L’ironia è una cosa seria, rubrica di Natalia Bondarenko: Stefano Wulf.
Benvenuti nella rubrica che parla di cose serie: parla d’ironia. Perciò, benvenuti nell’ironia. Entrate dentro senza diffidenza e senza pregiudizi. Sorseggiate la leggerezza utile a nascondere (magari, per pudore) la profondità della vita, usate la vostra immaginazione e cercate di non prendervi troppo sul serio perché in questo spazio c’è posto per qualsiasi espressione ironica e anche quella, ancor più rara, autoironica: esagerata, colta, improvvisa, spumeggiante o docile e lirica.
Benvenuti nello spazio dove non troverete mai le poesie di Sanguineti, Szymborska o Bukowski. «Vabbè», direte voi, «non sarebbe mica male?» Ma di loro è già stato detto/scritto tutto e anche di più. Infatti, non c’è niente di nuovo, nessuna novità sconvolgente, nessun miracolo letterario, niente di codificato come 2.0, perché la poesia ironica esiste da sempre. Ma c’è una percentuale minima di poeti che la scrivono. Perciò, benvenuti nello spazio di pochi, scelti… e viventi!
(Come vedete, la battuta vale non solo per i pittori…) N.B.
L’ospite di questo mese è Stefano Wulf.
“Ironia cruda o crude(le)”. Eccolo, il sottotitolo che mi piacerebbe dare alla produzione poetica di Stefano Wulf. In questa breve frase è racchiuso (o si potrebbe racchiudere) tutto il mondo poetico di Wulf. Ma ci arriveremo per gradi, per ora partiamo dall’inizio. La sua ricerca comincia negli anni novanta quando si avvicina all’espressionismo tedesco inteso come movimento artistico complessivo, che comprende cioè teatro, cinema, pittura e letteratura.
Ma limitando il campo a quello che ci riguarda, (precisamente le sue poesie), bisogna dire da subito che la sua forza espressiva produce versi particolari. A prima vista l’effetto è caleidoscopico, ma non è questo, o non è solo questo. C’è dell’altro. C’è che nei suoi versi si manifesta un certo (marcato) sommovimento della grammatica, con verbi che cambiano aspetto e infiniti che cambiano funzione, lasciando trasparire una accentuata trasgressione del linguaggio. Che non è da tutti e non è per tutti. Una trasgressione però che non sconfina, non va mai oltre e alla fine, dopo un lungo giro, rientra nei canoni stabiliti. Anzi, tutto si ricompone in una minuziosa precisione linguistica.
Questo è solo un esempio:
EDITORIALE?
Cambiamento nel divenire
Più che essere gettati e rituffati
Si tratta di un ciclo a basse temperature
Di blandi risciacqui.
Questi falsi versi
Ormai solo falsi versi
Oggettivazione
Di falsi fatti…
Questi falsi versi
ombra sbiadita
di falsi fatti
A volte è meglio dormire
Dormire, dormire
Se la futura libellula azzanna il girino
La nostra cultura generale
È ad un livello piuttosto interessante.
Mi stonfò la mente
d’un tonfo transeunte
La mia mente
Furtiva faceva fusa
In alcune sue poesie traspare la precisa volontà di vedere la realtà come caos, un caos che però porta con sé tutto intero il discorso creativo, dunque, la creatività come effetto della realtà caotica. Come una conseguenza, come se cercasse di dire che è solo dal caos della realtà che può nascere la creatività. Una realtà però tanto deformata da aver bisogno di un linguaggio appropriato, un linguaggio che ne interpreti i movimenti, non certo di versi naturalistici e lineari. E lui, su questo punto, è pronto a rispondere, non se lo fa dire due volte:
IL SAGGIO
E il saggio paguro se ne andò dicendo:
“Pensare di sapere è sapere poco,
ma la via è ormai aperta.
Sapere veramente fa male,
sapere di non sapere fa peggio,
ma ciò che disintegra
è sapere tutto questo
ed essere condannati a pensare”.
La sabbia, com’era ovvio, annuì.
Leggendo e rileggendo la sue poesie ci si accorge con grande evidenza che la cifra del suo stile sicuramente attinge ad una vasta gamma di poeti. Si tratta di autori che si sono formati ed hanno avuto espressione in precisi momenti del novecento. Mi piacerebbe anche pensare che alcuni italiani (e tra questi Clemente Rebora) hanno avuto un’influenza seppure parziale sulla sua scrittura. Questo ‘frammento lirico’ di Rebora potrebbe avvalorare tale ipotesi:
«O pioggia dei cieli distrutti
che per le strade e gli alberi e i cortili
livida sciacqui uguale,
tu sola intoni per tutti!
