La parola numerosa di Flavio Ermini.
È un errore far ruotare tutti i problemi della poesia intorno alla conoscenza, intorno alla morale, intorno alla trascendenza o, addirittura, intorno all’estetica.
Registra Bataille: scrivo per cancellare il mio nome. E precisa: va praticata l’esistenza di una poesia che possa creare sentimenti senza modello e che non abbiano alcuna analogia con i modelli propri della vita vissuta. Ed ecco svelato il vero problema della poesia. I poeti si misurano con il presente non per cambiarlo, ma per crearne un altro.
La realtà non può essere cambiata. Questa realtà va semplicemente resa obsoleta, dando vita a una realtà di diversa natura. Il primo passo in questa direzione esige che venga eliminata la presenza dell’autore nell’opera.
Certifica Mallarmé: «L’opera pura implica la scomparsa elocutoria del poeta, che cede l’iniziativa alle parole». Impossibile? Forse. In realtà si dovrebbero studiare e ammirare unicamente quei poeti che rendono la scrittura ancora un poco più impossibile…
L’idea è che nell’opera poetica più nessuno parli; il progetto è che sia la parola stessa a parlare. Una parola ante rem, prima della cosa. Una parola che non sia ancora il corrispettivo della cosa. Una parola chiamata a essere il luogo di raccordo tra sensibilità e percezione, per aprirsi a una possibilità di raccordo con ciò che siamo stati, con la nostra origine perduta.
Assentarsi dalla vita, abolirla, per dare forma all’opera. Scegliere la morte dell’io; perché solo cessando di essere un “io” è possibile abolire il tempo e trasformarlo in una forma di pensiero anteriore: vivere come testimone assente delle altrui e delle proprie vicende; dare vita a una parola “numerosa”, accogliente; scoprire che il vivente umano nei suoi momenti inconsci corrisponde alla realtà dell’universo.
Quando l’uomo delle origini s’imbatte in un fiume, non si imbatte in un concetto geografico (così come a noi accade), ma in una realtà misteriosa, in un essere che ha una sua volontà, una sua forza che minaccia un pericolo e che in pari tempo permette la navigazione e la pesca. Del fiume – così come di tutte le cose – va salvaguardata la primordiale esperienza numinosa che si traduce in bellezza e paura.
Per annunciare ciò che è veramente autentico è necessario sottrarsi dall’invadenza dell’io, che rende oggetti le cose e impedisce di ascoltare e apprendere. Soltanto se l’uomo è originariamente autentico ciò che lo circonda svela la sua essenza; facendo sì che uno splendore di sincerità s’instauri tra l’essere umano e le cose.
Si può giungere al compimento di questo processo solo affidandosi a un perfetto equilibrio tra sonno e veglia, tra abbandono e controllo. La parola così concepita può diventare la più immediata espressione dell’origine, un’intrinseca mediazione tra gli opposti: una parola riconciliata con la physis. Al punto che può consentire al poeta di parlare al mondo e il mondo a lui, e ad entrambi di essere una sola voce.
Ripetiamolo: è errato pensare che la poesia rifletta la realtà sensibile o psichica; o che lanci un appello ideologico; o che sia un segno volto allo spirito. Al contrario, va ribadito che il vero problema della poesia è quello di porre-in-essere. È un problema ontologico.
La bellezza scaturisce dall’essere. Non l’inverso. Il poeta vuol far-esistere. Ed è precisamente in questo che consiste la bellezza.
Il poeta soffre unicamente quando non riesce a far-esistere; quando sente che l’inesistenza penetra nel suo lavoro.
In poesia non si tratta di piangere o ridere diversamente, ma di dar vita a una nuova creatura che piange e che ride. Poetare è l’oltrepassamento dei confini in ciò che non ha confini: generare, chiamare alla vita; ancora una volta con dolore.
La poesia non salva la terra. Anzi, la poesia dice che la terra non ha salvezza. Ecco perché far-esistere, come fanno i pitagorici e i poeti, l’antiterra. Ce lo conferma Herzen: «Noi non siamo il medico. Siamo il dolore».
– “Registra Bataille: scrivo per cancellare il mio nome.”
Tant’è vero che il nome è rimasto e magari i suoi scritti vengono letti di meno.
– “La realtà non può essere cambiata. Questa realtà va semplicemente resa obsoleta, dando vita a una realtà di diversa natura. Il primo passo in questa direzione esige che venga eliminata la presenza dell’autore nell’opera.”
E perché mai? Viene cambiata in continuazione. Che poi i cambiamenti alcuni se li godono e altri ne subiscono il peso è altra questione. In cosa sarebbe poi di “diversa natura” una realtà che nascerebbe dalla finta eliminazione della presenza dell’autore nell’opera sarebbe da dimostrare.
– “L’idea è che nell’opera poetica più nessuno parli; il progetto è che sia la parola stessa a parlare.”.
La mistificazione di parlare in modo impersonale: “L’idea è..”; “Il progetto è…”, mentre parla Flavio Ermini riecheggiando Heidegger.
– “Assentarsi dalla vita, abolirla, per dare forma all’opera. Scegliere la morte dell’io”.
Assentarsi dalla vita sarebbe (coerentemente) suicidarsi. Vorrei vedere come fa un Ermini assentatosi (= suIcidatosi) dalla vita a “dare forma all’opera”. Al massimo finge di assentarsi o si assenta – se ha le condizioni materiali e pischiche che glielo permettono – da alcuni aspetti della vita: quelli fastidiosi, faticosi, noiosi, ecc.