Naim Araidi, ambasciatore di Pace, di Beppe Costa.
Spesso s’usa scrivere che i poeti non muoiono mai ma, nel caso di Naim Araidi, questo non è molto o per nulla vero. L’autore di versi è anche stato un docente universitario, insegnando arabo agli ebrei ed ebraico agli arabi (qualche battaglia in questo campo la si può immaginare), di religione drusa (che non esterna simboli e non ha luoghi di culto se non il proprio corpo), diffondendo e traducendo corano e bibbia, testi di Giuseppe Savio, classici greci e latini e una particolare attenzione per la cultura classica.
Israeliano – arabo – druso, (Maghar 1950, ai confine con la Siria) questo già di per sé rappresenta un impegno notevole per chi nasce in uno stato ancora in fasce – Israele -, imposto a popolazioni non in grado neppure di immaginare il futuro che ne sarebbe derivato. Il suo impegno anche in poesia (oltre che in trasmissioni televisive condotte), nelle università (Haifa soprattutto, ai confini con il Libano) e, per un breve periodo come ambasciatore in Norvegia è stato quello di far conoscere le ragioni degli uni e degli altri: ebrei e arabi, gli errori dell’occidente, l’enorme flusso di denaro che, quasi sempre, viene utilizzato per le armi, difesa o offesa è un palliativo usato da chi fornisce il mezzo.
Durante la Seconda Intifada, temendo che arabi ed ebrei non riuscissero più a dialogare, fonda (prima nella propria casa) il Nissan Festival, invitando poeti arabi ed ebrei e, successivamente negli spazi forniti dal suo villaggio, poeti da tutto il mondo, fino a diventare un luogo d’incontro fra i più importanti del mondo arabo.
Tradotto in diverse lingue e scoperto l’importanza della sua poesia, abbiamo insieme a Stefania Battistella e Igor Costanzo, deciso di pubblicarlo in italiano (nella collana Inediti rari e diversi, nel 2013), cercando di diffonderlo nella nostra lingua. Impresa difficile, non tanto per la lingua, quanto per la sua riservatezza e umiltà (conoscendo le nostre difficoltà e tenendo più all’amicizia che alla pubblicazione) al contrario di ciò che di solito avviene con i poeti nostrani. Così in varie occasioni e con passioni ed emozioni provocate dai suoi testi in vari insegnanti abbiamo avuta la possibilità di farlo intervenire in diverse scuole italiane, incontrando oltre duemila studenti e suscitando l’interesse di molti giornali (Corriere della sera, Il Tempo, Il Giornale di Brescia, la Gazzetta di Mantova solo per citarne alcuni).
Fino alla decisione di invitarlo al Festival di Sirmione e premiarlo alla Carriera a Moniga del Garda, in occasione della sua quinta venuta in Italia.
Purtroppo ciò non è avvenuto, ricoverato a fine agosto, il 2 ottobre Naim Araidi ci ha lasciato con le sue ultime parole: “Ho affrontato di peggio, sono forte e vincerò!”
Non è andata così: con lui è scomparsa per molti una strada da seguire, un insegnante generoso, profondamente umano e per questo, molto umile. Noi tutti, quei tanti che l’anno incontrato difficilmente riusciranno a dimenticarlo: progetti di continuare negli incontri con i giovani, gemellaggio col Nissan Festival che, sappiamo in questi giorni che proseguirà il proprio impegno, certamente non sarà facile realizzare: non tanto quindi e non solo per la poesia, quanto per il lavoro di conoscenza e di approfondimento che manca rispetto ai due popoli, alle due lingue, alle tante religioni che Naim portava avanti con determinazione.
Certo la poesia rimane, almeno quella finora pubblicata in molti paesi e per quel poco che abbiamo potuto fare con le nostre poche forze. Per questo lasciamo leggere senza alcun altro commento questi versi, in parte tratte da Canzoni di Galilea e dall’antologia SignorNò! (Seam edizioni) in parte tradotte dal greco e dal francese.
Molte altre informazioni su di lui si trovano su Wikipedia, in rete e tante registrazioni su Youtube in arabo e, in inglese, soprattutto la conferenza sulla democrazia tenuta a Oslo.
Amiamo la letteratura
Abbiamo tristezza sufficiente per una e mille canzoni
abbastanza rossore per la nostra pelle orientale
una parte per la guerra,
una per sconfitte e inganni
una dolce madreterra è dentro di noi
noi, duplici, pigri, miraggio nel deserto
siamo un rebus!
Tristezza non abbatterci, nati da sanguisughe
camminiamo tuttavia dolcemente sulla sabbia
dormendo su tappeti in terre deserte
dentro di noi
la crudeltà, i beduini, i pastori sulle colline
a piedi nudi delle strade
oggi
come nelle giornate più lunghe
Oh tempi arabi!
Oh tristezza non trattarci con la crudeltà di sempre
amiamo la letteratura!
amiamo la Letteratura!
*
Ho visto
Intorno alla mia candela
ho visto una farfalla rara e strana
non c’erano tenebre nella notte,
nessuna paura su cui meditare
tristezza, solitudine o l’amore, io non so
solo una farfalla o forse un vento
quando inizia a soffiare
non so davvero, ma qualcosa ho visto
cose senza nomi né identità.
Non fuoco
non vento
non sabbia
non acqua
questo è quello che ho visto.
*
Parlando degli ulivi del paese
Parleremo degli ulivi del paese
e dell’olio d’oliva dei territori
forse troveremo un linguaggio comune
la metà della mia vita vissuta da solo
sulla porta di casa tua
e l’altra metà ancora alla ricerca
di un nuovo titolo
ai racconti di Scheherazade.
