Liturmagia di Paolo Santarone

Liturmagia di Paolo Santarone.

  

  

I

  

Il san Carlo di gesso

in cotta bianca

due dita alzate

come per scacciare

un insetto molesto sotto il naso

.

Le pitture murali d’artigiani locali

Cinquecento Seicento Settecento

decalcomanie della devozione

Martiri santi

Santi della Peste

Madonne del Latte con il seno abraso

(benedictus fructus recitavano intanto)

antico iconoclastico pudore

E l’odore di sillabe cantate

mentre l’incenso fuma avemarie

.

Le donne inginocchiate nel rosario

e i canti che un incerto coro esala

sgranando sgranocchiando amen e gloria

fra le dure palline di corone

che pizzicate scorron tra le dita

scure

com’è scura la frescura muffita

oltre la soglia che

d’un tratto

portava

dalla luce del prato

a quell’oscuro rezzo di preghiere

  

E sol tacere potevo tra quelle

tenebre e immagini di morte

freschi sepolcri e inconosciuti odori

suono di suore oranti

e responsori

  

II

  

Fu

poi

un tempo d’ira e di sfiducie

tempo di disamore

Io non capivo la liturmagia

e m’irritava

la segretezza di parole

catacombali

che

dette

erano vili

odor d’aglio e di vini

come il fiato ch’esala

pigramente pio di povero tabacco

dal brusio di mani giunte

e occhietti strabuzzati

  

Il mondo

intorno

e la vita

e il Verbo del quotidiano sperare

e amare e odiare

e amare e amare

La fatica del denaro

rabbia e noia del bisogno

dubbio della fiducia

mentre lì dentro rullavano

monotone

in un rimbombo d’echi e altoparlanti

le disilluse parole della fede

le vane litanie della speranza

e le menzogne

d’una

misurata

carità

  

III

  

Fumiganti candele

tra le mura dirute

Ronzio di lontane parole

sussurrate

Vanolevati ostensori

  

Nel sancta sanctorum

di consumati tradimenti e inganni

di verbi vuoti

e conti

puntigliosi

pel restauro del tetto fastiscente

e la fattura del vinaio

(anche noi siamo uomini

figliuolo

ostie levate come bugie promesse

incensi e cere

narcotici vapori)

so

ora

che si celano misteri

che altrimenti non so dire che sacri

  

riti d’acqua e sangue

pane e fuoco

parlano parole non dicibili

biascicate da bocche profanate

  

più che altrove

lì dove Allah e Dio e Geova

hanno cavato il luogo della recita

stupidi attori inconsapevoli

carne da orazione

per una fede che s’imputtana a ogni parola

che si sputtana ad ogni regola

tu tocchi

quello che il dio è

e vuole

e misuri la grandezza eternità

  

Io

troppo ormai caduto

sono fuori del gioco

ma ancora aspetto e prego

e

ancora

conservo il mio segreto

Attesa

che un giorno il verbo si rifaccia carne

e

come un tempo

abiti tra noi

  

 

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