Nissin di nun, Fuoco. Terra. Aria. Acqua, Così, note di lettura di Paolo Polvani

Nissin di nun, Fuoco. Terra. Aria. Acqua, Così, note di lettura di Paolo Polvani

 

       

Di suartis stagions  (Di certe stagioni) 
Nota di lettura a Nissun di nun, di Francesco Indrigo, Samuele editore 2018

indrigo-1-1-e1534770260311Ho assistito una volta alla premiazione di un concorso di poesia in friulano.  Sappiamo come vanno queste cose, funzionano come le letture, a far numero c’è anche la giuria: si presentano i premiati con la moglie, i più impavidi si portano dietro un codazzo di accoliti festosi, ci vanno le maestre che hanno sulla coscienza una plaquette, e qualcuno che aspira a macchiarsi del medesimo delitto. Persino la Szymborska in una sua felice poesia dichiara che alle letture si presentano in dodici, sei sono parenti, e sei sono venuti perché piove. Il paese era forse proprio quello di Francesco Indrigo, o forse quello vicino. La cerimonia si svolgeva nella sala consiliare del Comune, una sala molto ampia e stranamente, incredibilmente gremita. Non erano venuti in dodici, per l’occasione una buona parte della popolazione era lì. E ascoltava davvero. Non faceva finta, non sbadigliava, non controllava distrattamente il cellulare, no, ascoltava davvero. Ascoltava con grande partecipazione, c’era qualcosa di ieratico in quella attenzione, sembrava di essere dentro una cerimonia sacra ma partecipata sul serio, con la dovuta devozione e trasporto. Perché la lingua friulana è percepita come una vera madre, e le si tributa il giusto e naturale amore. Scrivere dunque in friulano spalanca le porte a un doppio risultato: poter parlare con l’intimità che assicura la comunione di una lingua di cui si sono succhiate le prime parole già col latte materno, inoltre beneficiare di una platea corale, dell’attenzione di un intero popolo che vi si specchia e vi si riconosce. Non dappertutto avviene così, ci sono lingue che appartengono all’intero popolo e lingue in cui esiste una demarcazione di classe, i poveri parlano il dialetto, i signori si servono della lingua ufficiale.

Nissun di nun (Nessuno di noi) è l’ultimo libro di Francesco Indrigo. Davvero un libro pieno di poesia. Mi ricorda una frase abbastanza famosa di Rilke indirizzata al giovane poeta che gli scriveva per ottenere consigli e che recita: – Se la vostra vita quotidiana vi sembra povera non l’accusate, accusate voi stesso che non siete assai poeta da evocarne la ricchezza; ché per un creatore non esiste povertà né luoghi poveri e indifferenti. – Questa notazione perché nel libro esiste una preziosa aderenza al quotidiano, una grande evocazione di bellezza si sprigiona da ogni cosa, mi ha colpito per esempio la poesia Me Madona à na cjapiela clara, mia suocera ha un cappello chiaro/ in capo, non fuori moda, non vistoso, bello come lei. Mentre attraversa /i fiori dell’orto, li accarezza con il celeste / delle mani e loro si scuotono di brividi / caldi…

L’asprezza della realtà non viene ignorata, nella poesia che dà il titolo all’intera raccolta, leggiamo: – Nessuno di noi si occupa / dell’anima altrui, perché nessuno di noi / si crede innocente…-  Mi rendo conto che proporre la traduzione in italiano significa snaturare l’anima più profonda del libro e offrirne una versione mercantile, posso soltanto riandare con la memoria alla freschezza di una lingua ricchissima di tessiture musicali e di una tradizione davvero alta.

