Paesaggi immaginari.
Di DANIELE BARBIERI
Nel 1951 John Cage scrisse Imaginary Landscape n.4 e diresse la sua prima esecuzione assoluta. Si trattava di un pezzo per 12 apparecchi radiofonici, sintonizzati su diverse (casuali) stazioni radio, mentre le disposizioni di partitura che gli esecutori dovevano eseguire riguardavano il volume a cui doveva essere messa ciascuna radio in ogni diverso momento.
Il frastuono che si verrebbe a produrre se un gran numero di radio diverse emettessero insieme i propri diversi suoni alla stessa intensità apparirebbe molto simile a un rumore bianco, il caso estremo in cui la modulazione del suono ha raggiunto la massima frantumazione – e non trasmette, di conseguenza, nessuna informazione, se non quella della mancanza di informazione.
Idealmente la composizione di Cage, giocando sui volumi relativi delle varie radio, doveva perciò delineare un costante avvicinamento/allontanamento rispetto alla dimensione del rumore bianco, attraversando momenti in cui qualche brandello di informazione riusciva ancora a passare. Di fatto, racconta la cronaca, la prima esecuzione assoluta venne tenuta molto tardi la sera, in un orario in cui, nel 1951, molte radio avevano già terminato di trasmettere, e sulle loro frequenze vi era solo il brusio della loro assenza. Così, in questa prima, il rumore bianco andò in scena molto al di là delle intenzioni di Cage, come la condizione base di riferimento da cui saltuariamente uscivano momenti dotati di senso informativo – parole o musica che fossero.
Settant’anni dopo, la composizione di John Cage sembra apparire una parodistica metafora del presente. Sulla sua versione attuale aleggia peraltro la sarcastica considerazione di Andy Warhol, secondo la quale ciascuno avrebbe diritto a 15 minuti di fama mondiale nella vita. Ma se valutassimo in termini democratici gli eguali diritti di 8 miliardi di umani, 15 minuti per ciascuno equivarrebbero a 120 miliardi di minuti, ovvero 2 miliardi di ore, come dire 83 milioni di giorni: insomma 228.310 anni e mezzo.
Facebook riduce la notorietà possibile di ciascuno a un massimo di 5.000 amici (più, certo, tutti coloro che ti seguono – ma quanto spesso saranno più di altri 5.000?), prolungandola però nel tempo rispetto al fatidico quarto d’ora. Di questi 5.000, sono di fatto un centinaio quelli che ciascuno riesce davvero a vedere, e di conseguenza quelli da cui riesce a farsi vedere. Ma anche solo cento opinioni diverse il cui volume sale e scende continuamente assomigliano molto a un altro Imaginary Landscape.
Ciascuno di noi, ogni giorno, più volte al giorno, entra in scena come spettatore, o anche come performer. Il desiderio warholiano di apparire produce combinatoriamente il vuoto zen ricercato da Cage. Quattro secoli dopo l’apparizione del primo periodico di informazione (La Gazette di Theophraste Renaudot), lo sviluppo della democrazia favorito inizialmente da quel medesimo evento, e lo sviluppo della tecnologia dell’informazione intesa a renderci sempre più informati e quindi sempre più liberi, sembrano condurre paradossalmente alla condizione in cui l’informazione si dissolve e, con essa, i presupposti stessi della democrazia.
Il sarcasmo warholiano non ci salverà, lo Zen cageano nemmeno. Ma un po’ di consapevolezza in più magari ci aiuterà a capire quali siano le radio a cui alzare ogni tanto il volume, e quali andrebbero magari spente, con tutte le difficoltà e le imprevedibilità del caso.
Oltre a scrivere poesie, Daniele Barbieri, semiologo, insegna presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna. Ha pubblicato numerosi volumi di carattere critico, in alcuni dei quali si parla anche di poesia: Nel corso del testo. Una teoria della tensione e del ritmo (Bompiani 2004), Il linguaggio della poesia (Bompiani 2011), Testo e processo. Pratica di analisi e teoria di una semiotica processuale, (Esculapio 2020). Ha pubblicato tre raccolte poetiche (La nostra vita, e altro, Campanotto 2004, Distonia, Kurumuny 2018, La lepre di sangue, Arcipelagoitaca 2022) e un’altra raccolta (Canzonette) nel volume Emozioni in marcia (Fara 2015). Sue opinioni, anche sulla poesia, sul suo blog www.guardareleggere.net.