L’ufficio del personale di Francesco Lorusso, ed. La vita Felice, recensione di Luigi Paraboschi.
L’esergo di apertura di questo libro appartiene ad una poesia di Cesare Pavese tratta dal libro “ lavorare stanca “, e indurrebbe a pensare subito ad una serie di poesie ispirate solamente al mondo del lavoro, alla classe operaia. Forse in alcune di esse il discorso dell’autore è sì orientato esclusivamente a quella realtà attualmente attraversata dalla crisi finanziaria profonda e ancora in essere, ma la lettura accurata di tutti i testi ci introduce molto presto dentro malessere di più ampio genere e non ristretto esclusivamente al mondo della produzione e ai rapporti umani ad essa inerenti.
Il disagio che Lorusso cerca di raffigurare è sicuramente di tipo esistenziale ed affiora molto bene nella seconda parte del volume, quella che si intitola “ aria condizionata “ e successivamente diventa “ non è di maggio “.
L’uomo lavoratore spesso rappresentato in tanta parte della poesia del ‘900, i temi inerenti al lavoro assunti a soggetto di tanti film , la lotta di classe, lo sfruttamento che si nasconde dietro la catena di montaggio e la conseguente alienazione che già Chaplin in “ Tempi moderni “ aveva saputo tratteggiare con bravura, vengono delineati da Lorusso con immagini rapide e chiusure quasi fulminanti, come ben appare da questa breve poesia a pag. 11
Riconosco solo il sudore sciupato
con il progetto di un lavoro
che prosciuga gli obbiettivi.
Senza sfamare la bocca ai sogni
domani ricomincio il turno
che sfarina tutti i miei giorni
Ricordami chi siamo, rientrando,
se ti lego a uno schermo piatto
per difenderci da un contatto scaduto.
E’ questa una delle poesie di più immediata accessibilità di tutto il libro, che, a dire il vero possiede una sua forza espressiva di non facile cattura ed immediata decodifica, costringendo spesso il lettore a ritorni impegnativi ed accurati sopra ogni testo esaminato.
Il panorama che si può intravvedere dentro i testi di Lorusso è denso di quello squallore un poco angosciante comune a tutte le città post industriali che spesso fanno convivere al loro interno realtà abitative emarginate assieme a capannoni spesso in disarmo, come appare in questi versi di pag. 13.
Alla base dei nostri ordini gracidi
ci sono rami di salari amari
vite all’altezza solo dei loro disavanzi
per tutto l’acido del vino importato.
Conosciamo il nostro corpo in regola
dove da gocce di scadenze ignorate
si sono scolorite carte scolastiche
fra rientri di merce in magazzino
e un invenduto perduto tra gli annunci
Anche la vita lavorativa è scompaginata da una realtà sempre in movimento che si rinnova velocissimamente attraverso la tecnologia, come si può leggera a pag. 14
….una pagina ruba l’altra
e moduli sempre nuovi si compilano
a scombinare i ruoli e le suddivisioni
fanno gruppo ad altri smarrimenti di tasselli
alle istanze virtuali nuove sulla richiesta pronta
da una mimetica continua che compone la sera
e ne sgrana la luce al mattino ancora nudo.
E’ quando l’uomo-lavoratore diventa vittima di una sorta di sconforto esistenziale che si spezza quel rapporto sentimental-affettivo indispensabile tra i componenti la famiglia, e tutti i suoi membri diventano incapaci di riprendere in mano le abitudini più consolidate nel tempo o gli oggetti stessi del vivere, al punto che anche le passeggiate serali assieme a compagne o mogli, diventano impossibili , come appare in questa di pag. 19
Osservo la finestra ammainata senza sole
e ripasso fra le falangi il ritmo lento
contro il ripiano ovale del marmo del Sessanta
e l’altra mano al mento fermo della casa.
Si forma un rigo lungo i vetri degli anni
fra me e la vetrinetta che ho alle spalle
quella con i bicchieri di feste antiche
e gli odori degli onori della famiglia
il riflesso si è spento rallentando come il disco
e sa che non mi rassomiglio più molto se sullo squillo
chiedo scusa ancora a Carla, se anche per questa sera
non scenderò con lei in strada a passeggiare.
Come scrive D.M. Pegorari nella sua prefazione al libro : “ un libro che scende nel fondo di una rivelazione drammatica : quella di una scomparsa del soggetto ( e della sua realtà più inviolabile e irriducibile ) sotto i colpi dell’assedio soffocante di una post-realtà virtuale e antiumana, senza origine e senza scopo “ noi lettori assistiamo a questa scomparsa quasi che il soggetto possa “ colpo ferire “ ,poiché egli è traumatizzato, soffocato in partenza da presenze vagamente kafkiane, come quella del padre che appare di pag. 20
Mi raggiro anche oltre
la volta aperta delle porte
senza mai sedere nella sala.
Di mio padre ho il cognome
ma non la sua presenza netta
sotto l’arco lungo delle persone
della rubrica esatta e involontaria
Lorusso si può definire un poeta che lavora sul poco ed è capace di ricavare da questa realtà una riflessione pregna di contenuti nei quali il vissuto assume il vero significato che egli intende attribuirgli. Analizza in poche strofe la situazione dell’uomo del nostro tempo e la retorica che lo avvolge responsabili di creare in lui lacerazioni continue ed oppressive molto ben espresse nei differenti versi di questa poesia a pag. 34
Ogni giorno si attaccano speranze alla pelle
e continua la lotta alle insenatura amareggiate.
Ogni prodotto accessibile possiede l’incarnato tuo
il pensiero che echeggia fra i canali più frequenti
lì dove rivive una vita che non è vita.
Hanno frugato anche nel sonno mattutino
rovinandoci le antiche ore della sera.
Da una piega elettrica trovata tra le pagine
aprirai il nuovo giorno senza il sapore del vero
simile alla forma di potere perduto dalla rosa
che ha ceduto tutto alla cenere dei tempi nostri.
E nella desolazione interiore derivante da una società dove “ il vero si cala in un bolo/ di oscuro verbo gentile ( pag. 40 ) non è solo l’individuo singolo ad essere colpito da questo crollo dei valori, ma lo è pure il paesaggio come si puo’ leggere a pag. 55
I luoghi sono aperti ad ogni oltraggio
è questa la luce di un raggio luminoso
concessa da un montare di parole
dove mancano le sicure indicazioni
e tutte le classi e ai misteri della lotta dentro
la trama tra i colori dello strano ingranaggio
ed anche i punti di incontro collettivi, i momenti di pausa, le ristorazioni non sono esenti da questa contagio alienante, come si vede qui a pag. 62
I ristori sono sempre pieni di gole
come la folla curiosa che aspetta
cianfrusaglie nelle tasche nuove
nate lontano con precisa cadenza
all’interno di un ritmo orario precario
per una voragine che ci gorgoglia dal fondo
Stilisticamente Lorusso si serve di strofe brevi, e versi liberi ma ben cadenzati che si esprimono in liriche di 2-3 strofe massimo dentro le quali appare evidente uno stile di poetica molto ricercata nel quale talvolta le allitterazioni sono sofisticate e di sicuro effetto.
Ne ho scelta qualcuna che dimostra un’ accurata ricerca linguistica non molto frequente negli autori di poesia di queste nostre stagioni inflazionate dai versi.
a pag. 41 : una mano di parole ignare/regna le regola oltre i chiodi lignei
a pag. 43 : un vuoto di folla che folleggia
a pag. 45 : nei pochi percorsi pigri appena pensati