Note di lettura a Gabbiani ipotetici di Francesca Del Moro, Cicorivolta edizioni 2013, a cura di Paolo Polvani.
Francesca Del Moro si riappropria in maniera esemplare della funzione comunicativa della poesia. Negli anni ci siamo abituati a considerare i libri di poesia un percorso di guerra, con tanto di filo spinato e cavalli di Frisia a rendere ostico il senso, a minare il cammino. In nome di una libertà espressiva che spesso maschera un vuoto di idee e riesce molto bene nell’intento di disorientare il lettore, radicarlo nella convinzione che la poesia sia un codice cifrato, un discorso per addetti ai lavori dal quale è preferibile tenersi alla larga. Forse la marginalità cui la poesia è costretta trova qui una delle sue cause, insieme all’assenza di una critica capace di districare un minimo le nebbie e dire una parola chiara sull’idea malsana che oscurità in poesia sia sinonimo di profondità se non addirittura di bravura.
In queste poesie appare ampiamente superato tale equivoco, Francesca dice, sussurra, a volte grida, le sue parole brillano per nitidezza. Viene il sospetto che tale atteggiamento di fondo le derivi dalla sua origine livornese, da quell’accento che contiene in sé una sorta di espressionismo verbale, un piacere nel far vibrare il diapason.
A questo proposito conviene soffermarsi su un aspetto presente nella poesia di Francesca: la musica. Scorrendo i versi si avverte la sensazione che nella stanza accanto qualcuno abbia lasciato la radio accesa. Ci accompagna sempre una musica di sottofondo, una specie di colonna sonora sotterranea. Deriva dalla musicalità del verso? dall’amore di Francesca per la musica ? dal fatto che cura una rubrica musicale su di una rivista o forse più semplicemente dal suo accento di origine, dal diffuso brillio del Tirreno, dal carattere solare delle città di mare.
Altro meraviglioso aspetto di questa affascinante poesia è la cruda, diretta, esplicita sincerità che muove i versi. Francesca si mette a nudo senza alcuna ipocrisia. Non siamo qui di fronte a una sciatta o compiaciuta sincerità. Nessuna teatralità esibita. La schietta sincerità tra amici davanti a un tè. Senza infingimenti, senza intingere la penna nei buoni sentimenti, ma dichiarandoli per quello che sono, così la poesia dedicata all’ex marito e alla sua nuova moglie si concede il lusso di questo inizio: – Piantarvi i denti nella carne – e più avanti: – Ora faccio l’etica a brandelli -. E nella poesia Atto di fede, rivolgendosi a Dio: – Sei un criminale / un sadico, uno stragista / un inguaribile oppressore – che mi fa tornare alla mente una frase di Henry Miller in uno dei suoi Tropici: – se Dio esistesse andrei da lui e gli sputerei in faccia -. Che nella sua crudezza contiene molta più religiosità di tante preghiere.
I temi cari a Francesca sono i temi della vita. Niente di letterario, niente di artificiale. Sarò quello che mi viene, dichiara nella poesia di apertura, e la promessa risulta ampiamente mantenuta. A Francesca viene di interrogarsi su Dio, raccontare le sue serate con gli amici, i suoi amori, letterari e carnali, e gli infiniti drammi del mondo. – Oggi mi sono regalata / la solitudine. / La casa vuota e niente da fare.- Tutto all’interno di una spontaneità che costituisce l’altra sponda dell’argine entro cui scorre il fiume dei suoi versi.
La sincerità con cui Francesca si mette a nudo e svela il suo sentire, la spontaneità, la vocazione comunicativa, non comportano alcun sacrificio o cedimento sul piano formale, non prevedono alcuna concessione sul piano del nitore, della pulizia del verso. Poesia che trabocca di passione, s’illumina dei bagliori della partecipazione alla vita civile, accende tutte le luci sul disagio, sull’ansia – che si avverte venata di disperazione – nella richiesta d’amore, e tuttavia non rinuncia sul piano estetico a inviare lampi di bellezza: – E’ che nel tuo cuore / offerto come una scodella vuota / io rovescerò / insieme a tutto il mio amore / questa tristezza.-
Oppure si vedano questi delicatissimi versi: – Sei sensualissima / mi hai detto e tutte le esse / sono scivolate su di me / come puntini della pelle d’oca.-
Una poesia che spalanca la porta come un gesto d’amicizia e d’accoglienza, che dichiara una disponibilità estrema ad amare ed essere amati. E’ un bellissimo tuffo nella realtà che ci scorre accanto.
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