Percezioni dell’invisibile, antologia a cura di Giuseppe Vetromile, Edizioni L’arca felice: recensione di Paolo Polvani.
La proposta di antologie tematiche ha origini lontane. Ricordo quelle bellissime che agli inizi degli anni ’90 curava Carlo Alberto Sitta per le Edizioni del Laboratorio di Modena.
Nascevano intorno a temi concreti: il corso del fiume, gli alberi, la casa, il silenzio, il fuoco, vi comparivano i poeti più attivi e rappresentativi dell’epoca. In anni più recenti le edizioni CFR di Gian Mario Lucini si sono distinte per proposte coraggiose intorno a temi di rilevanza sociale come il lavoro, la difesa dell’ambiente.
Percezioni dell’invisibile, antologia curata da Giuseppe Vetromile, affronta un tema accattivante quanto sfuggente. “L’invisibile è sempre stato un mondo relegato negli anfratti irrazionali della nostra quotidianità, a volte sinonimo di paura, a volte sinonimo di sogno, di evasione” dichiara il curatore nella presentazione del libro. Vi si cimentano sette validi e noti poeti.
Lucianna Argentino centra perfettamente il tema affrontando il mistero di chi riversa l’essere nel dire. Brevi prose poetiche in cui in terza persona racconta della sua vita e di come
abbraccia le parole vive nel fondo marino del suo corpo gonfio di silenzio. Le porta a galla perché sulla pagina cantino al mondo la lucentezza delle tenebre.
Elegante ed efficace dichiarazione di poetica,
Lei le tiene in grembo, sfoglia l’almanacco, annota in margine quel silenzio che la lega all’ombra delle cose.
Il verso di Pasquale Balestriere si distingue per la nitida ricchezza lessicale; l’impianto classico sorregge una facondia che avvince per la varietà, per la sapienza metaforica, per i continui richiami colti:
nitido verbo che disàncora dall’ovvio,
dà voce all’ineffabile.
I temi che danno origine alla sua poesia sono costituiti da
effigi primordiali di memorie,
ardenti archetipi, muta feroce.
Una ricchezza alimentata da ricordi familiari, da vividi lampi di poesia:
…il giorno pecora s’avvita
appena nato al primo
clacson di bus…
La poesia di Floriana Coppola intende assurgere a vessillo di ciò che non pesa. Parte dal rifiuto dell’assedio di una realtà vissuta come fastidio:
socchiudo gli occhi e spengo in silenzio
il chiasso che punge le orecchie…
dalla consapevolezza di essere fuori dal coro, fuori dal tempio, preda di un furore che concede un unico varco: scrutare il cielo, elevarsi oltre la meschinità della vita quotidiana, ripararsi in un margine, escludersi nella ricerca di quelle tracce non visibili che restituiscano un senso all’esistenza:
non c’è gioia, mi dico un’altra volta,
tra gli uomini
cerco altrove più confusa
siedo nel conforto degli angeli
elogio
il margine.
Qui la poesia si fa tentativo di riscatto, aspirazione e rifugio.
