano, pari a tutti gli altri esseri umani. Questa è la cultura che ci manca, non certo le grandi opere o i
classici o altro. Ed è cultura ma anche vita, agire, nel senso del respondeo, del rendere conto a tutti del proprio agire, del dare e del ricevere, dello scambio.
E’ qui che l’arte e la cultura dovrebbero svolgere una funzione importantissima, non tanto “pedagogica” ma ermeneutica, nel senso di sforrzarsi di comprendere e interpretare il nuovo e tematizzarlo. La cultura fa politica in questo modo perché questo è il suo ruolo: aiutarci a capire, a cercare, a indagare; non sta al governo o all’opposizione. Senza capire il nuovo non si governa nessun cambiamento e soltanto la cultura può giocare questo ruolo critico, esterno alla politica ma insostituibile e senza il quale la politica diventa asfittica. É un ruolo
scomodo, che non procura consensi (anzi, non di rado grattacapi anche seri), che non esalta nessuno, ma che qualcuno deve pur assumere e la cultura, credo, è oggi largamente deficitaria nel rivestire questo ruolo. E se non lo fa lei, non lo fa nessuno, perché nessuno ha interesse a cercare la verità, specialmente quando è scomoda e, invece di appagare il desiderio di benessere sempre maggiore e a qualsiasi costo, ci indica la strada della moderazione e della sobrietà, del riequilibrio su basi di equità. Eppure lo sappiamo da sempre, tutti, che le “magnifiche sorti” non sono affatto “progressive” e che sui preziosi mosaici romani di Santa Giulia a Brescia, i Longobardi hanno scavato i buchi per collocare i pali di sostegno delle loro capanne. Vediamo tutto questo ma aspettiamo che per incanto le cose si rimettano a posto da sole, senza metterci la faccia, timorosi di perdere quel poco che (non) abbiamo, il consenso di qualche potente o di qualche lobbie, qualche briciola che cade del desco dei forti. E intanto le mafie avanzano fra vuoti di idee e di poteri. I servizi segreti già dipingono scenari futuri davvero preoccupanti.
E noi zitti, apatici, ignavi, persi ad adorare una inverosimile bellezza di altri tempi e di altri improbabili mondi – e per questo disumana.

Invito perciò tutti gli intellettuali a uno scatto di orgoglio nelle loro tematiche e nella loro scrittura, nella loro arte, nella loro riflessione. Invito tutti, me ovviamente compreso, a cercare la bellezza su questa terra, non nella fantasia, a raddoppiare gli sforzi perché il bello che cerchiamo si riveli anche buono, vero e giusto. Se infatti la bellezza non è anche tutto questo, è solo abbaglio, insensatezza, fuffa. Solo così daremo un contributo per un mondo migliore – se ne siamo ancora in tempo – e ad arginare la sostanziale devianza e l’a-socialità di tutti i poteri.

la reazione di isernia 1860blur_

4 thoughts on “L’editoriale di Gianmario Lucini”

