Non temete, sono io. Di Ranieri Teti.
Lo sgomento generato dalla coscienza della nostra caducità è un’ombra che ci abita. Ci sono momenti in cui è invisibile, mentre in alcune ore di certi giorni, convivendo con l’ultima luce, diventa lunghissima e molto più grande di noi.
Franco Rella afferma che “al di là e oltre tutto c’è la paura che è implicita nell’essere umano stesso: nell’essere che è, tra le cose caduche, il più caduco, come scriveva Rilke”.
Ma la poesia ha paura di nulla e può anche prendersene gioco, mettendo in gioco le sue armi più affilate e depistanti. Giacomo Bergamini e Giorgio Guglielmino ne furono consapevoli a tal punto che, nella loro prova a quattro mani, “8 poesie sulla paura”, finsero spesso di ignorare il pre-testo del titolo. Come se tutto fosse potenzialmente pauroso e allo stesso tempo non lo fosse.
La loro opera fu pubblicata nel 1996, ventuno anni fa.
Grazie al tema proposto da Versante ripido, è possibile riportare alla luce un’edizione non convenzionale e contemporaneamente esemplare nel panorama poetico italiano. Questo contributo memoriale vuole ricordare gli autori di un’opera decisamente rara nel suo progetto: uscita in duecento copie fuori commercio, in un piccolissimo formato a fisarmonica, un quadrato di nove centimetri per lato che svolto diventa 9×99, aveva la rara particolarità di non offrire indicazioni precise sulla paternità dei testi: non orfani, ma in fondo anonimi.
Queste otto poesie che sembrano scritte in presa diretta, come fossero divagazioni o variazioni intorno a un tema definito, ci portano al di là delle convenzioni poetiche abituali, grazie a improvvisi scarti semantici, grazie all’inesauribile della lingua.
Nessuno potrebbe dire con certezza a chi appartengano i versi qui sotto riportati. Il tratto unente, con leggere sfumature, con duplice apparente distacco, è lo stile, la ricerca dell’inaspettato, l’accostamento insolito.
Gli unici due testi in cui direttamente compare, per vicinanza al tema, la parola “paura”, sono i centrali della raccolta:
fugge dalla U di paura da un pozzo
dalle impalcature della sua follia
come darsi a una fuga di sequenze che
esigono urla imbavagliate e parole leggere
Sembra che “u” sia la lettera, la vocale caratterizzante la parola “paura”: oltre a essere ben evidenziata nel primo verso, ricorre in ciascuno dei successivi. Nella sua brevità, questa poesia riesce a includere alcuni elementi che nell’immaginario di molti sono oggettivamente paurosi: un pozzo, l’impalcatura, la follia, una fuga, urla imbavagliate.
Nella sua brevità sembra la sceneggiatura poetica del trailer di un film, mixata nelle evocate sequenze da un esperto regista. Invece è proprio un testo poetico, connotato da un ritmo ricercatissimo, da un lessico che corrisponde precisamente all’idea. E poi quella spezzatura sul “che” del terzo verso ci dice che proprio lì il senso ha oscillato, ha preteso alla fine, dopo le urla imbavagliate, le parole leggere.
Un altro testo della plaquette recita:
dimenticare scordare come la corda che scorre
tra le mani non riuscire a fermarsi su quel particolare
la memoria e la sua assenza fanno paura in ugual maniera
a lei pensa per pezzi e per rimorsi non intera o uguale
Sembra emergere, pur nelle affinità stilistiche, un leggero scarto tra questa poesia e la precedente. Il verso tende ad allungarsi, il testo diventa a tratti più narrativo, esorcizza una paura, ben evidenziata dalla corda, da una figura non intera, dai rimorsi, attraverso la memoria e la sua assenza. Sembra una risposta, un completamento, un indiretto affiancare il testo precedente.
Anche l’uso del linguaggio è differente, soprattutto rileggendone il primo verso, in cui è evidente uno scavo intorno a variegate radici: dimenticare si tramuta subito nel sinonimo scordare che a sua volta contiene la corda, che naturalmente scorre, e in questa azione recupera in assonanza lo scordare. Un’esattissima sospensione tra suono e senso, la lingua che incessantemente si palesa, fino a quel verso che dice veramente lo spavento: la memoria e la sua assenza fanno paura in ugual maniera.
Sto scrivendo di due poeti talmente appartati quando erano in attività che oggi sono purtroppo spesso ignorati. Non è stato occasionale, considerando la vita poetica dei due autori, produrre un’opera così particolare. Entrambi provenivano da precedenti e solide edizioni di poesia lineare. Entrambi avevano già pubblicato pregevoli volumi di poesia visiva.
Alcuni esempi possono dare conto del retroterra poetico che ha portato questi autori a scrivere e ideare “8 poesie sulla paura”:
Giorgio Guglielmino, da Poesie di carta, Anterem Edizioni, 1991
è un’abitudine violenta che tende le parole sulla carta
questa lingua che liscia questa voce che disegna l’aria
come un animale randagio che bisbiglia morsi e rime
ecco le parole che non sono innamorate
***
e si tende questo senso estremo tra una parola e l’altra
sembra spezzare la grana dell’inchiostro e della voce
è così che come un segno inquieto il senso si divora
e i suoni sono nuvole ferme sulla pianura della carta
Scriveva Massimo Gualtieri nella nota che accompagnò la raccolta: “La scrittura, il nero su bianco della linea, non raddoppia la phoné, la definisce piuttosto come quel che manca di ciò che è mostrato. Cosa troppo immateriale, ritaglio d’aria o intimo indumento dell’anima, la voce è infigurabile. Sosta nel retro delle parole (…)”.
Giacomo Bergamini, da Variantidi, Anterem 20/21, dicembre 1982
(…)
è un letiziare invalido e sgraziato
un sospetto allestito e papale
il riandare quasi a lutti miliziati
è una sorta di coperto insanguinato
forse il lucro sacrale e rassodato o
un vacillare traghettato delle tracce
verso un cielo spento a strazio
uno smanto che include cristi e santi
di quella festa disattesa e immotivata
(…)
Francois Bruzzo, nella prefazione a un volume che conteneva questa poesia, ha scritto: “densità foniche e semantiche come rosa dei venti del discorso si espandono in diverse direzioni, lattescenze sonore: metriche del nome per incidere nella parola la smisuratezza di <cotanto dolore> per la guerra che la poesia costituisce per chi la scrive, poiché poeta è colui che considera sé il suo peggiore nemico”.
A completamento delle note biografiche va aggiunto che Giacomo Bergamini, nel 1997, pubblicò con Anterem “La malattia delle parole”. Nel 2004 venne a mancare in circostanze mai chiarite.
Giorgio Guglielmino vive all’estero.
Il titolo di questo intervento modifica il verso di Rilke “Non aver paura, sono io”.