Intoni il gran funerale
dei sogni e della luce…»
In fondo, l’unico rischio che corre Wulf è quello di farsi prendere troppo dalla rappresentazione della folla anonima e caotica, fino ad esserne fagocitato e perdere la sua estrema carica di creatività. Un rischio, una possibilità dovuta alla accentuata sensibilità e ad una sua bontà finanche troppo sottaciuta. Anche se le ultime composizioni un po’ ci tranquillizzano: egli ha imparato la lezione e la mette in pratica aggiungendoci del suo. Tratta il magma della realtà con il dovuto distacco, innestando nei suoi versi una ironia feroce e disincantata da apparire sottile e delicata, quasi nascosta, ma invece presente e viva.
È interessante come prima di alcune poesie pubblicate nel suo recente libro “Ventoschegge e bulloni” Stefano propone una specie di ‘ouverture’, un’anteprima in forma narrativa, un preludio, quasi un permesso di entrare in ogni sua poesia:
…
L’umanità nella sua incredibile bellezza e arroganza aveva pensato di essere miliardi di IO esclusivi, anche se indifferente che uno/io svanisse. Addirittura qualche IO s’era arrogato il diritto di assumere il ruolo di novello presunto DIO per avviare una nuova ipotetica genesi errata. Invece alcuni “altri” diversi io osservavano e moltiplicavano all’ennesima potenza gli universi possibili, facendosi a volte beffe dell’uomo o facendosi carico dei suoi fardelli:
IL GATTO E LA VOLPE
“L’inutilità dello sforzo formale”
-sentenziava il gatto-
“è data dalla centralità del contenuto”.
“Ma il contenuto dato non è più tale”
-replicava la volpe-
“se lo separiamo dal suo costrutto”.
E noi, branco di “Pinocchio” presi in mezzo, oggi
dedichiamo più tempo a ciò che non c’interessa
veramente, e burattini di burattinai burattinati
non gustiamo più la profondità poetica dei linguaggi.
***
Alcune poesie:
IL NOSTRO AFFANNO
Il gatto ride
del nostro affanno,
perché conosce verità più assolute.
È risaputo come
cani e uomini
siano abbastanza simili
nella loro ignoranza.
Ma è, inaspettatamente,
il gabbiano
che governa il tutto,
poiché può staccarsi dal terreno.
*
DISTURBO
Devio lo spazio con la mia presenza
quindi devio anche la luce.
Al cinema non posso andare, perché
disturbo.
Occupo lo spazio con la mia massa
quindi escludo dal “qui” altre masse.
Sui marciapiedi non posso stare, perché
disturbo.
Consumo l’ossigeno con i miei polmoni
quindi ne sottraggo ad altri viventi.
Nei posti pubblici non posso andare, perché
disturbo.
Produco rifiuti solidi urbani con la mia esistenza
quindi accaparro ed occupo quote di smaltimento.
Dei cassonetti e bagni/WC non posso usufruire, perché
disturbo.
Occupo pagine ed aria con le mie onde/parole
quindi con prepotenza tarpo ogni altra mente.
Moralmente non posso più continuare
quindi tolgo il
disturbo.
*
IL MIO PIEDE
Il mio piede piede?
fa sesso sesso?
Sì, perché
è bello liscio
concavo e convesso.
Maschio, unghiuto, discrete dimensioni
ruvido, screpolato, semiscottato alquanto
peloso un tanto, calloso e diffuso manto,
ricco di contusioni, ma privo di allusioni
Io poi al mar faccio faville
con il piede
attiro il fior fior delle fanciulle
ignudo, vestito, calzuto, sandalato
il piede al mare sabbiato e salato
ovunque si siede, in ogni dove si vede
strage ne fa quel bel piede.
Sì, gli dovrei dir proprio grazie
al questo mio piede, bello, liscio,
concavo e convesso.
Però c’è un però,
o un pero non lo so,
l’accento ha un uso
misterioso, perché no.
Il però..
avrei un desiderio:
raffreddate le fanciulle,
(o iposmiche)
soprattutto quelle belle!
*
Stefano Wulf è nato in Friuli, a Udine, il 27 maggio 1972. Interessato alla letteratura, alla pittura e alla scrittura fin dal 1989, ha collaborato con diverse riviste e settimanali del Friuli, pubblicando articoli, saggi, racconti e poesie (1989-2001). Promotore e coautore per numerose opere collettive e raccolte fra le quali “TRIP giovani scrittori/scriventi in Friuli” (Udine 2000) e “Viadalfreddo” (Udine 2006). In ambito poetico è autore del libretto “19 Poesie Situazioni da Biblioteca civica” (1997) e della raccolta “Vento, Schegge e Bulloni”(1991-2001), ripubblicata nel 2014 da Mediterranea.
Fra i promotori e fondatori del Circolo di Studi Artistici “Espressione Est” di Udine, ancora attivo. Alcuni suoi testi sono stati utilizzati per accompagnare iniziative legate alle arti visive, ogni tanto partecipa per gioco a qualche Poetry Slam, a volte lo vince per caso.