  1. Caro Gianmario, è vero quello che scrivi. E la cosa preoccupante è che si debbano scrivere cose che dovrebbero essere scontate, per quanto vere. Non so quando si potrà smettere di farlo, a giudicare dall’epoca che stiamo subendo e a cui partecipiamo, come costruttori o spettatori: in entrambi i casi, siamo colpevoli. Il ruolo del genitore dovrebbe essere quello di spingere una persona all’autonomia, intellettuale più che economica. Da quello che vedo da anni, è esattamente il contrario. E’ un esempio, e non una metafora, di quanto avviene sul pianeta. La dipendenza intellettuale, cioè saper ragionare da soli, impone lo spogliarsi delle responsabilità. La responsabilità è la parola chiave di tutto. Dentro, ci sono: cooperazione, rispetto, uguaglianza, amore, giustizia e ognuno aggiunga la propria. Il figlio de-responsabilizzato è quello che, di fronte a un avvenimento nuovo (per lui), si gira e chiede al genitore. Il genitore affronta il problema. Il problema è risolto. Nel momento in cui il figlio si gira e non trova più nessuno, lì c’è un problema: il figlio delega altri alla soluzione del problema. Poi si sdraia sul divano e insulta i politici di turno, chiunque essi siano. L’Italia è una iNazione di de-responsabilizzati. Ma non solo per quanto concerne le decisioni importanti di tutti i giorni. Lo è anche nelle micro-decisioni. Se il marciapiede fuori casa nostra è pieno di crateri, puoi vedere i condomini lamentarsi davanti ai buchi ma non fare nulla. Non li si può biasimare. I de-responsabilizzati non sanno che esiste un modo molto più veloce per risolvere il problema: fare una colletta, comprare il bitume e mettersi, tutti insieme, a chiudere i buchi: occuparsi direttamente delle proprie cose che, molto spesso, coincidono con quelle degli altri. Un giorno, all’ascensore, una signora mi ha detto: “Ma vede come lavora male, la signora delle pulizie? E’ una schifezza! Con quello che la paghiamo!” “Bene”, ho detto io, “non paghiamola più: facciamo noi i turni e puliamoci casa nostra da soli!” La signora è scomparsa dentro l’ascensore. La responsabilità induce all’assunzione e soluzione in prima persona dei nostri problemi quotidiani, che, anche questi, molte volte coincidono con quelli di tutti gli altri. E ci costringe a non delegare il potere che possiamo esercitare insieme, per quanto in nostro “potere”. Ogni tanto, questo succede. La piazzetta del quartiere di Exàrchia dove sono vissuto per anni, ad Atene, era fino a qualche anno fa non frequentabile perché di casa, lì, ci stavano i tossicodipendenti e gli spacciatori. Non ho nulla contro i tossicodipendenti, ma non posso portare il mio bambino a giocare dove rischia di pungersi con le siringhe. La gente del quartiere, quattro anni fa, ha deciso di animare la piazzetta con: un cinema all’aperto e una giostrina per bimbi. Hanno fatto la colletta e comperato una grande televisore e la giostrina. Una mattina hanno pulito la piazza, potato le siepi, aggiustato le panchine, montato il televisore e le giostre e appeso un cartello: Da questa sera, la piazza è dei bambini. Più che l’arte e le poesia, questo mi mette le lacrime agli occhi. Questo mi riempie d’orgoglio.

  2. …Più che l’arte e le poesia, questo mi mette le lacrime agli occhi. Questo mi riempie d’orgoglio…
    verissimo: questa è la tanto decantata “bellezza”, mica le belle parole. C’è una poesia anche negli atti, nella vita stessa…

  3. Lucini ha ragione, tutta la ragione possibile. Da quanti anni la Cultura tenta i cambiamenti? Quante vite sono andate perse prima del tempo a loro destinato? La scuola potrebbe fare molto: ma i maestri (come scriveva di se stesso Mario Lodi) dovrebbe essere appassionati, inquieti, innovatori. I politici italiani dovrebbero tornare a scuola: non è mai troppo tardi!

  4. Bravissimo Gianmario!!! La tua è una profonda e rigorosa analisi della nostra pessima condizione sociale , politica e culturale. Trovo inoltre che la grandezza di questo articolo, tanto risentito, sia tutta nella trattonata pungente assestata agli intellettuali, che esercitano la loro attività in modo spregiudicato,legati come sono alla ricerca del consenso di coloro che gestiscono il potere politico o economico,avendo come unico obiettivo una rapida , fulgida e duratura carriera. E’ anche vero che tra gli intellettuali possiamo annoverare soggetti dissidenti, che si oppongono ai governanti di turno, ma anche essi in fondo servono un altro potere, quello in stand by, la cosiddetta opposizione di turno, dalla quale viene loro assicurata una altrettanto facile e brillante carriera.

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