Ol temp soo no se l’è, poesie di Carlo Tosetti (Lombardia), con una nota dell’autore.
Carlo Tosetti (Milano, 1969), vive a Brivio (LC).
Ha pubblicato le raccolte: Le stelle intorno ad Halley (LibroItaliano, 2000), Mus Norvegicus (Aletti, 2004), Wunderkammer (Pietre Vive, 2016).
Suoi scritti e recensioni sono presenti su: Nazione Indiana, Poetarum Silva, Larosainpiù, Paroledichina, Words Social Forum, Versante Ripido, elvioceci.net, Il Convivio, Lankenauta, Interno Poesia, giovannicecchinato.it, Poesiaultracontemporanea, Atelierpoesia, Unpostodivacanza, Centro Cultural Tina Modotti.
E’ stato ospite della trasmissione Percorsi PerVersi, in onda sulle frequenze di Radio Popolare, il 30/01/2017.
Collabora con Poetarum Silva. Scrive sul blog musnorvegicus.it.
Sono diverse le ragioni che mi hanno spinto, recentemente, a comporre poesie in dialetto (un misto fra milanese e brianzolo), poesie molto diverse da quelle che abitualmente scrivo in lingua italiana; l’unico aspetto che le accomuna è il mio costante tentativo di comporre testi che abbiano misura (quindi ritmo) e musicalità, questa ottenuta lavorando sul suono dei vocaboli.
Da questo punto di vista, il suono peculiare del dialetto facilita di gran lunga il compito.
A questo si unisce il ricordo, forse colorato dal tempo e dalla nostalgia, dell’ironia che contraddistingueva la parlata dialettale; ironia che era presente nei pensieri e nelle parole di tutta la popolazione, essendo ingrediente della cultura contadina, veicolata dalla semplicità (una linearità analogica, se mi passate la definizione ardita).
Ora, il dialetto sta progressivamente scomparendo; nelle zone in cui vivo (brianza comasca e lecchese), la progressiva industrializzazione lo sta spazzando via e, com’è ben noto, la cultura di un popolo e la sua lingua sono due elementi indissolubili, fusi l’uno nell’altro.
La scomparsa del dialetto, quindi, coincide con la scomparsa di un sapere antico, di tradizioni sopravvissute e tramandate per migliaia di anni, che non hanno retto meno di un secolo di abbandono della terra, intesa come fonte di sostentamento e “centro dilatato”, fulcro, della società.
Le macerie filosofiche dei valori contadini vengono osservate oggi con sussiego, perché spesso infiltratisi nell’inconscio collettivo per via dogmatica, oppure perché impasto di credenze ritenute ingenue e frutto d’ignoranza, pseudoscientifiche; resta il fatto che quei valori – fondanti e reggenti una comunità che avanzava fra gli stenti – non sono stati sostituiti, lasciando un vuoto dal soffio algido e tangibile.
Ricorrere al dialetto, allora, è ripescare i ricordi e, attraverso di essi, nel mio piccolo, tramandare, vivificare quello status quo, quell’incedere che ho avuto il tempo di vivere e rendere quindi omaggio alle persone che hanno popolato la mia infanzia, alle loro convinzioni, alle loro semplici gioie e paure, ma, soprattutto, alla loro capacità (ormai tramontata) di avanzare contro la furia degli elementi e la spietatezza dell’esistenza. CT
Ul demoni
Lur cantaven
i soeu Rosarii
e i Requiescanti,
arent i mort,
cunt un latino
tutt pastrugnà.
Inscì scampaven
anca cent agn,
perché ul Signur
cugnuss tusscoss,
ma el capiss no
quel gibilé
e ul soeu incuntrari,
che l’è ul demoni,
el golza no
de faa casott;
el sacramenta
cunt ul prevost,
che l’ha studià
e l’è bel ciciott.
Il demonio
Cantavano / i loro Rosari / e i Resquiescant, / vicino ai morti, / con un latino / tutto pasticciato. / Così scampavano / anche cent’anni, / perché il Signore / conosce tutto, / ma non capisce / quella confusione / e il suo contrario, / che è il demonio, / non osa / fare casino; / bestemmia / con il parroco, / che ha studiato / ed è bello grasso.
*
Puresin
Quel ch’el vètt
bei e mort tutt i gain,
e faa anca a tocc, in del becchee,
e lu el piang, perché porit,
i puresin, ch’in piscinin,
l’ha vist che i vend
(i maruchin) tutt culurà,
sul marciapee, a caragnà
in di casett de l’uga.
Poeù, cun tri danee,
el toeu el pollaster
de faa bell less
e a dic che l’era
un puresin, e poeù
el cress gaina,
nient… El pacia istess.
Pulcini
Quello che vede / bell’e morte tutte le galline, / e fatte anche a pezzi, dal macellaio. / e lui piange, perché poverini, / i pulcini, che sono piccolini, / ha visto che li vendono / (i marocchini) tutti colorati, / sul marciapiede a piangere, / nelle cassette dell’uva. / Poi, con tre soldi, / compra il pollo / per fare il lesso / e a dirgli che era / un pulcino, e poi / cresce gallina, / niente… mangia lo stesso.
*
Lili Marleen
Oh, cara nona, quand
sun a dree a durmì
e tì te saltet foeu,
a dumandaa de fat scultaa
Lili Marleen, mì se desii
tutt masaraa, perchè se,
gh’avevi la caséta,
ma trent’ann fa.
U legiù in del perucchee
che a sugnaa i mort
voeur dì ch’el ghè
in bal un cambiament;
oh, cara nona,
qual Cambiament? Cume se faa?
Che te sigùtet cun la caséta
de trent’ann fa…!
Lili Marleen
Oh, cara nonna, quando / sto dormendo / e tu salti fuori, / a domandare di farti ascoltare / Lili Marleen, io mi sveglio / bagnato fradicio, perché si, / avevo la cassetta, / ma trent’anni fa. / Ho letto dal parrucchiere, / che a sognare i morti / significa che c’è / in ballo un cambiamento; / oh, cara nonna, / che cambiamento? Come si fa? / Che insisti con la cassetta / di trent’anni fa…!
*
Ol temp
Ol temp
soo no se l’è;
ma el vedi scapà via.
Disen i studios
che l’è propi
l’orelogg del mond;
i bastian contrari
disen che ‘l ghè no;
che l’è tuta fantasia.
Mi legi i lor matatt,
e me se tiri matt
ma mi el soo no se l’è,
el vedi scapà via.
Il tempo
Il tempo / non so cos’è, / ma lo vedo scappar via. // Dicono gli studiosi / che sia proprio / l’orologio del mondo; / i bastian contrari / dicono che non c’è, / che è tutta fantasia. // Io leggo le loro mattate / e mi tiro matto; / ma io non so cos’è, / lo vedo scappar via.
*