Maria e Gabriele – l’accoglienza delle madri, di Cinzia Demi: testi scelti e nota introduttiva di Claudia Zironi.
Cinzia Demi è nata a Piombino (LI), lavora e vive a Bologna, dove ha conseguito la Laurea Magistrale in Italianistica.
E’ operatrice culturale, poeta, scrittrice e saggista.
Dirige le Collane di Poesia Sibilla per le Case Editrici Pendragon (Bologna) e Il Foglio (Piombino), e cura per il sito culturale francese Altritaliani la rubrica “Missione poesia”. Per l’Università di Bologna collabora e/o ha collaborato con il Centro di Poesia Contemporanea, la Festa della Storia, la Facoltà di Scienze della Formazione.
È inserita nell’Atlante della poesia contemporanea online Ossigeno nascente, curata dall’Alma Mater Studiorum, Università di Bologna e da Giancarlo Pontiggia, Alberto Bertoni, Marco Marangoni e Gian Mario Anselmi.
Realizza con i suoi lavori eventi di drammaturgia con letture interpretative, musica e arti varie.
E’ organizzatrice e curatrice di diversi progetti ed eventi culturali. Tra i più recenti: Un thè con la poesia, ciclo di incontri tematici con autori di poesia contemporanea, presso il Cafè Marinetti dell’Hotel Majestic “già Baglioni” di Bologna, La cultura partenopea degli anni Duemila. Poesia e musica profeti e testimoni del nostro tempo, lo spettacolo Maria e Gabriele, recital dall’omonimo libro con interventi musicali, Poesia e Musica della Prima Guerra Mondiale, rivolto ai ragazzi delle scuole medie superiori del bacino bolognese, (tutti realizzati presso il Circolo Ufficiali di Bologna), Il femminile sommerso. Archetipi del riconoscimento, ciclo di incontri culturali sulle tessitrici d’amore tradito, progetto promosso dal Comune di Bologna, Quartiere S. Stefano.
E’ presidente dell’Associazione Culturale “Estroversi”.
Molti gli artisti con cui ha lavorato per la messa in scena dei suoi testi, tra gli altri Raoul Grassilli, Gabriele Marchesini, Diego Bragonzi Bignami, Ivano Marescotti.
Ha pubblicato come autrice o curatrice: Incontriamoci all’Inferno. Parodia di fatti e personaggi della Divina Commedia di Dante Alighieri (Pendragon, 2007); Il tratto che ci unisce (Prova d’Autore, 2009); Al di là dello specchio fatato. Fiabe in poesia (Albatros, 2010); Caterina Sforza. Una forza della natura fra mito e poesia (FARAEditore, 2010); Incontri e Incantamenti (Raffaelli, 2012); Ersilia Bronzini Majno. Immaginario biografico di un’italiana tra ruolo pubblico e privato (Pendragon, 2013); Ero Maddalena (Puntoacapo, 2013); l’antologia da lei curata (insieme a Patrizia Garofalo) in omaggio a Giorgio Caproni Tra Livorno e Genova: il poeta delle due città (Il Foglio, 2013); l’antologia di racconti da lei curata Amori dAmare (Minerva, 2014); Maria e Gabriele. accoglienza delle madri (Puntoacapo, 2015). Suoi testi di poesia, narrativa e saggistica sono presenti in diverse antologie nazionali, tra le quali ricordiamo: Una luce sorveglia l’infinito (tutto è misericordia) nella quale è presente con un testo articolato in tre canti dal titolo Ipazia (La vita felice, 2016) e Umana troppo umana. Poesie per Marylin Monroe curata da F. Cavallaro e A. Fo (Aragno, 2016) nella quale è presente con il testo La magnifica preda.
La sua silloge In nome del mare è uscita nel 2015 sulla rivista Italian Poetry Review (S.E.F.)
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Le Marie del Nuovo Testamento, in particolare – certo – Maria di Nazaret e Maria Maddalena, evidenziano un panorama storico e sociale in cui il ruolo femminile si pone come gregario a quello maschile ma viene al contempo investito di un lignaggio fiduciario e sacrale: è Maria di Nazaret – la pura di corpo e di cuore – che riceve dall’Angelo l’Annunciazione e dunque per prima al mondo conosce la volontà di incarnazione di Dio e ad essa assolve senza opporre alcuna resistenza, nell’atto dell’Accoglienza; ed è Maria di Magdala, personaggio dalla natura controversa, associato alla perdizione e alla redenzione – colei che si addossa il ruolo più reattivo e si gira di petto verso il dolore – che riceve la rivelazione della Resurrezione e la Annuncia al mondo.