Vieni a sederti nella baracca
sotto la volta del cielo
mangeremo fichi e melograni e grappoli
d’uva a piene mani.
Noi non ci sposeremo e non daremo bambini
alla Galilea, affinché il monte Carmelo non insorga
e il poeta non gioisca per i nostri peccati.
Noi dobbiamo riconquistare la nostra cultura
per ritornare al cielo.
*
Sugli scaffali della mia vita
Sugli scaffali della mia vita poesie e racconti
la polvere cancella vecchie tracce.
Ogni volta che sfoglio le pagine interpreto i segni
lasciati per poter proseguire.
Sugli scaffali della mia vita fiori
gemme e ricordi non ancora nati.
Inutile guardare indietro
per far tornare il tempo già trascorso
Il mio amore legge ricordi lasciati da altri
mi tiene prigioniero sul suo ventre
sorreggo gli scaffali della memoria
affinché non cadano sulla mia testa
e sul mio futuro.
Sugli scaffali della mia vita ho lasciato cose
che non ho potuto vivere:
il mio amore è davanti a me
i miei genitori
alle mie spalle.
*
Molti popoli accorreranno
Molti popoli accorreranno
e io sarò in mezzo a loro
un uomo che porta agli uomini
la poesia.
E hanno preparato le loro spade
aratri
e hanno portato solo le loro falci
a volte salmi
e io sarò fra loro
un uomo che porta agli uomini
la poesia.
I nemici diventano amici
come il cavallo del buon cavaliere
i soldati uccisi in guerra
loro sono martiri,
e quelli che vivono in pace
vivono grazie a quelle morti
Ma i poeti nella vita e nella morte restano
poeti,
e io sarò fra loro
un uomo che porta agli uomini
la poesia.
Il violino non ha affatto l’ardore
lontano dalle mani dell’uomo,
e quando in estate si scalda la pietra
possiede l’anima e forse anche il sangue.
L’uomo sbaglia
s’infuria e s’agita e insulta
ma
passata la tempesta dimentica
e chiede scusa per qualsiasi cosa.
E suona una nuova melodia
e io sono in quel suono
un uomo che porta agli uomini
la poesia.
Gerusalemme dall’alto è al di sopra
Gerusalemme in basso è sopra la terra.
Prendi l’unica che hai amato
io prenderò la mia
incontriamoci a metà strada
tra cielo e terra
e molti popoli accorreranno
e io sarò fra loro
un uomo che porta agli uomini
la poesia.
*
Sul massacro dei bambini
a)
I bambini in tenera età si fissano occhi dentro gli occhi,
e parlano l’uno all’altro
nel silenzio fragoroso del linguaggio della morte.
Non riuscivo a capire:
i bambini in tenera età vivono
e ancor più teneramente vanno alla morte.
Così il poeta scriveva
non in ebraico, non in arabo né in un’altra lingua,
i bambini massacrati non hanno lingua,
come il cielo testimonia.
Sembrava parlassero
ma non riuscivo a capire,
i bambini in tenera età vivono
e ancor più teneramente vanno alla morte.
Così il poeta scriveva.
Mio Dio, che sei stai in cielo,
che comprendi molto di più
tutto ciò che con la tua saggezza hai inventato,
la tua sapienza mi sovrasta,
e non ti accuso.
(b)
Per un momento cose che non devono
essere dimenticate vengono dimenticate:
l’uomo possiede la ragione,
l’animale il cervello,
ma non sono sicuro
per chi dei due sarebbe più facile capire,
quando il poeta rivela,
il crudele segreto della morte.
Morte qui, morte là,
un bimbo qui, una bambina là,
figlia qui, figlia là,
strappati alla vita condotti alla morte:
un pianto non ancora iniziato,
un pianto non ancora finito.
*
In tempo di guerra la mia voce grida
In tempo di guerra la mia voce grida
e l’inchiostro si asciuga sulla penna.
In ogni caso
non sarà con me.
So che il dolore si scrive
quando finisce la guerra.
Nel frattempo gli aerei volano
sopra la mia casa.
E in tempi di guerra non sappiamo
cosa dire ai soldati
che sono caduti,
Io combatto lo speaker quando,
conta i morti mentendo, l’ipocrita:
in tempo di guerra la mia voce grida
quando ogni forma mi passa davanti,
non resta che spogliarsi
durante questa lunga assenza.
Nel frattempo mi abituo al silenzio
come far passare la guerra in pace,
e ottenere la pace dalla guerra
in ogni caso non si conosce il pianto
si scrive,
finalmente ti spogli
e mostri i segni,
di ciò che hai lasciato
e di quello che rimane
pur tuttavia in tempo di guerra
la mia voce continua a gridare.
*
il Maestro
Ogni anno il Maestro è crocifisso
crocifisso da
credenti,
amanti
e da tutti i colpevoli
Il Maestro è lontano dai nostri occhi
nessuno può vederlo
non vuole essere visualizzato da chiunque
io solo lo immagino
appeso a un cavo
sospeso tra cielo e terra
donando alimenti a poveri e ricchi
così sono capaci di crescere
trovando cure a mali d’ogni genere
ma loro rimangono sempre una malattia incurabile
tanto che il Maestro piange forte
È il pianto di dolore e di follia
che fa tremare terra e cielo
e così i malati, i deboli e i forti
se la prendono con lui
ancora verrà crocifisso,
finché la terra sarà sotto e il cielo sopra…