Magnifiche morti e progressive, poesie di Francesca Del Moro

Magnifiche morti e progressive, poesie di Francesca Del Moro

 

      

La partecipazione alla prima edizione della manifestazione “Poeti in itinere alla necropoli romana” lo scorso 28 settembre mi ha portata ad approfondire la mia riflessione sulle morti ingiuste che tendono a passare inosservate nella nostra società cosiddetta civilizzata, presunta incarnazione delle sorti magnifiche e progressive di leopardiana memoria. A dispetto dei progressi nella tecnologia e nelle scienze, permane per il genere umano l’impossibilità di superare l’articolazione delle sue comunità in ceti benestanti e ceti umili, in padroni e servi, oppressori e oppressi. Tale struttura si rispecchia anche in un sepolcreto come quello di Isola Sacra, dove tombe monumentali riccamente ornate si alternano a sepolcri modesti e anonimi che accolgono i defunti poveri. Se la morte, come scrive Totò, è una “livella” che cancella ogni differenza di status e di ricchezza tra gli esseri umani, non lo è altrettanto la storia, non lo è la memoria serbata negli edifici funerari e nei riti funebri. Propongo allora dei versi in ricordo delle morti più umili e trascurate, specchio dei mali scarsamente percepiti della nostra contemporaneità. FDM 

 

     

(dalla raccolta inedita Sovraliminale) 

 

carne in carne corpo in corpo
dissoluzione di continuità
tra la carezza e il morso  

davvero prendono il suo corpo
e ne mangiano tutti
davvero prendono il suo sangue
e ne bevono tutti 

la morte per la vita
la catena binaria
e ancora e ancora e ancora
solo fughe effimere, attimi 

era già tutto nei piani divini
ma l’animale eccellente
non conosce restrizioni
l’animale eccellente ambisce
alla sua creazione
fa il percorso a ritroso, a tappe,
lo allarga a macchia di sangue
in saecula saeculorum. 

Detonazioni sempre più quiete
non fa niente, non fa niente
infiniti slogamenti lenti
lo spirito è sempre stato virtuale
finché lo scenario 
è magnificamente alterato  

ora tutto è compiuto
ma nessuno è immortale 

reductio
omnium
ad unum 

Echad 

sovraliminale 


***


Leggendo
Valpreda 


Sono sempre gli stessi

a volere le piramidi,
gli altiforni e gli obelischi. 

Gli stessi a segnare confini. 

Ne impareremo i nomi
sui libri di scuola,
li manderemo a memoria.  

Lo sapevano già gli antichi
nel preparare i corredi funebri:
la morte non è uguale per tutti. 

C’è anche il suo sudore
in mezzo a quelle pietre
ma lui non alza il viso
verso la grande opera,
ha gli occhi cotti dal sole. 

Nessuno sa il suo nome. 


***


Leggo che un carico

umano
si è guastato. 

Cose che capitano,
inconvenienti del trasporto. 

Inviti a depilarsi meglio,
a mangiare cibi sani,
a usufruire della microfibra
rapiscono l’occhio
di continuo, diteggio
infastidita per tornare
all’articolo, mi fermo
solo un minuto
su un diserbante
in offerta,
questa cosa, giuro,
mi serviva. 


*
**


Pulcini

La lama vorticando
ne sfarina a decine
in un attimo. 

Ma le mani raccolgono
con grazia le posate,
i polsini della camicia
sono stirati di fresco,
immacolati.

 

***


I ceppi a perdita d’occhio
sono fatti per le carezze dello sguardo,
salvano tutto nel bianco. 

Uno scherzo di sole tra le tombe
sembra una piuma e non sai
se di colomba o d’angelo. 

La verità è così indicibile
che in pochi proveranno a parlarne.
La storia sa chi sono i buoni,
le arti fanno la loro parte.

***


Che pacchia

(per Abdullah Muhammed) 


Che pacchia
starsene lì a battere la fiacca
a quest’ora del giorno
mentre gli italiani lavorano. 

Che pacchia
gli occhi rivolti al cielo
il dorso rilassato in appoggio
un sorrisetto sulle labbra. 

Che pacchia
coi pomodori buttati
alla rinfusa tutt’intorno
non li ha nemmeno messi a posto. 

Che pacchia
a cinquant’anni ha già finito
beato lui che d’ora in poi
non dovrà muovere un dito. 

