PINPIDIN. Una rubrica piccola e grande. A cura di Natalia Bondarenko

PINPIDIN. Una rubrica piccola e grande. A cura di Natalia Bondarenko.

    

   

Penso, scrivo, amo? Può darsi che la poesia sia essenzialmente un moto inconscio come lo è l’amore. Diceva M. Cvetaeva che  “la poesia è qualcuno o qualcosa che dentro di noi vuole disperatamente essere”. Ma al di là delle possibili definizioni, resta il fatto che sono cambiati  e stanno cambiando i paradigmi che ci hanno accompagnato in passato. Cambia il senso del tempo e dell’appartenenza. Cambiano i linguaggi con cui esprimiamo le nostre relazioni. Tutto diventa più numeroso, più grande e più bello. Anche la poesia può oggi permettersi di ampliare i suoi tempi, raggiungere molte più persone, essere fonte di grandi promesse. Se è vero che l’umanità oggi può autodistruggersi, è altrettanto vero che questa stessa umanità oggi può auto-svilupparsi incredibilmente». Le parole, che esprimono in pieno il mio pensiero sulla poesia attuale, sono di Francesco Di Lorenzo e fanno parte di una delle mie interviste dedicate alla poesia.
Ma che spazio occupa oggi la poesia nel mondo dei giovani? Già il rapporto tra i giovani e la lettura è in generale complesso, figuriamoci quello con la poesia! Così, molto spesso, i versi rimangono racchiusi tra le pagine dei libri, tra quei banchi di scuola in cui per la prima volta sono apparsi Leopardi o Foscolo… dopodiché, sia la poesia che gli autori, figurano solo come un brutto ricordo. Per di più nei ragazzi si nota una certa paura di parlare dei propri sentimenti e mettere a nudo la propria anima specialmente con i professori, e questo aspetto io lo ricordo perfettamente perché anche la mia strada poetica in quella età fu timida e piena di insicurezze.
Oggi come oggi, invece, dopo aver avuto la possibilità di conoscere più da vicino alcuni testi, ritengo che la poesia prodotta dai ragazzi (molto più di quanto si pensi), si rivela fresca, lirica e sincera, a volte coraggiosa, a volte – sperimentale, ma molto spesso piena dei sentimenti profondi e di emozioni forti. Insomma, una poesia che ha bisogno di un’attenzione particolare.
E proprio per questo abbiamo deciso di dedicare a questo argomento una rubrica intera. NB

      

Da Petrarca a Fedez.

Sembra un fatto quasi scontato che la poesia e i ragazzi vivano su due pianeti diversi. Sembra. E non so se questo sia un fatto solo italiano, ma in Italia si sente spesso dire che i versi di Montale o i sonetti di Petrarca, non vengono capiti dai ragazzi che li sentono lontani dalla loro quotidianità. Lo era ugualmente per me, che vengo dall’Ucraina, anche se gira la leggenda metropolitana che nella ex-Unione Sovietica le cose stessero diversamente. Da come lo ricordo io, la poesia imposta, che dovevamo studiare e imparare a memoria, era bella ma noiosa, poco interessante e molto spesso politicizzata. L’unico ‘divertimento’ si nascondeva nella rima ben pronunciata, tipica della poesia ucraina e russa. Però, anche da noi a volte succedeva che qualche insegnante si ‘distraesse’ e ci facesse conoscere i poeti fuori dal programma che ancora fino ad oggi occupano nella mia memoria uno spazio speciale.

A questo proposito, non si può che essere d’accordo con Roberto Cescon, insegnante e poeta pordenonese, che sollecitato da me, ha scritto questa cosa:
I ragazzi a scuola fanno esperienza della poesia dei secoli passati, secondo un impianto diacronico e antologico. Se sono fortunati, i loro insegnanti fanno incontrare loro la poesia oltre l’armamentario strutturalista e allo stesso tempo educando l’arbitrarietà della loro interpretazione. È un lavoro lungo che non sempre produce risultati”.
E dopo, praticamente conferma la mia convinzione che
i ragazzi sono naturalmente portati alla poesia perché si stanno scoprendo, anche se il loro immaginario è intossicato dal proliferare delle immagini; però la cercano in altre esperienze artistiche, apparentemente più semplici, come ad esempio la musica. I ragazzi scrivono poesie che spesso si fermano a pensieri che vanno a capo, per trovare sollievo dai loro dolori; più difficile è farli misurare con il ritmo e la coscienza della lingua, la quale è qualcosa che viene prima di loro e attraversa le generazioni per riattraversare ciò che muove l’uomo nel suo tempo.

