Manifesto non locale della poesia civile di Gabriella Modica.
Andammo a ritroso nel tempo. La società perse gli orpelli fino a bastarsi da sola.
Le ultime scoperte archeologiche e antropologiche sottolineano con vigore crescente quanto quelle dei nostri antenati fossero civiltà intrise di straordinario senso di partecipazione, creatività e simbiosi con le semplici regole della natura e del cosmo, e sempre più di rado parlano di ominidi vestiti di pelli animali e con scarso quoziente intellettivo. Sebbene la situazione attuale sembri propendere più per la seconda lettura, le memorie meno frequentate ci fanno ben sperare.
La poesia civile decide dunque di riprendersi e restituirsi uomo, natura, arte e civiltà.
Tutta la poesia, è civile e non è categorizzabile. Però, rispetto alle urgenze di una società, la poesia civile non ha bisogno di lettori. Le basta esistere.
La poesia civile analizza criticamente le false motivazioni su cui l’uomo struttura la propria esistenza, ne ospita gli aspetti meno frequentati, senza i quali lo stesso si ritrova governato da uno stato definibile in tutti i sensi confusionale.
La poesia civile recupera i punti di contatto fra l’essere umano e ciò che gli somiglia di più: la terra e le sue risorse, come le potenzialità sommerse dell’uomo e la giusta intonazione per l’espressione “diritto alla vita”.
La poesia civile non parla di uomini uniti nel malumore, ma di coloro che, pur senza sfiorarsi hanno compreso che il malumore va trasformato e poi esternato come alternativa possibile, come gesto di rottura che rimette tutto in equilibrio attraverso il coraggio di studiarsi come carta costituzionale del tutto, espandendosi da uomo a uomo, palesandosi nel parallelo fra il malessere ambientale e quello umano.
La storia dell’uomo e la coscienza di popolo sono la stessa materia.
La poesia civile sostiene l’uomo nell’impegnativo atto del suo cambiamento guardando alla riscoperta di ciò che appartiene all’uomo a prescindere dal suo saper fare.
Il suo valore reale è l’indispensabile.
La poesia civile ha la pretesa di essere raffinata perché accessibile a tutti, e presuntuosa al punto da snobbare elegantemente le etichette.
La poesia civile sradica il comune pensare riguardo i temi di salute e malattia, racconta il dolore, non colpevolizza nessuno. Documenta con quale semplicità la terra, subisce in silenzio ma soprattutto reagisce, all’azione dei pesticidi sulle coltivazioni come a quella della menzogna sulla verità.
La Poesia civile restituisce all’uomo il parallelo fra i fondali marini ricoperti dalle scorie delle centrali nucleari, e la memoria intossicata dalle false credenze.
La poesia è civile quando tutti possono comprenderne le intenzioni, perché la sua intenzione ultima è la chiarezza di un percorso comune perché genuinamente individuale.
Quando, infine è veramente tale, la poesia civile è dissacrante.
E allora diventa storia, prima che letteratura.
Come storico fu Rodari, luminare della poesia civile che raccontò le gesta del professor Grammaticus per mettere in evidenza con un sorriso, in che modo la vita può cambiare se non siamo presenti alle più semplici istruzioni per una corretta comunicazione.
Il professor Grammaticus
sentì dire da un tale:
-Questa bomba all’idroggeno
chissà poi se fa male!
Il bravo professore
lo rimbeccò all’istante
– La bomba, signore caro,
è già tanto pesante,
con tutti i suoi megatoni
è già tremenda così,
non aggravi il pericolo
raddoppiando la “g”!
Rispose sghignazzando
quel re degli ignoranti:
– Sono in contravvenzione
per eccesso di consonanti?
– No, signore, non scherzi
con tali materie:
l’ortografia e la chimica
sono cose assai serie.
Al vecchio gas idrogeno
chieda subito scusa,
cancelli dal suo nome
la lettera intrusa.
Poi con la stessa gomma
sa che cosa faremo?
Tutte quante le bombe acca
dalla terra cancelleremo.
(Gianni Rodari)