Pappagalli e altri animali in USA, poesie da Gin&genio di Dan Fante, Whiteflypress ed. Traduzioni di Gabriella Montanari.
Dan (Daniel Smart) Fante nasce a Los Angeles nel 1944 dal celebre scrittore italo-americano John Fante e da Joyce Smart, redattrice e poetessa. Ventenne, abbandona gli studi e la città natale per recarsi a New York dove vivrà, per dodici anni, di espedienti e piccoli lavori (tassista, commesso, venditore al telefono, guardiano di notte, investigatore privato…). Dopo l’alcol, la droga, i guai con la giustizia, i divorzi e la depressione, a quarantacinque anni intraprende la carriera di scrittore.
È autore di romanzi (Angeli a pezzi, Agganci, Buttarsi), che vedono come protagonista il suo alter-ego Bruno Dante, ma anche di racconti, poesie (Gin&Genio)e commedie (Don Giovanni). Nel 2011, ha pubblicato negli Stati Uniti l’autobiografia Fante: A Family’s Legacy of Writing, Drinking and Surviving. Nel 2013 esce, sempre negli USA, il suo primo giallo, Point Doom.
Ogni estate visita la cittadina abruzzese di Torricella Peligna da dove, nel 1901, il nonno Nicola (Nick) Fante partì per l’America.
Insieme alla moglie Ayrin e al figlio Giovanni, vive attualmente a Los Angeles, dove insegna scrittura creativa presso l’Università di U.C.L.A.
***
Ho incontrato il più miserabile dei gatti
un bastardo affamato
mentre leggevo
su una panchina
e mi accendevo una Lucky dopo l’altra
sulla spiaggia di Venice
Mi ha visto e si è fatto avanti
bianco
sudicio
un occhio verde
l’altro giallo
e uno squarcio ancora fresco sull’orecchia sfregiata
Arrabbiato come un lupo ferito
si teneva a distanza
con l’aria di dire, dammi da mangiare
o levati dalle palle
su questa panchina sei nel mio territorio
Quel che non sapeva è che anch’io conosco la disperazione e la pazzia e quello che possono farti il vuoto la solitudine e la rabbia quando in tasca hai solo la tua sofferenza
e come casa una Pontiac del ‘78 scassata piantata in un vicolo di West L.A. e quella voce in testa che ti accoltella e ti uccide ogni giorno un po’ di più e tu ti svegli e bevi ancora di quel vinaccio che sa di piscia di topo per sottrarti alla follia in agguato e dio diventa un tipo che esce da un 7-Eleven e ti sgancia qualche spicciolo per un altro cazzo di bottiglia e la paura è il più bel sentimento che provi e l’amore è morto e il tempo è morto e persino i tuoi occhi puzzano e le tue budella sono gonfie delle urla di tutti quelli che odi e l’unico rimedio sta nel piccolo miracolo di buttare giù un altro bicchiere
Il misero gatto bianco non sapeva che siamo fatti
della stessa stoffa
l’unica differenza tra noi
sono dieci anni
e una macchina da scrivere
***
I PAPPAGALLI
Di nuovo in bolletta
senza macchina
e sperando di scroccare un mese a sbafo a Malibù
ho scoperto che adesso i pappagalli selvatici
vanno ad accoppiarsi sopra Point Dume
a Malibù
Grandi
scopatori verdi e rumorosi
che ridevano sugli alberi alti — e mi seguivano
lungo il litorale
nel sole pomeridiano oltre l’autostrada
blaterando le loro stupidaggini
come un’orchestra caotica che accorda gli strumenti
Questa volta me ne torno a casa
con tutti i miei averi in un sacchetto di plastica
insieme alla macchina da scrivere
e alla mia passione per il gin
La mamma ha aperto la porta
ha sorriso quando mi ha visto
e
quella sera abbiamo riso dei pappagalli
e parlato all’infinito di Dickens, Rupert Brooke, Edna Millay
e quell’idiota di T.S. Elliot
Poi sono andato nella stanza degli ospiti
sbronzo di gin bevuto a ufo
triste per il fantasma sbiadito del mio vecchio
e ho ringraziato Gesù
per quell’unico essere ancora in vita
sempre pronto ad ascoltare
le mie cazzate
***
Un vecchio cane giallo
giaceva vicino alla porta di servizio di un ristorante
all’ombra
un lunedì d’agosto come tanti a L.A.
Dalla finestra dietro cui scrivo
l’osservavo, là nella calura
arrostirsi senza battere ciglio — bruciare sull’asfalto
Dei tipi che facevano jogging
scendevano da Bundy Drive
a due soli isolati — appassionati di sport —
dal luogo in cui OJ aveva tagliato a fettine la testa di Nicole
e lasciato colare il sangue a fiotti
sulle begonie rimaste orfane
Persone sudate salivano e scendevano dagli autobus all’angolo di Wilshire Boulevard
una coppia di senzatetto — due uomini — con addosso
un sacco di abiti, sbronzi e sudici
(si erano messi a due per riuscirci)
avevano capovolto, provocando un gran tonfo,
un enorme bidone verde dell’immondizia
in cerca di un misero tesoro sepolto
mentre io
con il condizionatore a palla
sognavo i risvolti di copertina dei BEST SELLER
pur restando bloccato
su una stupida riscrittura del capitolo 11
del mio romanzo
Quando finalmente il sole ansimante raggiunse le sue zampe, il cane si mosse
ed io, ormai certo che la mia — a breve — nuova ex-moglie
mi aveva perdonato l’ultima egoistica infrazione
della notte scorsa,
giurai per l’ennesima volta di pagare quelle fottute tasse
e di riprendere i corsi mattutini di ginnastica
Il cane giallo zoppicò giù per l’isolato
e si accasciò mettendosi in salvo all’ombra
mentre una macchina gli strombazzava,
un autoribaltabile scendeva a rotta di collo
lungo Bundy Drive
e io sorseggiavo caffè freddo
nel mio bicchiere
mezzo vuoto