Una piccolissima morte di Francesca Del Moro, Edizionifolli 2017, note di lettura di Paolo Polvani: gli equilibri mancati dell’amore.
Frammenti di un discorso amoroso è un bellissimo libro di Roland Barthes uscito in Francia nel 1977 in cui attraverso una serie di figure (La figura, scrive l’autore, è in un certo senso un’aria d’opera, e come l’aria viene identificata, rimemorata e maneggiata attraverso il suo incipit..) viene composta come un’enciclopedia della cultura affettiva..
Ora Una piccolissima morte, esile quanto bruciante libretto di Francesca Del Moro, potrebbe rappresentare una sorta di Bignami del libro di Barthes, un compendio altrettanto esaustivo.
Inoltre, per quanto scintillante sia la scrittura di Barthes, viva ed elastica, nulla può contro la sintesi fulminante dei versi di Francesca Del Moro che illuminano, per rapide successioni, per fotogrammi, l’intero repertorio dei punti salienti della parabola amorosa.
Ogni vicenda d’amore è la registrazione di uno squilibrio, di una sfasatura tra attesa e compimento, della tensione verso una ricomposizione degli assetti.
Questa piccola raccolta comincia come quei film in cui l’autore avverte la necessità di svelare il finale fin dalla prima sequenza, così in qualità di spettatori ci troviamo subito in una chiesa dove l’aria è ferma e la luce prigioniera, e sentiamo risuonare la voce dell’autrice ad avvertirci: – Non credo in niente / ma accendo una candela /e per poterti ritrovare qui / dico perfino una preghiera. – e ci rimanda con la mente al famoso appuntamento cantato da Ornella Vanoni in cui dopo tanta vana attesa: – Proviamo anche con Dio, non si sa mai.-
Qui non si tratta di una storia eccessivamente complicata: -Il mio amante se n’è andato, è tornato da sua moglie.- Ma torniamo ai fotogrammi iniziali: – Era così bello / quell’ –io e te – che mi hai detto-.
Un semplicissimo –io e te – costituisce l’incipit di molte storie, l’antefatto, l’implicita promessa. La raccolta vive soprattutto di alcune meravigliose scene madri. . La prima è la figura dell’attesa, per riconnetterci al libro di Barthes.
“Vi è una scenografia dell’attesa: io la organizzo, la manipolo, ritaglio un pezzo di tempo in cui mimerò la perdita dell’oggetto amato e provocherò tutti gli effetti di un piccolo lutto. Tutto questo avviene dunque come in una recita”, scrive Barthes, e ancora: “L’attesa è un delirio”.
Del poemetto Una piccola morte la descrizione dell’attesa è forse la più emotivamente intensa, la più coinvolgente, con l’inventario dettagliato dei preparativi, così analitico da apparire maniacale: – Ho comprato le lenzuola / il copriletto- parte così l’elenco e non tralascia neanche il più piccolo dettaglio, si annuncia appunto come una messinscena, il prologo di una festa: ho ponderato bene quale musica suonare, ho preparato un riso e un’insalata particolari, ho tostato le mandorle, – ho immaginato i tuoi passi / dall’una all’altra le parole/ da dirti – dunque una vera recita senza finzioni, dove totale appare l’adesione all’assunto.
Qui la poesia dà il meglio di sé, in un crescendo che prende il lettore alla gola, lo costringe a un’intensità da cui non è possibile alcuna deviazione: -…l’amore si irradia / indora ogni oggetto ogni superficie / nell’amore ogni cosa risplende- perché
-Oggi è il giorno / in cui verrai, il giorno della gioia -.
Scrive Roland Barthes che “L’itinerario amoroso sembra seguire tre tappe: prima istantanea: c’è la cattura, io sono rapito da un’immagine, dopo c’è un susseguirsi di incontri, è la dolcezza dell’inizio, il tempo dell’idillio; il seguito è la lunga sequela di sofferenze, dolori, angosce, sconforti, rancori, impacci e tranelli di cui divengo preda”.