Da Giovanna Iorio arriva una bella testimonianza di attitudine alla corsa, che si sostanzia nella nitidezza di colori vivi, al limite del tattile, in un ritmo serrato che predilige il verso breve, in una capacità di respiro invidiabile che si trasforma in abbraccio, in una profondità di riflessione perché la corsa di lunga durata induce a una qualche forma di meditazione; all’abilità di cogliere particolari significativi nonostante la fuggevolezza del percorso. Si tratta di
una giostra
di sedie e tramonti
una danza
nella consapevolezza dell’alternanza di riso e pianto e tuttavia con una visione di fondo improntata all’ottimismo:
cercasi profumo
di sogni
Una bella creatività che si alimenta di gatti rossi e navi arenate tra cuscini e divani e una speranza di ali. La percezione dell’invisibile è soprattutto qui:
bisogna essere pazienti con la vita
come un’arancia appesa a un ramo
La poesia di Ketti Martino scorre tra una sobria eleganza espositiva:
il cigolio
ha la tristezza cauta di settembre
e un sentimento di adesione, di partecipazione, forse più profondamente di identificazione con la natura:
e parlo ai tronchi e ai giorni che in terra
mi tengono ancorata
e anche:
stretta a un filo d’erba osservo…
Possiede un incedere tranquillo e accattivante, con sprazzi di alta poesia:
la grandine che arriva troppo presto
e sa di neve acerba
Interessante notare come la tensione verso l’invisibile possa indifferentemente aspirare alla trascendenza oppure accomodarsi nel qui e ora:
Ma siamo qui. E in noi e in ogni tessitura
di memoria è il filo che ci tiene
e indossare con eleganza questi versi:
in queste ore in cui l’acqua
lava le pietre con la pazienza degli anziani.
Cinzia Marulli Ramadori traccia un percorso circolare che partendo dai ricordi dell’infanzia ritorna a una visione che all’infanzia è strettamente legata. Sono poesie dal dettato piano, tessute in una lingua colloquiale. L’autrice colloca la sua percezione di invisibile nel movimento, nello scorrere del tempo:
mi piace il vento
e il suo trasporto.
Percorso non finalizzato a una meta, che trova la sua essenza nella scrittura:
scrivo perché sento la luce farsi specchio
dunque una ricerca poetica e anche umana, legata a una visione magica, infantile della scrittura, praticamente aurorale.
Scrivo perché un giorno un amico
mi regalò una penna facendomi credere che fosse una bacchetta magica
Puntare sull’epica dal quotidiano è la scommessa di Marco Righetti che traendo spunto da un doloroso fatto di cronaca riesce a donarci squarci di alta poesia, a dare voce, profonda, elegante, appassionata, alla ragazza sedicenne vittima dell’attentato davanti a una scuola di Brindisi, e lo fa con tutta la felicità espressiva di cui è capace:
così mi ha spalancato il cuore
lo ha appeso all’azzurro come lampada infuocata
A piene mani attinge a quell’invisibile che esiste, che chiede spazio, attenzione, a quel doloroso margine che solo la poesia può sottolineare:
la mia morte è la fine di una consuetudine
durata sedici anni sedici giri di sole
intorno ai volti che mi hanno preceduto nell’amore
Il poemetto chiude così splendidamente un’antologia che affida la sua scommessa alle parole.
Ogni parola nasce come metafora e si candida a luogo privilegiato della complicità, della invisibile attrazione tra la cosa e il misterioso involucro, il guscio che regala la vita all’oggetto, ne certifica la nascita, l’ingresso ufficiale nel catasto verbale, nell’anagrafe che alimenta il popolo dei vocabolari. Dietro le parole esiste tutta l’invisibilità di un percorso, ogni parola è un pezzo di quel museo all’aperto che è una lingua, le segrete correnti da cui germoglia un suono, un segno che vincola un destino.
Ringrazio Paolo Polvani per la recensione attenta, privilegiata da una felicissima lettura dei testi, da un fedele sensus per le specificità dei poeti antologizzati, dal rispetto della parola poetica.
Certamente il tema dell’ “invisibile” si offre alla sensibilità e alla ricerca poetica, poiché molto dire poetico attinge all’invisibile, all’ineffabile; la parola stessa si fa “poetica” nella misura in cui sa farsi molteplice e diversa dall’uso quotidiano. E tuttavia, a questa facilità di farsi poesia affianca il rischio di perdere il contatto con la realtà e farsi divagare astratto. Non è questo il caso, conoscendo il curatore. Ma volevo evidenziare il rischio eventuale di una tale trappola.
Caro Paolo, ti ringrazio molto per la tua recensione. Un caro saluto (p.s. proprio mentre ti scrivevo questa nota un fiocco (elettronico) di è diventato visibile!)