Mummy, poesie di Elisabetta Sancino

Mummy, poesie di Elisabetta Sancino.

    

    

Elisabetta Sancino è laureata in Lingue e Letterature Straniere Moderne e vive in provincia di Milano, dove insegna lingua e letteratura inglese in un liceo linguistico. Da vent’anni lavora anche come guida turistica di Milano.
Diverse sue poesie sono state segnalate o  premiate in numerosi concorsi nazionali (tra gli altri, primo posto al Premio  Claudia Ruggieri 2018, secondo posto al Premio Nazionale Scrivere Donna, ed. 2017, segnalazione al Concorso Bologna in Lettere 2019) e sono presenti in antologie, riviste e siti specializzati.
Nel novembre 2016 è uscita la sua prima raccolta poetica dal titolo Frammenti viola,  96, rue de-La-Fontaine Edizioni.
Nel maggio 2017 è stata pubblicata una versione illustrata della silloge poetica in edizione limitata, presentata al Salone di Torino.
Nel maggio 2018 è uscita la sua seconda silloge, Il pomeriggio della tigre, ed. Terra d’Ulivi.
Attualmente è tra i giurati della prima edizione del concorso nazionale Versante Ripido (sezione poesia edita).

     

COMETE

Si è necessari quanto la nebbia a gennaio
che ci riporta a casa, e ci bagna i vestiti
perché qualcosa in noi somiglia a una musica
suonata sui fili di brina, a notte fonda,
quando l’unica chiocciola rimasta
tossisce sul davanzale, e le fa eco
un bambino che non ti è più dentro
ma continua a riconoscere la tua strana
curva sonora, le corde vive di un grembo
per sempre stillante, per sempre conchiglia
fluorescente che nutre.
Se ami gli uomini sai perché tornano
dove il buio partorisce comete.

*

MUMMY

Sono ancora una madre
ma sono stata anche un gatto
una foglia secca
una tigre molto viola
un frammento di stella
non avevo nessuna idea
su come spingere fuori una vita
aggrappata alle mie membra
nutrire la sua fame incessante
di favole e musica
io non ho mai pensato
alle sequenze previste
ai gesti scontati
ho deluso tutte le attese
sgocciolavo come una fontana di latte
io che ero solo ossa rotte
occhi pesti
costole incastrate tra i denti
non ci ho mai creduto davvero
che una vita s’insinuasse tra i miei libri
le macchie d’inchiostro
certi indicibili pomeriggi
in cui incidevo rune
mi affacciavo a quei precipizi
che non sono fatti per dei figli
nemmeno per degli amanti
ma erano il mio mondo
lo sono ancora adesso
e io li contemplo incessantemente
mentre cerco di districarmi senza ferirli
tra un amore feroce
e il buio.

*

AMOS

Lascia che io ti vegli
come una stella variabile
sul tuo capo nascosto
come quando mi danzavi l’amore
nel calore del grembo
e ti sentivo spingere
con quel tuo muso da volpe
e già ti sapevo forte e fulvo,
magico scudo nel buio.
Chiedere di più, lo so,
non avrebbe senso
perché ora ti posso guardare
abbracciato ai sogni
come agli alberi
che promettono canti.
Dormi anche per me
mentre io sempre veglio
e resto in preghiera
stillando amore come cera
da questa mia storta candela.

*

ADOLESCENTE                                                                           

Io lodo il tuo corpo onirico
il nodo azteco dei tuoi capelli
le tue braccia che vorresti già lunghissime
per spostare il cielo,
portartelo dentro
con le stelle, la cometa rossa, la luna
e tutta la luce che il tuo corpo brama.
Questi versi li ho scritti a mano per te
che stai sbocciando come le creste dei campi
e incanti.

*

EREDITA’                                                                             A Sylvia Plath

Ho dato ai miei figli quello che gli spettava,
braccia di polvere, uno  stomaco per digerire il sale
sulla crosta del pane duro
ho dato ai miei figli più di una sera
in cui avrei potuto uccidermi o fare l’amore
li accarezzavo continuamente
senza mani, perché intanto cuocevo fiori
e grattavo il fango dai quaderni
a volte uno di loro si avvicinava
e diceva: sei bella e la macchia scura
sotto l’occhio sinistro bruciava
come un cuore balzato in faccia
non sono mai riuscita a tenermelo
in mezzo alle costole, era come infilarsi
un’anguria in bocca
Troppo grande, mamma
taglialo a spicchi quel cuore
getta la parte dove spunta l’anemone
dove non cresce niente, lì è perfetto
ma in me persino il vento attecchiva
in me follia e primavera infinita.

*

        

Paolo Figar, Scarpette d’oro

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