Nebbia, vento e altri fatti – poesie 2007-2012 di Ernesto Ponziani, Ilmiolibro 2014, nota di lettura di Luigi Paraboschi.
Se vi accingerete a leggere questo volume di poesie lasciate cadere l’illusione che vi potrebbe cogliere al primo passaggio di trovarvi di fronte ad un lavoro “facile“ visto che la scrittura di questo autore induce anche lasciare sorgere qualche sospetto di questo genere, considerata la semplicità del linguaggio usato, la forma molto breve dei lavori, la mancanza di quella “sentenziosità“ che può indurre i lettori meno smagati ai facili applausi.
Ma Ponziani lascia molte tracce di sé, come Pollicino nel bosco, e si deve seguirle con cura ed attenzione se si intende ritrovare il senso della sua poetica, o meglio ancora, il suo sforzo di lettura del mondo.
Una chiave credo di averla intravista in questo breve testo, dal titolo indicativo di “Tracce“
La notte è una brace lontana, un timore, un passo sicuro.
Quanti di noi attraversano l’esistenza
silenziosamente
impronte appena marcate, sghimbesce
scomparse
al primo chiarore. E quanti avrebbero diritto
alle loro tracce
a che noi si possa approfittare delle loro intuizioni.
La vita è per pochi. Una notte lontana. Una brace sicura.
Ho volutamente messo in grassetto i versi che mi hanno fornito l’avvio per una lettura non superficiale ( spero ), perché l’autore sembra voler dire al lettore “cerca le mie intuizioni, segui le mie tracce, io, come tanti, ho diritto di essere compreso, approfitta di ciò che ti indico“
E come procedono le intuizioni del poeta?
La mia impressione è quella di trovarmi di fronte ad un osservatore lento, paziente, meditativo.
Non a uno scrittore di getto, (o se lo è, sono convinto che la sua scrittura proceda per appunti su appunti per essere alla fine “montata” con una regia la più sintetica possibile), bensì un osservatore notturno, un meditativo paziente, a volte perso ad inseguire il filo della immaginazione, magari per scoprirsi identificato con un oggetto o un lombrico, come in questa poesia dal titolo
Insofferenza:
nella notte torrida mi sono appiattito
verme lucido
sul terrazzo sotto le stelle sfocate
mi sono immaginato un corpo verde
e forte
come la mente vorrebbe
ma sono come quel vecchio divano
solitario
i cui cuscini scivolano sempre a terra
tutte le volte si apre un’oscura fenditura
e ogni volta
dopo averli sistemati odo un grugnito
come di insofferenza
Talvolta la lettura di queste poesie induce ad un giudizio sintetico che porta a dire : “più che di poesie si tratta di aforismi , quasi pillole di saggezza“, come in queste che trascrivo.
Mutazioni
Quando il cielo cadrà
non farà rumore. Solo
i ciechi potranno avvertire
l’insolita pressione
sulle palpebre glabre.
di fronte alla quale viene voglia di chiedere : “quale cielo?” E ancora “perché le palpebre glabre“? ma ciò significherebbe perdersi in una ricerca sterile, fine a sé stessa, quasi come se di fronte al quadro “la bevitrice di assenzio“ sia nella versione di Degas, che in quella di Manet o in quella di Picasso, noi potessimo chiarire quali fossero il loro pensieri di fronte quel bicchiere pieno di liquido verdastro.
Noi sappiamo che nei tre personaggi ritratti vi sono pensieri, tristezze, solitudine, e lo stesso avvertiamo in queste poesie.
L’artista quando lavora sembra inseguire la spirale dei propri pensieri che non riesce a spegnere, come quando scrive:
Ne manca uno
Alla fine
trovo solo
tre tasti
da spegnere:
a muro
a fronte sonoro
a tastiera.
Ma dov’è
quello cerebrale?