Che pacchia, che pacchia,
con le braccia aperte a croce
sul volto un volo di mosche,
il sole in fronte l’ha baciato,
lui dorme, dorme nel campo.


***

 

Canzone per Isabella
(in ricordo di Isabella Viola)

Passa puntuale
la metro di Roma
ma la giovane donna
non sale.
Si accosta una signora
le chiede che cos’ha
e poi se ne va
senza avere risposta.
Spalle al muro, seduta,
con in grembo la borsa
la giovane donna
neppure si volta.
Stamani la serranda
del bar si alzerà tardi,
non ci saranno dolci
fragranti sul bancone.
“L’ho chiarito al colloquio”
le ha detto il padrone
“Sette giorni su sette,
non uno di riposo.
Mi spiace se stai male,
prendi una decisione.”
E intanto passa ancora
la metro di Roma
sotto lo sguardo assente
della giovane donna.
Non tornerà stasera
a casa a Torvaianica,
non mangerà da sola
la pasta riscaldata
non metterà a dormire
i suoi quattro bambini
non fumerà in balcone
insieme a suo marito.
Non sentirà la sveglia
alle quattro del mattino
non guarderà più l’alba
da dietro il finestrino.
Il suo cuore ha deciso
e, seduta, occhi chiusi,
nascosta tra la folla
che marcia al suo lavoro*
la giovane donna
finalmente riposa
mentre passa e ripassa
la metro di Roma. 

* verso tratto da La ragazza Carla, di Elio Pagliarani

       

 

Francesca Del Moro  è scrittrice, traduttrice, editor, performer e organizzatrice di eventi legati alla poesia. È nata a Livorno nel 1971 e vive a Bologna. È laureata in lingue e dottore di ricerca in Scienza della Traduzione. Ha pubblicato le raccolte di poesia Fuori Tempo (Giraldi, 2005), Non a sua immagine (Giraldi, 2007), Quella che resta (Giraldi, 2008), Gabbiani Ipotetici (Cicorivolta, 2013), Le conseguenze della musica (Cicorivolta, 2014), Gli obbedienti (Cicorivolta, 2016), Una piccolissima morte (edizionifolli, 2017, ripubblicato nel 2018 come ebook nella collana Versante Ripido / LaRecherche) e La statura della palma. Canti di martiri antiche (Cofine, 2019). Ha curato e tradotto numerosi volumi di saggistica e narrativa ed è autrice di una traduzione isometrica delle Fleurs du Mal di Baudelaire, pubblicata da Le Cáriti nel 2010. Fa parte del collettivo Arts Factory insieme a Federica Gonnelli e alla fondatrice Adriana M. Soldini. Come membro di Arts Factory, ha contribuito come traduttrice e performer ai cataloghi, alle opere di videoarte e alle performance di presentazione delle mostre collettive di arte contemporanea Scorporo (2011), Into the Darkness (2012) e Look at Me! (2013), nonché allo spettacolo Rose gialle in una coppa nera dedicato a Cesare Pavese e Luigi Tenco (2018). Propone performance di musica e poesia insieme alle Memorie dal SottoSuono, con cui ha inciso due brani inclusi nelle compilation Leitmotiv 13 (2013) e Leitmotiv 14 (2014) prodotte da Fuzz Studio e ha partecipato alla realizzazione del primo album omonimo (2016). Nel 2013 ha pubblicato la biografia della rock band Placebo La rosa e la corda. Placebo 20 Years, edita da Sound and Vision. Dal 2007 organizza eventi in collaborazione con varie realtà bolognesi e fa parte del comitato organizzativo del festival multidisciplinare Bologna in Lettere e dello staff della rassegna IGiovediDiVersi a cura di Versante Ripido. Cura la rubrica “Poemata. Versi Contemporanei” per la rivista ILLUSTRATI edita da Logos. Attualmente sta lavorando a una traduzione dei Derniers Vers di Jules Laforgue, che uscirà in primavera per i tipi di Marco Saya. 

 

       

Ksenja Laginja, Senzavolto 3, 2019

 

 

 

 

One thought on “Magnifiche morti e progressive, poesie di Francesca Del Moro”

  1. Poesie molto intense e scritte molto bene.
    Colpita da ognuna, ma in particolare da Pulcini, Che pacchia, Canzone per Isabella.
    Brava!

    Rosanna Spina

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