Nel libro si alternano gli affetti familiari, i grandi paesaggi, e le cose di tutti i giorni, e anche le linguine al pesto diventano spunto per una riflessione amara: Omnar Daqneesh / al à sinc ains, tirat su a la vita dai visarsa patràs / e sintat ta li careghis arancion da la ambulanza – Omnar Daqneesh/ ha cinque anni, è stato riportato alla vita dagli abissi in rovina / e seduto sulle sedie arancio dell’ambulanza. –

Il punto più alto viene raggiunto nella celebrazione dei sentimenti domestici, è lì che le vibrazioni profonde del rimpianto emergono, è lì che si presenta in tutto il suo splendore la ricchezza di certi sentimenti; esemplare è la poesia Se ch’a sta (ciò che sta), dove si parla delle strategie di un matrimonio, delle fragili esistenze legate ad alcune certezze, con la splendida chiusa: – a mi comandan di zi fora in plen soreli a controlà / ch’i ti tornedis indovor ( mi impongono di uscire in pieno sole / ad accertarmi del tuo ritorno).
Ma altrettanto belle sensazioni si ricavano dall’incrociare le donne più belle, che quando ridendo ci urtano nella via, – ci sembra di essere desti / e invece stiamo ancora sognando – oppure nel ricordo del nonno: – Me nonu al rideva di clat, no parsè / ch’a j manciessin i dinc’, ma parsè ch’al  era timid (Mio nonno rideva di rado, non perché / gli mancassero i denti, ma perché era timido). In definitiva una lettura che non delude mai, che avvolge il lettore in una densa trama di sentimenti, di sensazioni, in una lingua sonora e coloratissima.

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Empedocle e il pensiero meridiano in versi. 
Nota di lettura a Fuoco. Terra. Aria. Acqua, antologia a cura di Edoardo Sant’Elia con Giuseppina De Rienzo, Rossella Tempesta, Edoardo Sant’Elia, Valerio Grutt, Terra d’ulivi edizione 2017

fuoco-terra-aria-acqua-A-220x320A dare corpo, visibilità, autonomia al pensiero meridionale aveva provveduto Franco Cassano nel ’96 nel saggio pubblicato da Laterza col titolo Il pensiero meridiano, nel quale individuava una linea programmatica: – Pensare il sud vuol dire che il sud è il soggetto del pensiero: esso non deve essere studiato, analizzato e giudicato da un pensiero esterno, ma deve riacquistare la forza per pensarsi da sé, per riconquistare con decisione la propria autonomia. Pensiero meridiano vuol dire fondamentalmente questo: restituire al sud l’antica dignità di soggetto del pensiero, interrompere la lunga sequenza in cui esso è stato pensato da altri. –

A dar corpo e visibilità invece alla poesia meridionale si cimenta l’esperienza di Poesia portale sud, il cui atto ufficiale di nascita è costituito dalla pubblicazione del libro Fuoco. Terra. Aria. Acqua. (Terra d’ulivi edizioni 2017) in cui gli autori Giuseppina De Rienzo, Valerio Grutt, Edoardo Sant’Elia, Rossella Tempesta si misurano con gli elementi da cui è originato il mondo secondo il filosofo Empledocle.

Scrive Edoardo Sant’Elia, curatore del volume: – Noi, allora, vogliamo ripartire da Empedocle. Guaritore, scienziato, profeta, imbonitore, l’unico filosofo greco – greco di Agrigento – che mise in versi la sua filosofia. –

Indubbiamente il sud è terra rigogliosa di esperienze poetiche, e tuttavia non sempre le voci dei poeti meridionali dispongono dei canali giusti per affermarsi; esistono le riviste meridionali, esistono le case editrici meridionali, ma il rapporto tra possibilità di esprimersi e di affacciarsi sulla scena poetica nazionale risulta tuttora soggetto a squilibri evidenti.

Nessun intento campanilistico alla base del progetto ma solo il desiderio di offrire una ribalta, uno spazio comune all’interno del quale confrontarsi, conoscersi, avviare iniziative. Come scrive il curatore del libro: – Il Meridione, la sua natura violata e inviolata, i suoi luoghi così invisibilmente presenti e così segretamente visibili, come campo d’indagine privilegiato per far emergere la poesia che c’è, senza inutili trionfalismi né patetici vittimismi e senza pretese di esaustività. –

