Il cielo e le città, inediti di Vincenzo Mascolo con una nota introduttiva di Rosa Pierno.
Il cielo, nelle poesie estratte dalla raccolta inedita “Il cielo e la città” di Vincenzo Mascolo, pur se visto attraverso gli occhi di altri poeti, non è restituito da un processo immedesimativo senza residui, poiché parla attraverso la voce dell’autore, immediata e riconoscibile per quel verso lungo eppure incredibilmente scorrevole, che risolve ogni asprezza concettuale in un caleidoscopico cangiare di prospettiva e contesti.
In particolare, nella prima delle poesie, “Il cielo di Lisbona (il dolore invisibile di Ferdinando Pessoa)”, se è la realtà, dapprima, a porsi come un limite dell’essere umano (il quale non può contare tutte le stelle che si vedono in cielo), in un battito di ciglia, quella percezione si trasmuta e essa diviene altro: anelito, preghiera, quindi proiezione, disegno. Nonostante ciò, in forma di poesia, di “inutili versi”, fa nuovamente capolino l’impenetrabile realtà. Tuttavia, persino la vita può essere finzione, fino al punto che “il dolore infinito di noi” possiamo ancora crederlo nostro soltanto “al suono delle parole”.
Come il protagonista della Tempesta shakespeariana, Mascolo attorciglia il nastro multicolore che su un verso presenta il reale e sull’altro la creazione linguistica, la quale altrettanto fattualmente ricrea il mondo. Solo dalla loro intersezione può svelarsi la bellezza delle “sere profumate di maggio”, sotto lo sventagliarsi delle stelle.
Il cielo ci parrà subito, nella seconda poesia dedicata a Kafka, il termine dialettico che si oppone a una realtà immaginata, tanto a stento quella inconsapevole decisione sullo stato del proprio corpo potrà porsi come dato concreto.
Ora, che s’insedi un sospetto sulla capacità sensoriale o riflessiva del soggetto, il dubbio conseguente non appare che un gradiente che misuri un’alterazione costante. La vera posta in gioco è lo scambio costante tra ciò che è fisico e ciò che è spirituale, mai mescidando Mascolo a tal punto da rendere omogenei i due poli, ma conservando il doppio passo dell’oggetto e dell’ombra, con le loro sovrapposizioni e persino coi loro nascondimenti, come nella splendida poesia dedicata a Rousseau.
In codesto brillio da sole calante sul lago, in cui, al fine, l’acqua si dissolve e la luce si sostanzia, riscopriamo, con la guida di Calvino nella quarta poesia, un silenzio che diviene spazio, un tempo che costruisce reticoli, eppure, chi crederà che nelle città si abiti materialmente soltanto? È con la poesia che si abita il proprio corpo. RP
Vincenzo Mascolo, nato a Salerno, vive a Roma. Ha pubblicato Il pensiero originale che ho commesso (Edizioni Angolo Manzoni, 2004) e Scovando l’uovo (appunti di bioetica) (LietoColle, 2009). È di prossima pubblicazione Q. e l’allodola (Mursia). Ha curato per LietoColle alcune antologie poetiche. Dal 2006 è il direttore artistico di Ritratti di poesia, manifestazione promossa dalla Fondazione Terzo Pilastro Italia-Mediterraneo.
IL CIELO DI LISBONA
(il dolore invisibile di Fernando Pessoa)
A volte qualcuno viene ancora a trovarmi
specialmente nelle sere profumate di maggio
quando il cielo che avvolge Lisbona
ha molte più stelle di quante io ne riesca a contare.
Ritornano allora tra noi i discorsi di sempre
insieme alle nostre poesie
che in quelle sere pronunciamo ad alta voce per ore
come fossero veramente preghiere
e non gli inutili versi che sono
come se
in quel frastuono di voci che è a me così caro
a poco a poco ogni cosa
potesse di nuovo diventare reale
anche il cielo al di sopra di noi
e tutte le stelle che non riesco a contare
anche la vita che fingiamo di avere
e il dolore infinito di noi
che nelle sere profumate di maggio
al suono delle nostre parole
dal cielo continuiamo a invocare.
*
IL CIELO DI PRAGA
(la lettera invisibile di Franz Kafka)
Mia adorata Milena,
da molto tempo, è vero, non ti scrivo
ma non pensare che ti abbia già dimenticata.
E’ solo che trascorro le giornate
ad osservare il cielo dal mio letto
sognando di potermi alzare in volo
lasciando nella stanza
non so se morto o vivo
il corpo mio da insetto.
*
IL CIELO DI PARIGI
(la fantasticheria invisibile di Jean-Jacques Rousseau)
E se non fossi io ad avere il cielo tra le dita?
Se fosse invece in questo andare controluce
nel primo chiarore del mattino
se fosse proprio qui
tra i sassi irregolari del sentiero
che scorre lentamente come il fiume
e come il fiume nasconde la sua fine
al sovrapporsi incerto dei miei passi?
Se fosse tutto qui il mistero?
Se fosse tutto il cielo in questo stare?
*
IL CIELO DELLA MIA CITTA’
(e di tutte le cose visibili e invisibili)
XII
Amo il rarefarsi della notte
e il risvegliarsi muto degli eventi,
amo il suono impercettibile del cosmo,
il separarsi occulto delle cose
in atomi e molecole, frammenti
della materia che si ricompone,
sostanza indivisibile del tempo.
Così,
di particelle infinitesime d’inchiostro
amo il turbinare che trasforma
la dura concrezione del silenzio
in altro spazio, in una nuova
forma, pulviscolo di corpi luminosi
che passano attraversano i sentieri
delle città, i reticoli del tempo,
chiarore ineludibile del giorno,
sostanza incorruttibile,
poesia.
*
Ho letto e riletto le poesie, ammirata dal riuscitissimo abbraccio tra contenuto e forma, senza riuscire a decidere quale tra i due mi avesse colpito di più, pur sapendo che tale distinzione non ha alcun senso. Amo la musicalità dei suoi versi nella forma ricca (soprattutto) di splendide assonanze, ma che dire delle immagini dei cieli d’altri poeti catturate probabilmente per descrivere i suoi cieli? Ecco allora che leggendo i suoi “inutili versi […] come fossero veramente preghiere” ho riprovato quella sensazione a me tanto cara, vissuta in rari momenti estatici “come se […] a poco a poco ogni cosa/ potesse davvero diventare reale”.
Grazie per tanta bellezza!
Annalisa Rodeghiero