Le Donne dunque risiedono nella società del primo secolo come degne depositarie della parola e dell’amore divini. Ed è in questa dignità che Cinzia Demi pone le basi per la sua narrazione.
La scrittura di Cinzia, di questi suoi due ultimi libri editi con Puntacapo dedicati proprio alle icone femminili centrali dei Vangeli, che – apprendiamo intervistando l’autrice – si chiuderanno in forma di trilogia, si potrebbe di primo acchito etichettare come poesia religiosa e devozionale. Tuttavia la pregnanza delle due figure mariane nell’incarnare le principali mitologie cristiane della donna e l’ulteriore carico simbolico assegnato loro nel testo indirizzano a cercare chiavi di lettura anche nell’ambito della poesia cosiddetta “femminile”. La Maddalena poi, con il grave posto sulle violenze subite, ci conduce lungo un percorso di riflessione sociale. Un ulteriore attributo della poetica demiana la può accasare nell’ambito psicologico e sentimentale: l’analisi intima scaturisce da una identificazione dell’autrice in entrambe le figure a renderle vive e vicine al lettore, finanche antieroiche. E come afferma Gabriella Sica nella prefazione di “Io ero Maddalena”, poi ripresa da Massimo Morasso nella prefazione di “Maria e Gabriele”: “Non ti preoccupare dunque, caro lettore, di identificare o smistare le diverse Maddalene in quella di Cinzia Demi che di fatto potrebbe a ben ragione dire: Maddalena c’est moi.” Ogni donna potrebbe dire: Maddalena c’est moi. Da notare poi anche come Cinzia si cali – come lei stessa afferma: grazie alla magia dello strumento poetico – nella parte dell’arcangelo Gabriele conferendogli un inedito spessore psicologico.
Maria di Magdala alla quale è dedicato “Io ero Maddalena” incarna sicuramente il lato amoroso, fedele e sacrificale della donna. Ma anche quello indomito e ribelle. Cinzia fa parlare il suo personaggio in prima persona, in narrazione diretta, con il ritmo incalzante delle terzine dantesche. Lo proietta nella dimensione corporea, gli conferisce una credibile collocazione nella modernità.
La giovane Maria di Nazaret invece, in dialogo con un angelo molto vicino al sentire e al pensare umani, nel poemetto “Maria e Gabriele” si esprime in quartine che sembrano voler dare continuità, seppure con marcato cambio di registro personale a bene tracciare distanza tra la poesia e la rogazione, al Rainer Maria Rilke del “Libro delle immagini” citato in esergo. E le parole nonché temi dominanti sono la maternità e l’accoglienza in un’atmosfera serena e permeata di sensualità. L’amore, l’accettazione e il sacrificio sono vissuti qui con giovanili levità e naturalezza, contestualizzati e esauriti nel loro aspetto più doloroso nella precedente produzione del 2013. CZ
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Di seguito vi proponiamo una selezione di testi tratti da “Maria e Gabriele – l’accoglienza delle madri” di Cinzia Demi, Puntacapo ed. 2015:
La casa di Maria
non mi pensate come
se fossi un reliquario un tempo
avevo appesi ai miei chiodi
gli angoli e le vesti della festa
ero le gesta lo spirito
di una donna innamorata
della sua normalità
in me avvenne il miracolo
l’eccezionalità
insieme entrammo
nella storia in noi fu
l’oasi d’ascolto
che a Dio dette la gloria
nel silenzio smarrito
che vedemmo
farsi mistero farsi ordito
le madri sole vi dico
conoscono l’attesa
le madri sole hanno
nel corpo l’accoglienza
l’infiorescenza del polline
portata fin sulle curve dei ponti
sui pennoni sui barconi
di pece e amianto
quando pulsa la marea
della sera quando si alza
un canto un canto che
pare un tepore di nulla
rubato agli uccelli notturni
alle ricolme acquasantiere
dei gommoni alle mani
che benedicono lo stesso
Maria
fu una giornata di primavera
avevo il sole nelle vene
