Ottetto per madre, poesie di Cristina Annino

Ottetto per madre, poesie di Cristina Annino.

     

     

Cristina Annino (nata ad Arezzo e laureatasi a Firenze in Lettere Moderne con una tesi sulle prose di César Vallejo), vive attualmente in nessun luogo.  Esordisce nel 1969 Con Non me lo dire, non posso crederci, edizioni Tèchne,Firenze, con il cognome anagrafico di Fratini.
Seguono varie pubblicazioni con editori minori. 
Nel 1984, una sua raccolta di versi,  L’udito cronico, viene pubblicata dal collettivo Nuovi Poeti Italiani(Einaudi) n°3, a cura di Walter Siti.
Nel 1987 pubblica Madrid (ed.Corpo 10, premio Russo-Pozzale, assegnatole da Giovanni Giudici), opera centrale nella sua produzione poetica, riedita nel 2013 con  Stampa2009.
Tra le sue opere più recenti, Magnificat. Poesie 1969-2009, PuntoaCapo editore, Novi Ligure 23010 (vincitore del Premio Montano dello stesso anno), Chanson turca (Lietocolle, 2012), e le due plaquette Céline(edb, 2014), Poco prima di notte, Edizioni L’Arca Felice, Salerno 2013. Una raccolta di 200 testi tradotti in inglese, Chronic hearing (Chelsea Editions, New York), è apparsa nel 2014. Inclusa nell’antologia Il  pensiero dominante. Poesia italiana 1970-2000(Garzanti, 2001) di Franco Loi e Davide Rondoni, è anche presente, tra altre collettive, in Antologia di poeti contemporanei -Tradizioni e innovazioni in Italia- a cura di Daniela Marcheschi (Murzia,2016), dove sono approfonditi i suoi dati biografici  unitamente a una completa bibliografia.
E’ autrice del romanzo giovanile Boiter: l’affarista dellasua pace, apparso molti annipiù tardi, nel 1979, in Forum/Quinta Generazione.
Nel 2016 pubblica Anatomie in fuga, Donzelli Edizioni, Roma, 2016. Nel 2017 esce a Milano il romanzo Connivenza amorosa, edito da Greco%Greco.
Da poco più di 10 anni si dedica all’attività di pittrice ed ha al suo attivo numerose personali e collettive sia in Italia che all’estero.

     

OTTETTO PER MADRE

     

“Cristo santo! a chi può importare se uno ama la propria madre o no!”
Céline, Viaggio al termine della notte

      

I
Il Panda

Senza pace, con pena e senza girarmi
mai, pestando
mica pepe o caffè ma gardenie, io amo
la mamma e i topi; li metto insieme chissà
perché. O ancora perché voler bene a quel
modo spezzato così in due, collo in giù,
polvere senza cerniere, bottone, qualcosa.
Sempre
senza girarmi. I perché chiarendo la vita ai
tramvai, alle piante. Lei, pura,
mi dà
questa riserva di bambù. Nient’altro.
Poi via. Io
su, ché l’ho addosso oramai e non posso
schivarla, pestarla nemmeno, mettendo con
cura ogni piede tra l’erba.

     

II
Si fa sabbia così

Si fa sabbia così,si sfalda
al vento di casa mia. Accusa
altre cose deboli, la cecità, per
esempio. Io non so
cosa dire quando siede su me come
fossi cemento. Oppure
vola, ci credo, va via, si stende
altissimamente e in largo. La
guardo con quella
paura dei nani per un monumento.

   

III
Lei ora elegante

Lei ora elegante,vistosa come le madri, si stacca dal
niente e ride. Qualcosa
dei venti, d’urgente, una fuga, un ritorno, mi lega
a lei che darei
tutto il corpo per quella risata.
È salita
col petto in su verso l’estasi delle nubi a
quella distanza più nere che altro; poi
è scesa; pioveva. Ha
saltato la corda coi piedi fiammanti di santa e al collo
perle vere.

       

IV
La vecchia Lina è caduta

La vecchia Lina è cadutacantando, di
schiena, com’una forza muta d’un tratto
cedesse, togliendo le staffe dietro. Era a cavallo e
sbatte in terra. Si prende
al viso tirando invano le cataratte. Eccola
lì, la vecchia canina mamma.

