Lis animis si inglazin se no si rît, poesie di Paolo Coceancig (Isontino).
Paolo Coceancig nasce a Gorizia nel 1964. Da più di trent’anni vive e lavora a Bologna.
Segnalato nella sezione “Poesia” della Biennale Giovani Artisti del Mediterraneo (Bologna, 1988), comincia a fare letture pubbliche in locali e in manifestazioni cittadine. Pubblica su varie riviste: “I Quaderni del Battello Ebbro”, “Opposizioni”, “Private”, “Mongolfiera” ecc.
Appare nelle antologie Bologna e i suoi poeti, curata da Carla Castelli e Gilberto Centi (EM Parole in libertà, 1991) e Rzzzzz!, a cura di Sergio Rotino (Transeuropa, 1993).
È del 1991 il suo esordio letterario, con la raccolta Graffiti graffiati.
Laureatosi al DAMS con una tesi sul teatro dialettale friulano e in particolare sull’opera del giovane Pasolini, in quegli stessi anni comincia a scrivere anche nella parlata delle sue origini, pubblicando testi in friulano su “Usmis” e “La Patrie dal Friul”.
Dopo parecchi anni di volontario esilio dalla parola scritta, si è di recente riavvicinato alla poesia. I nuovi versi compaiono nelle pubblicazioni collettive “Parole Sante-Parlava a pietre una sull’altra” e “Parole Sante-Versi per una metamorfosi” (Kurumuni 2015 e 2016).
SULLO SCRIVERE IN FRIULANO
Ogni tanto ritorno alla lingua delle mie origini, ci sono cose che riesco ad esprimere solo in friulano. Quando sento l’urgenza di ritornare con le parole ai luoghi, non solo fisici, da cui sono partito, non posso che farlo in friulano, la lingua dell’anima, e in particolare nella specificità orale del territorio in cui sono cresciuto, l’Isontino. Come i grandi maestri Pier Paolo Pasolini e Federico Tavan, infatti, anch’io sento il bisogno di convertire in forma scritta la lingua orale da sempre parlata, libera e viva, in continua mutazione, non domabile su carta dalle regole artificiose di una koiné. PC
AGHIS
Se tai voi
tu jas umit di lagrima
dut il mont
deventa aga
se tal cur
tu jas ferida di amor
dut il mont
deventa sanc
jo soi
jo voi
jo vai
Su i zerclis di una gota di ploja
su i rivui stuarts dal sudor che cola
su lis aghis muartis di una roja di pais
jo soi
jo voi
jo vai
ACQUE
Se negli occhi/hai umido di lacrima/tutto il mondo/diventa acqua//se nel cuore/hai ferita d’amore/tutto il mondo/diventa sangue//io sono/io vado/io piango//Sui cerchi di una goccia di pioggia/sui rivoli storti del sudore che cade/sulle acque morte di un rigagnolo di paese//io sono/io vado/io piango.
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LIS ANIMIS SI INGLAZIN SE NO SI RîT
Cuissà mai se bastin
lis imagjnis…
o cjali e o viôt cori
salustris picjâts
a fii di metal,
ch’al sedi teatri
chist inutil voltasi indaûr?
chist spirtât voltasi indaûr?
jo no sai cui che tu sês…
al è stramp,
l’ultin spetacul
il sun par ledrôs
su lis ruis dal pôc restât,
amancul ch’o fossin lamieris…
al sarès biel
spacolâts dal svint
creâ rumôrs.
LE ANIME GELANO SE NON SI RIDE
Chissà se bastano le immagini…/guardo e vedo correre/chiaroscuri appesi/a fili di metallo,/ che sia teatro/quest’inutile voltarsi all’indietro?/questo ossessivo voltarsi all’indietro?/sai chi sono?/io non so chi sei…/è strano,/l’ultimo spettacolo il sogno a ritroso/sulle rughe del poco rimasto,/almeno fossimo lamiere…/sarebbe bello/agitati dal vento/creare rumori.
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MIGRANS
La nestra pizula bàrcia
su chist tant mar
somea un bùtul
di cuarp di femina…
lis ondis nus ciàlin
lis ondis nus ciàpin
e che sedi mar
o che sedi tiara
sarà mar sassin
o tiara amara,
par nualtris
nissun agnul in bala,
nissun che suna
nissun che suala.
MIGRANTI
La nostra piccola barca/su questo tanto mare/pare il capezzolo/di un corpo di donna…/le onde ci guardano/le onde ci prendono/e che sia mare/o che sia terra/sarà mare assassino/o terra amara/per noi/nessun angelo ubriaco/nessuno che suona/nessuno che vola.
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DA LIS SOS BANDIS
La nona di Gigi Maieron
contava
che da lis sos bandis
i vecios disevin
che ‘l vaì
coventava a netà i voi
e chel che si jà davant
viodilu mior
E in chist mut davin un sens
al dolor.
DALLE SUE PARTI
La nonna di Gigi Maieron/raccontava/che dalle sue parti/i vecchi dicevano/che piangere/serviva per pulire gli occhi/e quello che si ha davanti/vederlo meglio.//E in questo modo davano un senso/al dolore.
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SERGIO ENDRIGO
Te li vardi ora da là sora
sti confini de sangue e piova
seradi dentro un bicier
che già sa de vendemia nova,
sonar cantar e bagolar
drio la vita, davanti il mar,
da l’altra parte il Brasil,
la samba e Vinicio,
il savor del sal
co te jeri picio,
il rumor del vin
che toca il fondo,
do chitarine che sona
la musica del mondo.
SERGIO ENDRIGO
Li guardi ora da lassù/questi confini di sangue e pioggia/chiusi dentro un bicchiere di vino/che sa già di nuova vendemmia/suonare cantare giocare il tempo/dietro la vita, davanti il mare/dall’altra parte il Brasile,/la samba e Vinicio,/ il rumore del vino/che tocca il fondo/due chitarrine che suonano/la musica del mondo.
(scritta in dialetto goriziano)
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