Dunque gli autori alle prese con gli elementi primigenii. L’incandescenza proposta da Giuseppina De Rienzo ruota intorno al corpo, segreto custode del fuoco e sua emanazione diretta, con incursioni nel mito: – Solitario Teseo / naso profilo piede guerriero senza sandalo – e cenni di memoria quotidiana: – Stavolta scelgo un gabbiano per compagno di strada / non un altro cane pastore / dopo Otto, la sua morte improvvisa, senza scampo…-  Ma è il fuoco corporeo quello che più ispira i versi, – così parlando dell’abito dell’uomo, lo definisce – grigio involucro del fuoco che, tuo malgrado, mi riservi. – E mentre, dice l’autrice – non cambia l’eterno mio stare alla finestra – con gli occhi intenti dietro a pesci volanti, ecco spuntare il drago avido di amore e di scrittura, e il fuoco fresco che trasmette, e quindi il fuoco come impulso alla ricerca attraverso le parole, attraverso il bagliore della poesia.

Rossella Tempesta ricorre all’antica sapienza dell’haiku per un’adesione completa al tema terra, adesione che diventa identificazione, ma prima ancora canto, invocazione: – Ah terra nostra / distesa eternamente / Oh fresco schianto – Diventa la felicità del gioco: – Come i bambini / rotolo sulla terra…- Il procedimento è per bagliori, per sonorità veloci da cui trabocca un entusiasmo luminoso: – Chiedo alla terra. / Tu, terra grassa e nera, / terra rossa mia. – Nella poesia finale, non più delimitata dal perimetro metrico dell’haiku, il verso prende la via di un acceso lirismo:

– E rinasce il tuo nome
chiaro
spacca le zolle, svetta
si rigonfia di tralci e pampini. –

Per il tema “aria” Edoardo Sant’Elia adotta una soluzione originale, mette in scena gli spiritelli della tradizione popolare, Lello, Aniello e Farfariello, che rimandano alla capricciosità delle divinità omeriche, sempre pronte a farsi la guerra intervenendo nelle faccende degli umani con entrate non sempre corrette, rimandano anche alle credenze popolari con tutto il seguito di un armamentario di racconti. Questa struttura ci riporta agli albori della poesia, quando la funzione del ritmo affidato a una metrica musicale era quella di favorire la trasmissione orale, la sua riproducibilità attraverso la memoria. In questo caso col doppio vantaggio di risultare intrigante come un racconto, di far nascere il desiderio di scoprire cioè come va a finire, e con la godibilità estettica che regala il verso. Scenario sul cui sfondo si dipana la storia è una spiaggia moderna, con una ragazza sdraiata sul lettino che in bella mostra sfoggia il tatuaggio di una farfalla sulla nuca. Gli spiritelli brigano per metterla in relazione con un giovanotto che al bar dialoga col cameriere. Per sottofondo un filo d’ironia e belle immagini smaltate:

– Il cielo è un mare rovesciato
senza fondo, dove i piedi
non possono toccare,
è una casa fatta d’aria,
senza finestre, senza porte…

Valerio Grutt affronta il tema dell’acqua con la dimestichezza e la praticità di chi l’acqua ce l’ha fin dentro le mura domestiche, perché  – L’acqua ride negli occhi / di Greta e gli scogli di Sorrento / sono la schiena serena del pianeta -, perché chi vive in una città affacciata sull’acqua può affermare a buon diritto – Il mare mi scorre nelle vene – o anche –“ Che bello fare il bagno a metà ottobre” / mi scrivi…- Dimestichezza che comprende i gesti quotidiani, ne evidenzia l’importanza dell’ascolto: – C’è una voce che chiama dall’universo / nell’acqua che scorre dal rubinetto -. In definitiva un perimetro elastico, che abbraccia la memoria e raggiunge livelli lirici molto intensi:

– Conservi le briciole dei giorni felici
e le nascondi nella tasca
dell’ultima giacca dell’armadio. –

