L’aggettivo irrisolto. Note di lettura di Paolo Polvani a “Io e Lucia” di Lucia Marilena Ingranata (ed. Noubs 2014)
Appena sfogliate poche pagine di “Io e Lucia”, mi è venuta incontro una folgorazione: questa poesia ha bisogno di un luogo in cui radicarsi: – Qualunque spazio si fa ombra, luogo / per un sonno docile -. Luogo come punto fermo, coordinata non puramente geografica, freccia direzionale ben piantata nel percorso delle parole, da cui scaturisce il tempo dei verbi ostili, a ricordarci che il terreno è minato. Il primo luogo a delinearsi netto è quel podere sperduto nella bassa, tra terra dissodata e fasci di frumento.
Di qui un retaggio di terra, di necessità, di lotta dura il cui spirito si è radicato così bene da spuntare da ogni verso, da mostrarsi senza sussiego, vestito della sua stessa essenzialità: – perché le mucche non sanno la domenica / e non c’è proprio niente da scherzare -. Nei luoghi c’è tutto un sedimento di esperienze che viene direttamente da quel bianco di nebbia in cui sta sdraiato il suo paese, quello dove sbuffa la littorina per Ferrara.
Di qui la predilezione per le storie vere: – come fanno quelli che hanno avuto fame -. E’ un susseguirsi di stupori disseminati a ogni girata del verso e della strada, uno zampillare di poesia regalata con gesto alquanto irriverente perché nasce da parole semplici, concrete, da sequenze scarne, da una secchezza che ogni volta commuove e affascina e ci ricorda che non è importante abbigliarsi con abiti sontuosi, ma che è meglio prediligere il vestito di casa, che sposa bene l’eloquio facile, quello a tutti accessibile, da tutti compreso e comprensibile.
Marilena ci propone piccole storie fulminanti e poi va via, ci lascia con un piccolo vuoto che ha la forma di una domanda, di un’attesa, di un tentativo d’inseguimento, di un voler sapere ancora, ed è in questo vuoto che sentiamo germogliare la poesia, lampi che sbucciano la realtà, la svelano nella cruda verità: – come in quelle foto dove rido / e accanto sono tutti morti – .
Prendo una poesia a caso: Vivrei la pioggia.
Che bella donna vestita di vecchiezza
intenta nel suo fare / disfare
– il tempo non passa sopra i morti –
Madre, se non avessi i capelli
vivrei la pioggia a braccia aperte
riducendomi il petto a brandelli per liberare
le parole chiuse, colmare il vuoto degli inventari
in questa casa dai fianchi larghi.
Un falco ha pranzato sul terrazzo,
si ferma un po’ di neve, copre i resti
credo si possa ammettere l’inverno.
E’ tutto lì, non c’è niente da dire, niente da aggiungere, ogni commento rischia di sminuire, di far perdere il contatto con la spoglia bellezza dei versi. Non ci si può illudere di penetrare la poesia, perché significherebbe perpetrare un’intrusione, un’inversione, un’offesa, è la poesia che ha il compito di scendere dentro di noi con la sua evidenza a volte feroce a volte disincantata, di penetrare in noi e smuovere, lavorare, far risuonare quella musica che ci porti così lontano da farci ritrovare, finalmente riconoscere. Scoprire anche noi un senso che scaturisca dai suoi luoghi e ci parli: – Qui ci sono poche cose nuove, ci sono io / la fretta e il frigo pieno, la gonna viola – .
E’ da questa concretezza, tangibilità, che cresce il desiderio di spingersi avanti nella lettura, di afferrare indizi, aggrapparci col pensiero a quelle carcasse di gatti che non avranno esequie, alle curve degli armadi dove si conservano decine di abiti irrisolti.
Si nasconde in questo aggettivo irrisolto forse una cifra possibile del libro, una possibile traccia. Senza una soluzione perché la vita non promette né concede né contempla soluzioni, neanche quando si annunciano partenze definitive: – Mariuccia, con te hanno finito / il ciliegio nevica sul feretro -. Oppure nella stessa pagina: – Il mio vicino è morto stamattina, non gli volevo bene -. La mancanza di una soluzione è quanto di più profondo e vero può offrirci la poesia, che è una porta spalancata sulle possibilità infinite, sulle scommesse che si aprono davanti ad ogni istante.
Conosco le poesie di Marilena da circa dieci anni, e le ho amate perché sempre le ho sentite familiari, come se questa bella signora bionda dal sorriso pratico, simpaticissima, effervescente d’ironia, che pure ho incontrato una sola volta, mi avesse mostrato le stanze dove stanno i figli, dove – nel frattempo Tommaso è nato / nel frattempo Gilberto è morto -, una signora che chiede ai ragni di indovinare il tempo, e possiede il fascino dei suoi versi: – e poi quell’aria vaga, un po’ lontana / che mi farebbe dire “ti somiglia” -.
Libro davvero importante, questo. Come esauriente, sentita e perfetta la nota di Paolo. Non perdete l’occasione di comperarlo.
Credo anche che la poesia che Paolo ha riportato per intero sia fra le migliori di tutta la raccolta, se non forse la migliore.
ci sono cose che conservo radunate in una scatola anonima, è nel mobile della stanza del suicidio (la chiamo così perchè c’è una trave alta e robusta ed una portafinestra con balaustra smontabile, per l’occorrenza) è la scatola delle cose che per me sono importanti, pietre miliari che mi consentono di camminare ancora diritta.
Queste note di Paolo finiranno là dove c’è già il libro con la prefazione di Massimiliano, il quaderno di rebstein e tanto altro ancora della mia lunga vita.
C’è anche la sua foto, quella in cui lei è vestita di vecchiezza, intenta nel suo fare/disfare.
Grazie Paolo, grazie Massimiliano.
grazie Marilena, non vedevo l’ora di finire nella stanza del suicidio 🙂
Paolo, non potevi fare un “ritratto” migliore al libro di Marilena. Nella tua nota c’è passione e amore per la poesia la stessa che ci propone lei con le sue “lamate”.
E’ così, non c’é verso, ha questo dono che trova il suo valore aggiunto nella sintesi.
Tanto può apparire scarna, essenziale, feroce nella scrittura tanto è generosa, cordiale, solare nella vita. La sua ironia ed il suo sorriso fanno il resto…
grazie Anna, e scusa per l’enorme ritardo con cui ti rispondo.
paolo