Mi è stato chiesto toni perché corri, poesie di Antonio De Biasio con una nota introduttiva di Paolo Polvani.
Antonio De Biasio, 1955. Coautore, con S. Pegolo e G. Villalta, di Diritto alla poesia. Il poeta e il suo manuale (1992), ha pubblicato, nella variante friulana di Montereale Valcellina, Cla(p)s contro la not (1998), Poesiis fatis de corso (2003); in italiano, Quasi alla deriva (2005), La via della seta (2009). Crede che la poesia sia poesia indipendentemente dalla lingua utilizzata (ha vinto premi per poesia in veneziano, in friulano, in italiano); e indipendentemente dagli argomenti trattati (ha vinto premi per poesia d’amore, poesia di argomento podistico, poesia erotica). Ha scritto rari racconti brevi. Laureato in cinese, da trent’anni guida viaggi in Cina. Ha pubblicato la ricerca storica Odorico da Pordenone in Cina (2013). Lavora come tecnico di campo per il Servizio fitosanitario.
Perché si corre? me lo chiedo ogni volta che corro e non trovo una risposta definitiva; la corsa ha a che fare con la paura? personalmente credo di si, poi ognuno ha una sua motivazione, ma ritengo che una componente di paura sia presente in chi corre: paura d’invecchiare, di morire, di perdere il treno, di non farcela, di non godere abbastanza della vita, di dimenticare qualcosa, ecco, per me personalmente entra in scena la paura di perdere l’appuntamento con il mare, con il cielo, con quella sensazione di beatitudine che regala il ritmo del respiro al cospetto del mare, del cielo, della campagna; la paura di perdere quella sensazione di benessere, di allegria, di felicità che regala il dopo corsa, che sappiamo dovuto alle endorfine, l’ormone del sentirsi bene. Lo scrittore Murakami ha scritto un libro sulla corsa, L’arte di correre. Nella prefazione dice: “Somerset Maugham ha scritto che anche nell’atto di farsi la barba c’è una filosofia. Il che significa forse che, per quanto banale sia un’azione, se ripetuta spesso ingenera una sorta di intuizione estetica. Concordo dal profondo del cuore con l’idea di Maugham, quindi può darsi che, annotando le mie personali e modeste riflessioni sulla corsa, io non sia sulla strada sbagliata, tanto come scrittore quanto come corridore… Comunque l’attività che consiste nello spostare concretamente il mio corpo nello spazio, attraverso una sofferenza diciamo opzionale, mi ha fornito un’occasione estremamente valida di apprendimento. Forse non funziona così per tutti, ma per me sì”
E sempre a proposito di quell’attività che consiste nello spostare concretamente il corpo nello spazio, Frederic Gros ha scritto un bellissimo libro: Andare a piedi. Filosofia del camminare, dal quale scopriamo che Nietzsche ha scritto tutti i suoi libri marciando di gran lena nei boschi, che Kant aveva un suo percorso obbligato, a piedi. E che buona parte della filosofia occidentale è nata così, in marcia. Anche il mondo poetico ha conosciuto figure di grandi camminatori, Campana per esempio, Robert Walser, e prima ancora Rimbaud, cui Gros dedica un intero capitolo dal titolo La smania di fuggire, che inizia così: “Per Verlaine era ‘l’uomo dalle suole di vento’. Lui stesso, giovanissimo, aveva dato di sé questo giudizio: ‘Non sono altro che un pedone’. Rimbaud camminò per tutta la vita”.
Ora la corsa e la marcia non sono esattamente la stessa cosa, ma in comune hanno la smania di fuggire, la paura di perdere qualcosa, o di essere sopraffatti da qualcosa. E comunque risultano un meraviglioso incentivo alla creatività. Come risulta dalle poesie di Toni che vi proponiamo. PP
Queste poesie le penso sulla strada
Queste poesie le penso sulla strada
Quando al paesaggio ormai non ci si bada
Quando un piede si gonfia o stringe un laccio
Quando dico mi fermo e non lo faccio
Quando sembra finita ed è infinita
Quando più non ho unghie non ho dita
Quando non manca che qualche chilometro
E a correre non resta che il cronometro
*
Mi è stato chiesto toni perché corri
Mi è stato chiesto toni perché corri
Ho risposto perché ho un bue dentro il cuore
E amo sentire tendini e tensioni
La fitta che si scioglie all’adduttore
I muscoli contrarsi il sangue in piena
Ogni cellula vivere ogni fibra
Le gocce di sudore per la schiena
Il fiato corto il costato che vibra
E dar spazio ai pensieri per vagare
Per saper meglio quello che non vale
*
Lunghissimo
Tienti lungo la diga
Dove il terreno è smosso,
O ai margini del fosso;
O corri sulla riga
Dove l’erba si aggrappa
Ai bordi dell’asfalto.
Se ti fa fare un salto
Una lepre che scappa,
Fa’ un respiro profondo;
Passata la paura
Riprendi l’andatura,
Tre passi ogni secondo:
È il ritmo naturale
Per sillabare i versi,
Per non sentirsi persi
Se un muscolo fa male,
Per non guardare avanti
Quando non è finita
Ancora la salita,
Quando i piedi pesanti,
Pestando sulla via,
Scandiscono gli accenti,
E crei collegamenti
Tra podismo e poesia…
L’ho detto anche a Milena
Non più di tre ore fa:
La mia Musa? Chissà,
Forse è solo una pena
*
Lijiang, sul lungofiume
Ho corso il lungofiume
Un po’ prima dell’alba,
Qua e là la luce scialba
Di qualche ultimo lume;
Le moto erano rare,
Poche le biciclette,
Lente le strade e strette:
Era comodo andare;
Con le radici in cielo,
Secolare guardiano,
Un enorme baniano
Tesseva un grande velo;
Pulsava, era un rumore
Il sangue nelle vene,
L’ordito, le catene,
La trama ampia del cuore
*
Bilancio dell’annata
Ho un tendine che duole:
Prima che mi si scassi
Rinforzo un po’ le suole
E aspetto che mi passi.
La stagione è conclusa
Posso fermarmi ora,
Non ho nessuna scusa
Per proseguire ancora.
Ho fatto strade dure,
Salite senza fine,
Discese malsicure,
Prati, boschi, gravine…
Sono caduto, a volte,
E ho sempre continuato;
Vittorie non ne ho colte,
Ma qualche risultato
– Non serve che mi lagni –
C’è stato anche per me
(Merito dei compagni
Che han tirato per tre…)
Ho gareggiato tanto,
Ho corso ancor di più,
Ho un unico rimpianto;
Spesso non c’eri tu
*