e accadde
come doveva accadere
al mercato volevo un vestito
da sposa cercavo tra i pizzi
e le stoffe
tra le goffe signore dei banchi
cercavo annusavo un ricamo
una piega un orlo un intaglio
bagnato di fiato
di seno che allatta
m’infilavo una veste
provavo un cappello
nello specchio vedevo
il cielo farsi acquerello
lo volevo ricco quel vestito
che si facesse vela condottiero
per Giuseppe un marito
che sa accarezzare
la nuca e la guancia
che sa guardare
oltre la mia giovinezza
un falegname guerriero
che plasma la quercia
e torna a donare un giglio
un marito
con cui pensare un figlio
e costruire una casa
di pietra e sabbia
odorosa di malva e ginestra
una finestra sul cielo di Nazareth
i miei occhi bassi
per un attimo su di lui
persi già i suoi
nel verde dei miei
contavo i passi dalla sua casa
i giorni contavo dall’essere sposa
dal rito felice
e l’allegria del paese
le preghiere più veloci al mattino
per accogliere il sole nuovo
più lente alla sera mischiate
ai ritornelli d’amore
non aspettavo nessuno
alla mia porta sempre aperta
entrava solo la luce
quel giorno più invadente che mai
ma ecco si accende
la tua voce in verità
non ti conosco
ma certo ti ho sognato
immaginato pensato
da bambina nel tempio
inginocchiata sulle preghiere
della prima devozione
ora mi colpisce
il tuo parlare piano
il tuo aprirti a me piccola serva
a me che ascolto
e abbasso la testa
per te una liberazione
un’indecisione che straripa
per me un’Annunciazione
Gabriele
fu una giornata di primavera
aveva il sole nelle vene
e accadde
come doveva accadere
sulla Terra c’ero già stato
solo di passaggio nell’ombra
quasi senza volto
solo con questa luce
che mi porto dentro
che compare
a sfumare i miei orizzonti
nei giorni degli annunci
poi via com’ero venuto
in un attimo sparivo
tornavo nei cieli della gloria
senza storia dai miei compagni
sorridere a una ragazza
e bere fuori dell’osteria
un boccale di vino
vicino mi sentivo vicino
a quel clima gioviale
a quell’allegria di un’età
che era mia senza
cagione senza missione
un tuffo nelle strade
le contrade sgranate
al respiro bancarelle
miele frutti bagliori di pietre
serpenti danzanti
ero goffo e confuso
con le tempie pregnanti
per l’incedere veloce
gioire di un sorriso una parola
almeno una volta una sola
essere parte di questo proscenio
marciare col passo riposato
senza fretta verso il peccato
a cui m’inchino nell’epifania
del mio turbamento
feriale il cammino voglio
riprendere il cammino
raggiungerla intenta forse
a sfogliare verbena
petali a lenire quali
presagio di cicatrici future
maturato erbario per
la sua sorte per un Calvario
livido di morte
-un marito hai un marito
promesso- io intanto
ti guardo di porpora
il volto come la stoffa
del tuo ricamo
ti rifletti e sei una rosa
nell’acqua del bicchiere
che mi offri come poca cosa
insieme al pane
di cui hai piene le mani
forse hai paura
tremi anche tu come me
mi chiedi chi sono
-no Maria parlarti non è
liberazione è un’Annunciazione
che non vorrei farti-
Maria e Gabriele
fu una giornata di primavera
aveva il sole nelle vene
e accadde
come doveva accadere
furono sguardi e parole
un inizio che di più non
poteva avere un saluto
un Ave fatto preghiera
una sera graffiata di stelle
dove il gioire diventa
un comando vibrante di note
dal sapore buono e caro
dove la promessa
seduce il linguaggio
e coraggio richiede la novella
nella parola che pure conduce
a Maria –Maria ti ho seguita
bella nel fruscio
delle vesti nella
periferia della tua convinzione
gli alberi ho abbracciato
e le fronde e i fiori
ho sostato nell’orto Maria
prima di entrare
prima di decidermi
a sfiorare con le ali
le mura che ti tengono
raccolta la volta del tetto
e il letto ruvido
dove ti penso a riposare
ancora un momento
e Lui (non io) sarà con te-