Noia, di Guido Cupani

Noia, di Guido Cupani.

      

     

Carissimi mamme e papà che avete una tata (o un tato) di sei sette otto nove mesi, mi permetto di darvi un consiglio originale: giocate coi vostri bambini. Giocare con un bimbo di quest’età è noioso. Non lasciatevi sfuggire quest’occasione.

Sedetevi sulla coperta, e pazienza se dopo un po’ i polpacci si paralizzano e la schiena fa cric. Concentratevi sulla noia e godetevela. Quando vi hanno insegnato che la noia è una cosa brutta? Prendete in mano il cubo di gomma morbida che la vostra tata vi porge allungando il braccio e piegando la manina all’ingiù; prendetelo e guardatelo. È un cubo giallo. Ha una sporgenza in cima, per incastrarsi con gli altri cubi rossi blu e verdi, come i mattoncini Lego. Tastatelo. Accarezzatelo. Deformatelo. Che noia. Cos’avrà mai di interessante? Fare domande è il primo impulso da reprimere. Il secondo è l’istinto di raccogliere gli altri cubi, metterli uno sopra l’altro e fare una torre. Trattenetevi. Lo scopo non è la torre. Lo scopo non è fare: lo scopo è la noia. Il vostro bimbo lo sa, e infatti si avventerà su qualsiasi costruzione cerchiate di mettere in piedi, come a dire papà smettila, mamma cosa stai facendo, non vi state annoiando bene.

Quant’è che siete seduti sulla coperta? Solo due minuti. Sorprendente, vero? Il tempo si è quasi fermato. È da almeno quindici anni che non succedeva. Da due minuti non controllate Facebook, non aprite Whatsapp, non scorrete le notizie. Chissà cos’è successo nel frattempo. Ve lo dico io: non è successo niente. Tutto quel che doveva succedere è successo su questa coperta sotto i vostri occhi. La vostra tata ha lasciato cadere tutti i cubi e ora sta sapientemente ricoprendo di bava un mazzo di chiavi di plastica. Com’è saggia la vostra tata. Anziché annoiarsi a infilare le formine nella scatola attraverso i fori sagomati, e usare le chiavi per riprendersele, preferisce farlo con molto meno: masticando le chiavi, appunto. Non vi dico di fare lo stesso. Non si tratta di riscoprire il bambino dentro di voi, di ritornare a una condizione mitica di assoluta spontaneità e palle varie. Si tratta (lo ripeto, a costo di annoiarvi) di annoiarsi. La tata rivuole il cubo? e voi dateglielo. Ve ne porge un altro? prendetelo. Lo rivuole indietro? ridateglielo e riprendete il primo. Che noia. Bene, state cominciando ad ingranare.

Ricordatevi che l’artista è lei. Voi siete solo due timidi apprendisti che hanno tutto da imparare. Potete ambire al ruolo di mestieranti, ma serve applicazione. Ora la tata si è lasciata cadere distesa sul cuscino e allunga gli occhi non si sa dove, le braccia ciondoloni. Non rialzatela, per l’amor del cielo. Non cercate di distrarla suggerendole di impilare dei bellissimi toroidi colorati in un tronco di cono a base svasata. Almeno finché non piange. Piangere = male, guardare il soffitto = noia, cioè bene. Avvicinatevi, piuttosto, accostate l’orecchio alla testolina. Lo sentite il fruscio dei neuroni che generano nuove connessioni? Le sentite le copie mentali che si creano? le copie del cono, del toroide, del cubo, delle chiavi: intatte e non interpretate. Cosa dareste per averle?

Il trucco è lo stesso di quando si ripete una parola all’infinito per ridurla a un puro suono, il suono che aveva prima di avere un significato: prendere in mano il cubo per la centomillesima volta e scoprire che non è un cubo, non è giallo, non è di gomma morbida, non ha una sporgenza, non è fatto per incastrarsi con altri cubi. Scoprire che è, semplicemente. E che voi stessi potete essere allo stesso modo quanto più riuscite a entrare in rapporto diretto col cubo-non cubo. Tutto ciò è molto bello e buono e importante e fa dimenticare l’orologio – che a sua volta non è un orologio, non è fornito di lancette affilate, non misura, non consuma, non rimprovera nulla. Avete capito l’idea.

Quindi, genitori, giocate con i vostri bambini. Non intratteneteli o stimolateli o divertitevi o ammirate quant’è meravigliosa quella testolina e quel nasino e quel labbruzzo e quei ditini e quella piega del sopracciglio. I vostri tati sono bellissimi, ma non è questo il punto. Il punto è giocare, cioè tendere alla noia. Ho detto noia? Volevo dire illuminazione. Oh, be’, fate voi.

   

Guido Cupani, 2015. Italiano, trentaseienne, mancino, astrofisico, papà. Ha pubblicato le raccolte poetiche Le felicità (Samuele Editore 2011, 2015) e Qualcosa di semplice sulla neve (Culturaglobale 2013). Noia è scritta a quattro mani con la figlia Emma, che ora ha tre anni e inventa ogni giorno nuove parole.

Chiara opera di Leonardo Lucchi
Chiara opera di Leonardo Lucchi

2 thoughts on “Noia, di Guido Cupani”

  1. Ma certo. Attraverso il rapporto-padre figlio Guido Cupani, ha riscoperto il legame tra noia e creazione , ‘ennui’ e ‘illumination’ che ben conoscevano i grandi poeti francesi come Baudelaire e Rimbaud. E’ solo quando il tedio più profondo ci assale che noi a volte andiamo oltre l’immagine quotidiana della realtà e scopriamo relazioni nuove tra le cose. Ma i bambini? Si dice che i loro giochi ripetuti sempre uguali per ore facciano a loro imparare qualcosa: non sarà che il gioco sia un training molto serio su come la ripetizione incessante sia la condizione essenziale della vita? E che i piccoli giocando non siano già dei piccoli sisifo, meno insofferenti della costrizione rispetto a quel Sisifo perfettamente realizzato che è l’adulto genitore?

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