MERISTEMA. Mostra d’arte di ISIDE CALCAGNILE,
di Francesca Eleonora Capizzi
Innesto Spazi di ricerca, via S.Alberto 19, Ravenna, 4 Dicembre 2021 – 16 Gennaio 2022: in una minuziosa ossimorica azione/reazione porzioni di colore si combinano in parti meristematiche: segni vitali nascenti al pari delle cellule, in una catena di rimandi tra vegetale animale/minerale. Esistono confini che dividono? come se l’appartenenza fosse una disputa per il potere di un regno su un altro? La relazione tra elementi diversi è necessariamente una risposta di vita. Iside Calcagnile, nelle sue opere, è “une malade”. Non raccoglie per gettare un qualsiasi elemento al suo destino s-conosciuto. Recepisce, ritrova, raccatta, recupera, riallaccia, e – con perizia e inconsueto ossessivo controllo – celebra un nuovo ordine. Trova legami nelle piccole parti di un corpo, nei punti segreti di un tessuto ligneo, di una amputazione vegetale, di una risonanza cromatica e ce li mostra nei suoi lavori. Ci rende partecipi dei suoi ritrovamenti. È difficile – e un tantino presuntuoso – segmentare per catalogare le opere presenti in questa mostra, a cura di INNESTO SPAZI DI RICERCA; anche il suo è un lavoro di ricerca, e come tale in transito. Trovo opportuno proseguire con alcuni cenni più prossimi a questa o quella opera. Meristema, opera che dà il nome alla mostra, ha una narrazione antecedente e lunga: una storia di vita collettiva popolata da una cittadinanza, da visitatori e visitatrici del Parco Talon di Casalecchio di Reno, per poi incorrere alla fine di un ciclo vitale – dalla forma di panchine su cui sedersi – verso la distruzione dell’abbattimento. È già operare: il mettere in pratica l’idea pulsante di infondergli altra vita [e nuova forma]. Diventano tavole di un trittico assemblate in unica sostanza. Diventano luoghi della pittura. Diventano spazi tridimensionali su cui incidere, intagliare, scavare fino a un punto. Quel punto. Segni di molteplici passaggi. Ho accennato precedentemente ai richiami tra le differenti materie dei corpi presenti in natura; ai parallelismi che anche sotto i nostri occhi si vanno a costituire, magari nei momenti in cui allentiamo il dominio della ragione: del volere capire a tutti i costi. L’opera si mostra. L’opera è in mostra. Che ci siano forze ascendenti e forze discendenti? spazi di caverna e sepoltura? fuoco o sangue? agguato e paura? ricerca della geometria? frammenti di vegetazione a noi sconosciuta? pezzi di carcasse? metonimie? ci conduce una imbarcazione, con a prua il forte muso di un animale? A noi la scelta di vedere.
Nelle pitture su carta Senza titolo le operazioni di pittura e gli interventi – tali mi sembrano – non incidono con lo stesso gesto e la medesima forza, trattandosi di un materiale cartaceo. La pittura si imprime – o si impone – si diffonde su una superficie che esercita minore resistenza, quasi scivoli sul materiale scelto. La concentrazione del colore, il suo utilizzo e impatto, originano dinamiche di contrasto da cui l’immagine trae potenza, pronta a stagliarsi verso una sempre rinnovata dimensione. È solido il legame con la materia che ogni vivente possiede, ma l’invisibile è ovunque, forse racchiuso e impronunciabile forse palese e materico. L’organico è un deposito informe stratificato di racconti. Iside Calcagnile ha avuto il desiderio di mostrarcene qualcuno.
La barba di Dio installa, su una parete bianca, rami provenienti da potature o caduti da alberi. Giorgia Bergantin ha scritto nel foglio di sala per la mostra: La barba di Dio è una casa per rami orfani. Strappati dall’albero madre, trovano riparo in uno spazio vergine in cui ciascuno coltiva la propria autonomia… Se la natura divina è inconoscibile al mondo umano: non lo sono le sue propaggini, le sue estensioni, le sue ramificazioni, i suoi segni sparsi e concatenati necessariamente – perché la vita possa esserci – alla vegetazione. Una vegetazione, considerata e protetta da Iside Calcagnile, pronta ancora a stupirci anche da una parete.
Attribuire la barba a Dio è forse il tentativo metaforico di conferirgli una statura più simile all’umano. Un avvicinamento per potere a Dio rivolgersi. In questo attributo della barba non c’è divisione tra femminile/maschile – trattandosi poi di rami che fuoriescono da misteriosi divini bulbi – in quanto ogni essere umano li contiene entrambi. E volendo estendere, alcuni animali e vegetali posseggono ispide, proterve e fluenti barbe riportandoci ancora a cogliere altre relazioni.
« […] È profeta il cuore, come ciò che essendo centro si trova su un confine, sempre in procinto di spingersi più in là di dove già si è spinto.» (da Chiari del bosco di Maria Zambrano)