Pensiero e linguaggio: poesia e parole. Il festival internazionale di poesia Virgilio di Mantova, reportage di Rachele Bertelli.
Poesia è necessità. Necessità di dire, di manifestarsi, di agire. Poesia mai slegata dal suo verificarsi.
E si è verificata anche quest’anno, a Mantova, nel festival internazionale Virgilio che dal 19 al 22 maggio ha incontrato appassionati e curiosi in più luoghi della città, dalla biblioteca Baratta alla silenziosa sala della Colonna di piazza Alberti alla Rotonda di San Lorenzo. La poesia non si impone mai, è sempre un viaggio in terre sconosciute e inconoscibili – forse – non ci fossero versi pronti a illuminarle, come lampi. Il linguaggio poetico ha in sè qualcosa di inspiegabile. Ha detto bene Ida Travi, che la parola è lo svelamento del mondo. Svela l’esistenza anche al buio, con le parole a far da lume, da strada. Forse per questo alla lettura della Travi al festival, ad un certo punto, si è deciso di spegnere la luce. Perché le stesse parole usate nella quotidianità potessero svelarsi nella loro dimensione poetica, aprendo quindi quelle parentesi del significato che sfuggono alla logica momentanea e ridotta della conversazione quotidiana. Uso impropriamente il termine “lettura” per descrivere quanto è accaduto nella serata dedicata alla Travi, perché di azione si tratta, anzi di trasmissione di azione/azioni. Interessante argomento il rapporto tra linguaggio/poesia/azione, una pagina che silenziosamente si apre ogni volta che si fa e si parla di poesia, e che resta taciturna come molti altri interrogativi sull’arte. Essere poeti è strettamente legato all’agire da tali, appropriandosi di un linguaggio specifico che diviene essenza stessa del poeta. Patrizia Valduga, protagonista di un affollato appuntamento di fine festival Virgilio, ha nel corso della sua carriera abbinato spesso alle poesie riflessioni sul linguaggio poetico, una su tutte l’idea che la apparente gabbia formale sia in realtà la massima possibilità di espressione.
Altro discorso è il confronto diretto fra poeti (e relativi linguaggi): al festival Virgilio ampio spazio anche alla pluralità poetica, in particolare con la presenza del Gruppo 77 di Bologna e il Collettivo di scritture Bibbia d’asfalto, presenti al festival rispettivamente sabato 21 e domenica 22 maggio. Lo “stare insieme” è in poesia e nella vita ciò che consente di amplificare le possibilità di espressione e di coinvolgimento, sensazione che il pubblico ha ben manifestato nell’uno e nell’altro caso.
Pluralità di linguaggi è, poi, anche pluralità di lingue: per il poeta statunitense Craig Czury è stata la prima volta in Italia, segnata con un recital italiano-inglese in traduzione simultanea e sovrapposta, che ha lasciato ai presenti una testimonianza accesa e decisa dell’impegno sociale e ambientale di Czury. Ma è dunque vero che chi traduce tradisce? Eugheny Solonovich, uno dei più autorevoli traduttori della poesia italiana in russo presente alla rotonda di San Lorenzo sabato 21 maggio, sceglie gli autori che più corrispondono al suo stato d’animo. Qualcuno dal pubblico sostiene a mezza voce che sì, tradurre è tradire. Ma senza traduzione non conosceremmo il riflesso dei versi più brillanti di Evgenij Evtusenko, da molti ritenuto il maggior poeta russo nonché uno dei due Premi alla carriera Festival Virgilio 2016 (autore di spicco internazionale), assieme a Ivano Ferrari (come mantovano di spicco nazionale).
“Siamo felici dell’esito del festival – commenta il poeta Stefano Iori, uno degli ideatori ed organizzatori della rassegna – il pubblico presente e attivo ha fatto sì che tutto funzionasse al meglio”. E siano lodate le occasioni di incontro con la poesia e nella poesia, la più necessaria delle forme d’espressione, tanto che in apertura del festival Maria Attanasio ha diffusamente trattato della sua personale difficoltà ad entrare nel linguaggio della prosa, che ha bisogno di spiegazioni, di legami diretti ed evidenti. C’è un nesso stretto (e diverso per ogni autore) anche fra tematica e uso della lingua, “più il tema si fa grave e più solfeggio affidandomi alle forme fisse” ha sottolineato Valerio Magrelli, altro grande nome di questi giorni poetici mantovani, il quale avvolge di una concreta ironia i suoi versi che celano omaggi, denunce, critiche alla società del nostro tempo che pare il tempo di un’altra dimensione, scandita dallo zapping annoiato del cattivo gusto. Durante il festival si è ammirato un panorama di vastità sconfinata quanto a spunti, argomenti, temi di rilievo. Come dire, la poesia non lascia fuori nulla, sa schiudersi e parlare di tutto.
A differenza di molte altre rassegne di vario genere, è difficile se non impossibile che una rassegna poetica si concluda con l’ultimo giorno. Non è un caso che chi c’è stato continui in varie forme a parlarne, a evocarne le sensazioni, gli attimi. La poesia germoglia continuamente in chiunque abbia il cuore per accoglierla, germoglia come un amore nuovo che sa di lavanda nascosta in uno di quei cassetti che non pensavi nemmeno esistessero. Passato e presente si confondono in un tempo che non è più il tempo dell’orologio sulla scrivania, ma quello che ha come lancette l’intrecciarsi delle vene sui polsi. E che è necessario come la vita.
Si, è vero. Tradurre e tradire sono parenti stretti. Ho tradito molte volte e me ne pento, soprattutto quando la lingua di origine è quella di Czury, che non è inglese, ma lo slang usato dai minatori di carbone della Pennsylvania negli anni ’50.
Ma d’altro canto, nemmeno Craig usa le sue parole. Lui usa le parole degli altri per comporre poesia, e questo è forse un’altro tradimento. Ah, tradire, trasgredire, che bello…