L’imperfezione del diluvio di Sandro Pecchiari, recensione di Silvia Secco (con invito)

An unrehearsed flood – L’imperfezione del diluvio, di Sandro Pecchiari, Samuele ed. 2015, recensione di Silvia Secco (con invito).

    

   

In una collaborazione tra Versante Ripido, Samuele ed., Gruppo77, Edizionifolli, il libro di Sandro Pecchiari sarà presentato a Bologna l’11 marzo 2016 alle ore 21:00 presso Il Cortile Caffè di Via Nazario Sauro, 24/A. Vi aspettiamo!

    

Più e più volte al cospetto di questo libro di poesia di Sandro Pecchiari, il suo terzo lavoro edito per la casa editrice Samuele Editore, ho avuto l’impressione di trovarmi all’interno di una stanza.

Il contesto dichiarato dall’autore, citato in accenno nei versi, è la città di Trieste, e potrebbe essere giorno, potrebbe esserci il sole oppure la luce bianca, lattiginosa, delle mattine umide, mille buone ragioni per spalancare, ma l’aria, invece, (il mondo) viene tenuta fuori e si rimane chiusi, come in un interno che è lo spazio fisico di un vano nel quale siamo (stiamo), assieme all’autore.

Qui, in questo dentro che si fa anche luogo mentale, ambito e sentimento, si fa attenzione a non alzare la voce, si resta in ascolto, come nei giorni del lutto: si porta rispetto.

Ci si sente inadeguati dinnanzi a tanto dolore fondo e fondante, così esposto nell’interezza di questo lavoro, ma senza alcuno strepito. E’ il dolore della perdita la chiave significativa di “An unrehearsed flood, l’imperfezione del diluvio”, di Sandro Pecchiari: un dolore di viscere, di ventricoli, eppure dignitoso e mai urlato. Ed è il tempo del dolore (del pianto ingoiato, del fiato rotto, del bruciore in gola, del salto dei battiti), quello battuto dal metronomo della poesia: diciannove testi bilingui, nati in italiano e tradotti liricamente dallo stesso autore in lingua inglese, (suo secondo idioma), che si presentano anche graficamente proprio per questo, imponendo pause di lettura e sospensioni:

l’essere privato di un passaggio/ tra il vivere che resta/ e te/ mi fa immobile nella diminuzione”.

Si tratta di testi brevi, suddivisi in stanze di uno/due/tre/quattro versi liberi, nei quali la “scostanza” (“Trieste rincorre/ scostante di parole/ l’aria inerpicata”) del segno, decide il tempo della lettura e della interiorizzazione della poesia, e ci porta a fermarci, aspettare per comprendere, prima di proseguire.

Ogni stanza di poesia pare così un microcosmo di senso autonomo, quasi un Haiku racchiuso in un contesto più ampio, “mentre il tempo accade” tutto intorno. E, a dare prova di questo, sembra venire l’imperativo del testo III:

l’essenziale è arrampicarsi/ per sforzare i legami/ e frantumarli/ se non li manteniamo”.

L’imperfezione definita nel titolo è, come ben espresso da Andrea Sirotti nella splendida prefazione, tutta nel termine della parola inglese che la traduce, “unrehearsed”, il cui significato è carico dello sgomento dell’impreparazione alla perdita (dell’inadeguatezza, appunto), reso ancor più drammatico da alcuni punti d’insistenza a sopravvivervi, nei quali l’autore (l’io della poesia) sembra alzarsi in piedi a dire il suo essere vivo:

la mia vita oppone/ una fanfaronata d’inverno/ dentro maggio”,

a volte quasi con rabbia

dovrai morirmi qui dentro, tra le braccia/ sgranando i secondi rimasti della notte”.

In questo senso, sembrano collocarsi anche alcune splendide irruzioni di parlato, come scintille di ricordo di voci, cose dette e piccole confidenze d’amore

così ti parlo – non a te/ con i tuoi fili indistruttibili -/ e niente posso// che occhi limpidi che hai”,

ce la farò dicevi/ se annegavi il pianto/ e la morte/ ti faceva eco”.

Rima dovunque, allora, questo diluvio doloroso di lutto e di mancanza di Sandro Pecchiari, con un Amore maiuscolo, totalizzante come l’amore di una intera vita, che sembra uscire solo dalla stanza, dalla visione, senza uscire dalla casa e che non si decide, da entrambe le parti, a recidere il filo, come è chiaro nella splendida poesia XIII:

se finirla qui/ staccandosi la vita/ un che peccato non detto/ ma pensato/ prima di tagliare il filo/…

non so… il tuo sorriso/ ferma il fiume gonfio/ infanga di salvia il mare// tu mi riavvolgi”.

Un Amore che pare una possibilità, e solo una possibilità, perduta, di perfezione: una illusione di eternità, un’utopia, inconoscibile all’umano:

non è la vocazione dei viticci/ sviluppare rami e fiori e ombre”.

Si ama ciò che si desidera. Si desidera ciò che manca. Il dolore è il luogo svuotato della voragine, dove il diluvio allaga. S.S.

   

VII

non più nostro                      questo posto
s’accampa cauto negli addii
nell’attesa che si vada

non posso non amarlo
nella sua chiarità
di troppa forza

tu ti arrendi
infinitamente
scolorendo l’ombra

portavo le torce
ma te ne vai
troppo veloce

immagine d'apertura: Branciforte, "Gente per strada", 2011, acrilico, smalto e papier collè su legno
immagine d’apertura: Branciforte, “Gente per strada”, 2011, acrilico, smalto e papier collè su legno

One thought on “L’imperfezione del diluvio di Sandro Pecchiari, recensione di Silvia Secco (con invito)”

  1. Splendide queste poesie di Sandro Pecchiari, amorevolmente presentate e curate da una poetessa di rara sensibilità e generosità, Silvia Secco che ha contribuito a dare, in questi mesi, una visibilità larga ad una raccolta eccezionale. Una densità di immagini e sentimenti che non capita spesso di incontrare, una capacità di chiudere in pochi e brevi versi un dolore profondo e bruciante, mai gridato e nemmeno sussurrato, ma detto, con coraggio, con verità. Questa è vera poesia, quando l’umanità ferita sa trovare le parole per dar voce, nuda e forte, all’assenza, la privazione di ciò che è irrinunciabile, a questa disgraziata “imperfezione” anche della sofferenza più acuta. Grazie a Sandro e grazie a Silvia, grazie davvero

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