Periplo siciliano. Nota sulla poesia di Giovanni Asmundo, a cura di Giuseppe Martella
Perlustrando la mappa provvisoria della giovane poesia siciliana, tracciata con amore e perizia da Antonio Devicienti (Se i poeti s’incontrano, pubblicata sulla Dimora del Tempo sospeso, La Biblioteca di RebStein LXXVI),ascoltando la suggestiva, intricata, polifonia che ne sortisce, nel gioco di tradizione e innovazione: a scarti, cadenze e modulazioni, come in una calibrata fuga per canone. – O una ricchissima cantata a cappella, tutta in fieri, spesso fatta di voci fuori campo e fuori tempo, di una Sicilia-mondo realissima e onirica. –
Mi colpiscono, fra altri, i versi di Giovanni Asmundo. Leggo la nota del curatore. Poi seguo le sue tracce su internet e scopro che da tempo sta promuovendo, insieme all’amico fotografo Daniele D’Antoni, un progetto che abbina fotografia e poesia: Peripli. Topografia di uno smarrimento, dove appare una Sicilia metaforica, poetica, nostalgica, eppure realissima.
In una modesta stanza dalle pareti bianche, in un antico edificio del centro di Schio, i visitatori fanno il giro del perimetro sussurrando tra sé e sé i versi, percorrendo con lo sguardo le fotografie, due o tre volte: si interrogano per trovare un luogo perduto tra versi e immagini.
E’ come una sorta di istallazione multimediale e però semplicissima, low tech, che lascia libera l’immaginazione dei visitatori. Minimalista si direbbe nell’intenzione, chissà, forse per esorcizzare tutto il fardello barocco della storia, dell’architettura e della poesia siciliana, che certo Asmundo, con quel suo viso da pupazzo veggente, con quella sua vaga somiglianza con Battiato, ha interiorizzato completamente – digerito al punto da poterne trarre le geometrie scarne del teatro e i versi schietti del coreuta greco.
Si tratta infatti di un’Odissea icastica, asciutta e condensata, un periplo di chi forse è destinato a non trovare la via del ritorno ma che di tutti i luoghi saprà di certo serbare l’atmosfera, o – perché no? – (secondo l’interiorizzata lezione di Bufalino) l’aura benché ormai da tempo andata in pezzi.
In questo caso le poesie sono sempre accompagnate da fotografie. E’ questo il senso della mostra itinerante che porta il nome del progetto: “Peripli”, il girare attorno reciproco delle parole e delle immagini, votate a smarrirsi nell’odierno circuito vertiginoso dei media, dove ogni codice è destinato a mancare il proprio referente.
E proprio questa mini-odissea in una Sicilia-mondo ci offre la chiave dell’intera poetica di Asmundo, tesa a sovrapporre epoche storiche, contaminare generi artistici, fondere pietre e ricordi in effetti d’atmosfera. L’autore lo dice chiaro in un’intervista: “quando scrivo, cerco di coinvolgere i sensi di chi legge e anche di mescolare il cinema, il teatro, di fare richiami a cose molto antiche ma anche molto moderne, di contaminare.” E poi purificare come nell’affilato riflesso di una lama sacrificale; e poi comprimere il disegno narrativo nella messa a fuoco (o non piuttosto al rogo?) del dettaglio, nella condensazione dell’immagine che si fa oneroso carico di espiazione per il non detto, per tutto ciò che (eliso da ogni memoria o racconto) persiste solo come sedimento o come effetto di atmosfera.
E’ ciò che Asmundo coglie e ama nella sua Palermo, dove sempre ritorna, ma che si ritrova nella resa dei conti che ogni siciliano di qualche talento, di qualche onestà, fa periodicamente con la sua terra omertosa e ammutolita. Con la precaria insularità del suo stesso esserci. Ecco l’intento dell’Ulisse di turno, esule e pellegrino, eroe e narratore, che sempre rimette piede nella sua città, nella sua isola interiore da cui non può staccarsi. E poi “camminando per le strade fino allo sfinimento”, continua a narrare sempre di nuovo vecchie storie usurate, cercando paradossalmente di “imprimere positività nelle cose a furia di consumarle” – cogliendo il senso più essenziale di ogni periplo, quello in cui rievocazione e versificazione fanno tutt’uno, quello in cui “tornare d’accapo” significa dissotterrare la piega degli eventi, coglierne e custodirne il rilievo. Là dove nostalgia e cerimonia si incontrano e si convalidano a vicenda.
Così mi perdo nel periplo di un cantore della Magna Grecia e mi faccio ombra nel sogno dei suoi versi. Ma d’improvviso mi sovviene che Giovanni Asmundo ha vinto di recente il premio Versante Ripido 2019 con la silloge inedita Disattese. Coro di donne mediterranee, che è ora in corso di pubblicazione. Non mi resta dunque che congratularmi con la lungimiranza della giuria che ha saputo riconoscere per tempo il valore di un giovane poeta che lascerà il segno negli anni avvenire.
Ne propongo due liriche in cui c’è tutta la mia Sicilia:
Adesso comprendo, figlio di scirocco.
Se e quando rivedrò la secca sponda
tornato a una trina di luce e di cotto alle
rughe legnose del mio tavolo sfiorerò
con amorevole cura ceneri
e sabbie dietro le persiane chiuse.
Adesso comprendo, nipote e figlio d’isole le
molliche di pane nascoste
la frescura dell’intonaco alle dita
tra i riccioli azzurrati dei piedi.
E se dalla finestra saranno sterpi
frugherò tra le gramigne simulacri e
attenderò fiorire il marmo
delle braccia nude.
Questa rimane la mia ultima stanza
il mio primo desiderio.
(dal volume Giovanni Asmundo, Francesco Cagnetta, Vito Santoliquido, Trittico d’esordio, a cura di Anna Maria Curci, Roma, Cofine Edizioni, 2017)
*
18 aprile 2015
Mare che areni le voci dei dispersi
tutti i fasciami distesi sul basalto
colpi di remi senza cetra né versi.
Risacca perpetua e per rispetto muta
rechi conforto agli scogli anneriti
da oblio di gas olio e stasimi ed esodi
macchiati da cori arrochiti.
Prendi ora in custodia
la costa che arretra per
gli altri addolcisci
il limone promesso. E di me
serba nell’abisso
quest’ancora buona, di pietra.
(da Lampedusa isola sacra, silloge inedita)