Mickey house, poesie di Gabriella Montanari

Mickey house, poesie di Gabriella Montanari.

  

   

ER DIVO

lo riconosco subito, anche di spalle –
ha in testa una matassa di fili d’argento
e in bocca l’inconfondibile parlata
da pugliese adottato dalla Lupa

si piazza davanti alla mia bancarella,
prende in mano un orribile Lalique
e mi rivolge un «a caruccia, quanto mo’o fai pagà?»
mi sta per uscire Maestro…
ma aggiusto il tiro
«facciamo che ti pago io se te lo porti via, Michele»

i VIP sono spiazzati quando li tratti da banali umani
che come tutti gli umani
e come tutte le bestie
e come tutti quelli che stanno a metà strada tra i due
mangiano, cagano, scopano (i più fortunati), ronfano e
l’indomani ricominciano a mangiare, cagare, scopare
(sì, sono decisamente fortunati), ronfare e così via
finché un ictus o uno tsunami se li porta via

il divo se ne va con un paio di obbrobri scroccati,
l’aria soddisfatta di chi ha fatto ancora centro
e il mio numero di cellulare 

non chiamerà, non m’illudo
quelli della sua specie si accoppiano solo tra simili
e invece due giorni dopo arriva l’invito per un caffè
alle 8.45 – perché poi iniziano le riprese –
puntualissimo sotto la pioggia,
il viso troppo tirato per gli anni che cela,
due croissants, due cappucci con poca schiuma
e la mia domanda scontata «di cosa tratta il film?»
non lo avessi mai fatto…
è uno sproloquio onanistico
che non si accorge di me,
del tempo che passa
e del conto che aspetta di essere saldato

intanto nelle sale è uscito il suo film
– un francesissimo navet
un’italianissima sola
eppure fingo le felicitazioni di circostanza
«ti va di cenare insieme?» – chiede
ma sì, voglio vedere fin dove osa spingersi
il grande Maestro

stavolta glielo faccio io il casting…
tenuta a tavola: da osteria di Testaccio
conversazione: stimolante quanto le Fave di Fuca
simpatia: la stessa di un clistere

i cellulari a portata di mano,
gli aneddoti sulle infedeltà croniche di “Quelli che il Cinema”,
lo stuzzicadenti spuntato tra le labbra carnose
e altre simili delikatessen…

paga il conto salvandosi in corner
«ti va di salire a bere qualcosa?»
«certo, non è tardi» – rispondo
pensando che di più scontato di quest’uomo
c’è solo la messa della domenica mattina
entriamo,
ai muri quadri da affitto ammobiliato,
camice spiegate sul letto
dice che vuole fare un film su Caravaggio
steso sul divano, il braccio attorno ai miei fianchi,
la sua maglia di cashemere blu-marine è soffice
come la pelle del torace,
non porta la canottiera,
bacia ancora bene
«già, maestro, quante allieve in bottega?»

contro la finestra spalancata su una Parigi complice
si pressa contro il mio corpo che prima esita
poi rinuncia a essere facile preda
«si è fatto tardi, mi riaccompagni?»
questa volta sarebbero bastate le buone maniere
per fare centro,
coglione.

    

Da “Arsenico e nuovi versetti”, Ed. La Vita Felice, 2013

***

MICKEY HOUSE

Adesso c’è anche un topo
o forse un’intera nidiata
tra i muri di casa
Sembrava una ciocca di capelli
o un bioccolo di polvere
poi invece la cosa informe si è mossa
ha attraversato il MIO spazio
come un brivido sulla schiena
come una dichiarazione di guerra
Ora ci affrontiamo su un terreno minato,
imbottito di tagliole e bocconi avvelenati
e sento che finiremo tutti stecchiti prima di lui
che ci osserva dalle cavità oscure delle nostre paure
dalle voragini viscerali delle ansie puerili
seduto in prima fila davanti allo schermo delle fobie in technicolor

il panico in continua crescita, come i suoi incisivi

Se la ride sgranocchiando pop-corn alla stricnina
e ruttando alla salute di noi cricetidi su due zampe

Il maledetto mi rode i nervi
già da tempo sfilacciati ed esili come fili di ragno
mi rosicchia i lobi del cervello cariato
aspetta un segnale per negoziare la resa
mentre io cerco ovunque il suo cadavere
Lo voglio duro, secco e immobile
più morto della morte stessa
innocente e giusto come le anime dei trapassati

Magari desidera solo un po’ di compagnia e una manciata di coinquilini
visti i tempi che corrono, l’inflazione, la proliferazione di gatti e gattare,
la derattizzazione compulsiva, le psicosi collettive, il cambiamento climatico
e la primavera araba
Di certo si è perso
come noi tutti
e ha imboccato il cunicolo del non ritorno
Lo schifoso mira ai piani alti, agli inverni caldi, alla
luce dei benestanti
lui, noi
creature del buio amniotico votate al silenzio incolore
di una pattumiera

la differenza sta nella taglia, nelle misure
non certo nella provenienza, né la destinazione

Ma tra bestie un accordo lo si trova sempre
gli proporrò di pagare il pizzo
o la sua quota d’affitto

    

da “Oltraggio all’ipocrisia”, Lepisma Edizioni, 2012

***

CIULINO 

(Giocatore di tressette e cacciatore di starne)

abbi pazienza,

una cosa alla volta…

di chiamarti babbo, per adesso, non se ne parla
ma oggi sei di nuovo auvghiusto,
ucciso a colpi di bile
e resuscitato un pomeriggio di sole bianco
da tua figlia zingara, la stramba di casa
accovacciata sulla tomba di gregory corso,
un tacco smarrito nella ghiaia
la pancia piena di pizza al taglio

al telefono stento a capirti
no, non è la linea, è che incespichi nei suoni,
poi nei pensieri
o è la dentiera, “ma l’hai messa?”
non sforzarti
va bene lo stesso, so che sappiamo

dopo la malattia del silenzio
ci vuole convalescenza di lettere, poi sillabe
e le parole verrano
quando l’anticoagulante per il cuore avrà fatto effetto

intanto riprendimi
un po’ più bastonata, madre difettosa, così mollusca senza corazza
e tu datti un contegno
siamo alla pari, adesso

hai la scorza dura, me l’hai passata nei cromosomi
eppure stiamo qui come fontane mute
a mandar giù orgoglio e a tirar su col naso

però aspetta, abbi pazienza

una cosa alla volta…

ora riattacco

la TIM dice di ricaricare
se non voglio restare

a corto di parole.

     

Da “Abbecedario di una ex buona a nulla”, raccolta inedita, 2014

tn_martin e lewis VERT

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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