Le conclusioni a volte sembrano essere amare, ma sempre razionali, come in questa dal titolo
Becchettare
assai difficile raccapezzarsi
quando l’esistenza
è di per sé un merito
ed esistere l’unico scopo
lasciano trasparire il senso ultimo del nostro vivere, che consiste semplicemente nell’esistere e nel becchettare qualcosa in qua e là, come fanno le galline quando sono lasciate in libertà, e tutto ciò è detto con una meravigliosa sintesi in questi versi che esprimono, per me, tutti i sogni di ogni artista:
Come si deve
scrivere un solo rigo
un verso solitario
amare unicamente se stessi
e una tela isolata
dipingere
ma come si deve
La mia intuizione (ammesso che ne possegga un po’) mi lascia scorgere, nella lettura di queste poesie, la sofferenza di una persona che spesso è angosciata dal tumulto di emozioni, sensazioni, folgorazioni intuitive che la attraversano specialmente durante la notte, prima del sonno, e gli fanno nascere la tentazione di affermare che non egli non abbia
Niente da dire
non ho niente da dire
il non avere niente da dire
mi induce a dire
perché il pensiero
solo il pensiero
di non avere niente da dire
mi risulta insopportabile
e solo il dire qualcosa
mi può aiutare
quando non ho niente da dire
il silenzio del dire
nel silenzio delle idee
può essere solamente eguagliato
dal mutismo dei ricordi
Il terrore di ogni artista è spesso quello che egli prova di fronte alla pagina bianca o, nel caso di pittori, davanti alla tela immacolata, è lì che appare chiaro “il silenzio del dire“, nell’angoscia “di non aver niente da dire “, e di scoprire invece un mare di sensazioni, emozioni, affetti che “risulta insopportabile“.
Chi di noi, che spesso siamo attraversati dal desiderio di mettere sulla carta i nostri pensieri che ricaviamo quando “spiamo curiosi la vita/ dal buco della serratura“ (Interno giorno), chi non ha mai avuto pensieri di questa specie (Il mare delle dimenticanze)?
notte profonda
rimango così
con la luce accesa negli occhi
le palpebre calate
mi pare più lungo il giorno
mi pare di avere spazio
per pensare ancora
fino a che i pensieri
non diventano sogni
allora la mano
oscura la sorgente luminosa
il gioco riprende
e nel buio finalmente
i sogni diventano leggeri
lasciando i pensieri
ad affogare
nel nero mare
delle dimenticanze
E ancora, chi non è mai stato attraversato da questa domanda che stralcio da “Nuvole lente“
…
Frustrato frastornato mi chiedo
se questo uomo che cammina a capo
chino solo nella sua solitudine
aspirando suggendo avidamente
dalla infuocata brace
di sigaretta
sia attraversato da un dubbio
un unico dubbio
sulla sua stabilità mentale
E quanti lavoratori di questi tempi di crisi sono stati attraversati da questi pensieri terribilmente tristi?
L’ebbrezza della fabbrica vuota
si prova non si descrive
così pure lo smarrimento
per la mancanza dei rumori famigliari
che accompagnano la giornata.
Ma è diverso rimanere la sera
quando tutti se ne sono andati
che aprire il mattino
sapendo che nessuno arriverà.
Molti di questi tempi hanno dovuto sorbire le litanie di queste affermazioni consolatorie, pur sapendo quasi con certezza che la “delocalizzazione“ non è altro che l’anticamera del pensionamento che (forse) non verrà mai?
– C’è una vita fuori di qua
che vi aspetta: prendetela –
dissero
mentre il portone della fabbrica
si chiudeva.
Quasi a completare l’immagine che mi sono creato dell’uomo-poeta Ernesto Ponziani ho scelto questi versi della poesia “Arrivare in ritardo“ perchè mi sembra che essi possano rendere giustizia ad un poeta dilettante, ma capace di esplorare il mondo con tutta l’attenzione di un vero “flaneur“ come lo avrebbe definito Ennio Flaiano
Arrivare in ritardo
Arrivare in ritardo
Perché la strada
Che arzigogola
Tra le foglie cadute
Nel fitto del bosco
Merita
Un’andatura lenta
E seguendo l’andatura lenta di questo uomo-poeta, di una persona che è capace di definire che una strada “arzigogola“ come fosse una conversazione stucchevole ma abile, che spero di avere riversato sui suoi versi un poco della vostra attenzione.