Torniamo dunque alla scena dell’incontro: – Apparso sulla soglia / dopo le tante attese / sembravi una supernova-
Ci spiega tutto ancora Roland Barthes: ”Nell’incontro io mi meraviglio per aver trovato qualcuno che, con pennnellate consecutive e ogni volta precise porta a termine senza cedimenti il quadro del mio fantasma” e ancora: “Ad ogni istante dell’incontro io scopro nell’altro un altro me stesso” “L’incontro pone il soggetto amoroso nello sbalordimento di chi si trova a vivere un fatto soprannaturale”
Ed ecco i versi: – e scoppi a ridere e ti abbraccio / ti stringo forte e tu mi stringi / e non ti lascio e non ti lascio più- e ancora: – e mi baci /-quel bacio mille volte sognato-/ hai la lingua morbida e dolce/ ed è la felicità è l’happy ending-
Siamo alla scena madre, all’apice così vicino all’estasi, alla realizzazione del sogno:
…io mi strofino
sul tuo petto respiro la forza
la protezione il pericolo
e mi guardo allo specchio
e sono grandissima e bella
e tu dici sei una meraviglia
e poi mi volto e mi avvolgo
nell’amore senza scampo
mi avvolgo nel filo spinato
nel filo elettrificato tu mi metti
a rovescio e mi affondi
la lingua nel sesso e io resto
così come tu vuoi e prego
di poter fermare il tempo
di fermarti qui in eterno
e poi ingoio il tuo seme
ci fertilizzo il cuore
e lo spezzo.
Ma qui già si preannuncia la terza, ultima fase:
Io un lunghissimo bacio
e lentissimo ti darei
fino a sparire in te
e tu in me
finché si disfa il tempo
si dissolve ogni cosa
e si fa buono il silenzio
che ora mi addolora.
Siamo alle avvisaglie della catastrofe, così definita da Barthes: “Crisi violenta durante la quale il soggetto, sentendo la situazione amorosa come un vicolo cieco, una trappola da cui non potrà mai più uscire, si vede destinato a una totale distruzione di sé”
La disfatta trova una sua necessaria verifica nella lunghezza dei testi: per quanto lunghi, dettagliati, ricchi di informazioni, di dettagli, di puntigliosità al limite del maniacale i testi dedicati all’attesa e all’incontro, luogo della suprema felicità cui va dedicato spazio, la celebrazione va glorificata anche nel quantum, la ricchezza del cuore esige un’adeguata documentazione, così per converso il dolore richiede una estensione contenuta, la ferita va arginata, le parole si fanno piccole e intense: : -A te stella salivo / salivo a te sogno a te angelo custode / a te dio incarnato per me atea salivo / col corpo spalancato, col cuore impazzito –
La sequenza dei testi finali di questo delizioso poemetto distribuisce il dolore e lo diluisce in ogni singola parola, e ricorda quale enorme valore terapeutico possa essere affidato ai versi, e non soltanto per chi scrive, anche nella condizione di lettore la partecipazione a un evento luttuoso come l’abbandono risveglia un’empatia, una conduzione elettrica che assorbe e metabolizza dolori preesistenti, che pur nella relativa soggettività di ogni esperienza rivestono il carattere dell’univesalità.
Il pregio di questo libro è aver saputo raccontare una storia semplice, comune, con un linguaggio semplice, con le parole di tutti i giorni, ma avendo la capacità di orchestrare, di organizzare una struttura efficace e funzionale al racconto con un linguaggio fruibile da tutti e distillato alla perfezione. Chi conosce Francesca Del Moro è già edotto sulle sue qualità, sulla sua capacità di attrarre il lettore e affascinarlo con un linguaggio diretto e mai banale, inventivo al punto giusto, in cui la tensione narrativa sposa bene il ritmo intenso e la parola asciutta.
Ulteriore pregio è costituito dalle Edizionifolli di Silvia Secco, artigianali, fatte a mano con grande impegno e a tiratura limitata; nello sfogliare questo libretto risulta palpabile la passione per la poesia che sta dietro i versi e dietro il lavoro di edizione.