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Cercata dal pianto.
note di lettura a Così, di Miriam Bruni

miriam_bruni_così_copLa nuova raccolta di poesie di Miriam Bruni fin dal titolo rivela una sua doppia predisposizione e per la concisione espositiva e per una certa neghittosa accettazione dell’esistente. Tutto il percorso del libro è evidenziato nella prima poesia, quella che ha in sé l’intento didascalico di indicare la direzione di marcia, di fornire una semplificazione segnaletica alla scansione dei versi nelle varie sezioni; quella prima poesia dice che l’autrice ha assimilato bene il concetto, o forse meglio l’intuizione, che la poesia è giocare con le parole, piegarle al nostro gusto musicale ed esistenziale, forgiarle in modo che restituiscano il nostro profilo all’interno delle vicissitudini del quotidiano;  le sa maneggiare e tuttavia conserva una certa provvisorietà che è la cifra del poeta, la roba troppo laccata e perfetta a volte stucca, ci risulta indigesta, meglio dunque lasciare in giro tracce di una imperfezione. Ricorda quell’atteggiamento un po’ snob di certi elegantoni inglesi che preferiscono sgualcire gli abiti o impolverare le scarpe nuove per conferire loro una parvenza di vissuto e un accenno di trasandatezza. Ma forse merita di essere citata per intero la poesia che apre il libro, per rimarcare sia la avvedutezza nella scelta lessicale sia il sapiente tocco artigianale impresso nei versi:

Così scoscesa, concisa, contesa.
Così cantata dal vento, cercata
dal pianto.
Così silente e sconcertante,
così suadente, così cangiante.
Così io sono,
Così vi amo.

Per chi un poco conosce l’autrice, questi versi risultano una perfetta fotografia, una specie di autobiografia in versi, un autoritratto in pochissimi veritieri tratti.
I temi sono quelli sempre cari alla poetessa bolognese: la devozione alla poesia:

Quanti appostamenti
per farti mia. E poi daccapo
ricominciare – con nuove
attese e appuntamenti.

Molte delle poesie presenti si accompagnano a una dedica: alla mamma, alla sorella, al padre, ma anche a un lungo elenco di nomi, a segnare lo slargo e lo slancio di un’apertura, l’anelito al colloquio, al dialogo, a ricomprendere entro un perimetro sempre più ampio gli affetti, i sentimenti, le amicizie. Un bel segnale di disponibilità e di tensione all’abbraccio.  Altro tema ricorrente in molte poesie è l’amore per la natura, che rispecchia fedelmente l’anelito alla vicinanza, alla comunione: – Vedo gli alberi sempre / nell’atto di abbracciare…-. E poi la via quotidiana, con le sue necessità e le sue asperità, le amarezze e le disillusioni, il pianto e a volte la disperazione.

Se mi abbai contro
è come un vento
che mi gira le spalle
da cui mi difendo
nel mio scialle sparendo.

Una recente indagine del Censis ha rivelato negli italiani un sentimento molto diffuso e oscuro di rancore, di chiusura, di diffidenza e di paura nei confronti dell’altro, del diverso. In queste poesie c’è come un rovesciamento di questi sentimenti, un desiderio di condivisione e di confidenza, la ricerca continua di una luce, cercata attraverso la natura, nella aspirazione al divino, nelle piccole incombenze del quotidiano. Alcune poesie richiamano certi disegnini puliti puliti, lindi lindi, così essenziali nella loro evidenza da risultare pieni di fascino, semplici tratti intrisi di essenzialità, di concisione, che molto dicono delle aspirazioni di Miriam ma anche dell’essere umano in generale, la fame di amore e di fratellanza che tutti sfiora nelle nostre giornate. Un piccolo libro da tenere vicino, da sfogliare a caso, che restituisce la pienezza della vita, con le sue dolcezze e le sue asperità.

      

The Clash, Oslo, 1980, foto Helge Øverås - in aperturaJoe Strummer, musicista, cantante, murales a New York, caricato da KS su Wikipedia ita (foto originale a colori)
The Clash, gruppo “combat” rock, fotografato a Oslo, 1980, foto Helge Øverås – in apertura Joe Strummer, leader del gruppo, musicista, cantante, ritratto nel murales di New York, caricato da KS su Wikipedia ita (foto originale a colori)

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