      

V
Una donnina tutta lepre 

Una donnina tutta lepre, sveglia,
s’accontenta della giornata e beve acqua
com’una spugna. Ehi, non ho mica cent’anni
per aspettare che te ne vada. Sembri Lazzaro!
Più tardi
sfoneremo i capelli alla sera. Rivede
tante case crollare per un capello, e non
meraviglia
che resti il sughero almeno sulla bottiglia
del fumo. Ce lo passiamo
a vicenda. La città
anche s’incendia ai suoi piedi ora
che è buio e lei evapora sulla
pira, entrando in me come gas
o siringa. Chiudo
in tempo col tappo il foro e
niente è più bello qui: lo
sguardo di lei sull’anello al dito, su
me, poi qualcosa di buono, la stufa, quel
caldo oramai più fratello d’un uomo.

     

VI
Potrei tirar su con le mani

Potrei tirar su con le mani
tutta l’acqua del mare. Anche più. E
attraverserei il fuoco da qui a lei in questo
oggi frocio. L’hai
vista l’altro giorno com’era? Piccina. Tutto il
mondo è piccino. Le rotaie del destino oramai
fanno clic. Ma lo sai
quanto costa un’ochetta così? Che
sotto terra, dopo le cene, il quadrato di tanta
insonnia, con lei persino
lì starei bene.

       

VII
Volano

Volano
gli spiriti affettivi di qua e di là su
noi paurosamente soli, salvati
allora dalla coltre che ha parato
il salto. Quel
cinema o quella morte la ribeviamo in
piedi nei ricordi di lei ogni sera. Ossessivi.
È per me esplosione
sull’intera linea di fuoco, perché troppo
volano gli spiriti affettivi, bruciati
come cera dal fosforo.
Penitenza
vera quei canti della mamma al suolo che
cantilena ginocchioni senza memoria.

     

VIII
Richter

Ancora
scale Richter. Fuori il sole fa foia. Ma qui! Muore la
mamma com’un uccello. Pari dignità. Bisogna
dirlo, che sta andando via. È tutta
nel becco, tutta lì, tutta vecchie
penne senza più cervello.

Non vi capiti mai d’essere misurati,
tanto
è l’ardore tra noi. Più
liturgia di dolore sacro, con scranni
cerebrali e vesti da cerimonia, chiusi
sempre tra le pareti come mosconi.
Sono
poco e troppo le cose che vi posai con le mie
ali: tappeti celesti e candelabri vuoti. Anche
dentro l’esilarante Richter che assuefà
perdio, metà
come sono, ho sete, ma non
bevo io disegni divini mai
innocui.

*

       

Paolo Figar, Sirena alata

4 thoughts on “Ottetto per madre, poesie di Cristina Annino”

  1. alla tua maniera, intima e distaccata, fai poesia vera e non semplici versi di un soggetto assai difficile: e Anatomie in fuga, ho riconosciuto diversi brani e forse sono tutti tratti da lì, è sempre un gran bel libro di poesia

  2. Poesia che sviscera. Cosa di meglio per parlare della madre?! Anche un taglio cesareo dal quale nascono assieme madre e figlio. L’invenzione di dire l’emozione vera come fosse inventata, pur sempre credibile.

  3. A me questa di Cristina Annino piace perché è poesia quantistica, heiselberghiana. C’è in questo modo di scrivere e versificare un principio di indeterminazione che libera dalla fissità le immagini e le fa circolare in modo imprevedibile. Il soggetto materno non è fissato a un vetrino-ricordo, ma si sposta insieme all’osservatore-figlio, entra in lui, si va a mescolare con dettagli che sembra non c’entrino niente e che invece ne liberano tutta la potenzialità fantasmatica. Mi ricorda non poesia, ma dipinti e sculture futuriste in cui i piano si intersecano e danno vita a tutto un movimento figurativo, non trattenuto, ma in continua intersezione e fuga. I dinamismi di Boccioni, un quadro del 1912 in cui la vecchia madre appoltronata, appunto, esplode e il titolo è “Materia”. Il vecchio Richter se la ride con tutte queste scosse e crolli che mischiano macerie e carte. E si va dal bottone, dalla polvere, dal “mondo piccino”, al cielo sopra e a tutta l’acqua del mare. In questi scorrimenti di materia e psichemi, il passaggio fra i mondi – ed è stato sempre così fin da quando esiste il primitivo – è affidato agli animali o a umani che rivivono l’animalità e ne sono mimesi. Chi più della madre è ‘animale’? E’ balena che accoglie ogni piccolo Giona e alla fine “tutta vecchie penne senza più cervello”. Questi dati fenomenici vanno al di là del processo metaforico e in ciò sta la bravura di Annino. Non c’è neppure tempo di commuoversi, per fortuna, in questa continuo potlach di morte/vita. Il processo è il dato che fortissimamente vince. Questo modo di Annino è una delle grandi possibili risposte a come vada scritta oggi la poesia. Grazie.

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