Proprio così, all’età di 14 anni, io e i miei coetanei ci innamorammo della poesia di Marina Cvetaeva che fino ad allora era poco conosciuta tranne qualche verso selezionato dal regime: negli anni ’80 usci un famoso film sovietico, “Ирония судьбы” / “La ironia del destino” ed alcune canzoni della colonna sonora diventarono le più ascoltate di quel decennio e sono ricordate e cantate ancora adesso. Senza parlare del ribelle (e boicottato dal regime) cantautore Vladimir Visozkij che conquistò una vasta parte del popolo sovietico con canzoni per le quali nel 1993 gli venne assegnato il Premio Tenco (prima volta per un artista non più in vita).

E qua mi viene una domanda spontanea, e cioè… se esiste una formula magica per insegnare in maniera giusta la poesia ai ragazzi?
Sentire che li riguarda. Che riguarda le loro stesse emozioni, i loro sentimenti, le loro aspettative, le loro fragilità e contraddizioni. Sentire che parla anche di loro. É di questo che hanno bisogno, i ragazzi, nel loro primo approccio alla poesia” spiega Antonella Sbuelz, poetessa ed insegnante di letteratura, “è questa la grande sfida della letteratura: l’evasione – almeno provvisoria – dall’unicità a cui siamo destinati. Siamo imprigionati in un corpo unico, collocati in un tempo unico e determinato”. Ma la buona letteratura – e la buona poesia – ci permettono di uscire temporaneamente dalla nostra unicità e di riconoscerci nelle emozioni, nelle storie e nei destini degli altri, evocati da un verso o dalla pagina di un romanzo. La buona letteratura – e la buona poesia – riguardano innanzitutto questo: la possibilità di sperimentare l’empatia più profonda, di farci molteplicità e pluralità, di riconoscere l’universale che agisce nel nostro individuale. I ragazzi lo sentono, accostandosi alla poesia. Sentono che la sofferenza potente di Leopardi è anche la loro potente sofferenza, che l’ironia, l’arguzia o il paradosso tratteggiati dalla Szimborska sono anche l’ironia, l’arguzia o il paradosso della vita di un sedicenne del 2017”.
A
nche se, nella mia esperienza personale ho trovato la reazione alla poesia ironica meno spontanea, più ragionata e controllata. Ma la questione sta tutta nell’ironia; se è cinica piace meno, se è addolcita dalla semplicità e dalla grazia, è più compresa.

E allora, come si fa? Chiedo io:
“Per permettere” dice Antonella, “a un sedicenne o un diciottenne di riconoscersi in un testo poetico bisogna offrirgli la possibilità di avvicinarsi alla poesia entro uno spazio di gratuità e libertà assoluti. E spiazzanti. Senza pretendere analisi iperstrutturate, che trasformano un verso, un’immagine o una figura retorica nell’insetto sotto vetro studiato da un entomologo.
Niente apparati tecnico-formali. Nessuna vivisezione del corpo poetico. Rinuncia all’approccio accademico nel nome di significato e significante, di figure di senso e di suono. Quel genere di analisi verrà, ma dopo. E verrà (anche) per germinazione spontanea di curiosità intellettuale solo se la poesia avrà prima shakerato le emozioni, messo in subbuglio la pancia, parlato ai neuroni specchio, immesso in circolo sentimenti che sono di tutti. Solo se prima la poesia avrà saputo stupire per la sua potenza evocativa o per il suo scavo interiore.
Altrimenti resterà, per molti, il ricordo di appunti presi a margine di una pagina, fra uno sbadiglio e l’altro: solo costrizione, estraneità e noia”.

Più o meno dello stesso parere anche Stefano Bulfone, insegnante e poeta:
“Avvicinare bambini e ragazzini alla poesia significa entusiasmarli e incuriosirli rispetto alla musicalità, al ritmo e alla libertà sintattica che questa tipologia letteraria può offrire, ma anche avvicinarli al gioco combinatorio dato dalle regole metriche; questo per aprire la mente alla sensibilità rispetto all’uso della lingua sia scritta che parlata. Risulta evidente che ciò è possibile tramite una dimensione sia ludica che comica, nelle prime fasi di incontro coi versi. Col proseguire degli studi spesso l’approccio scolastico tradizionale allontana i ragazzi dalla poesia, spegnendo potenziali lettori e/o stimatori”.

Poi, naturalmente, su questo argomento si può anche scherzare, come mi è successo con Maria Grazie Calandrone (poetessascrittricedrammaturga, autrice e conduttrice per Rai Radio3  italiana) in un scambio di post su Facebook. Lei:
– …domattina Radio3 ore 6… con Pin Pidì, diamo il nostro augurio di buon viaggio ai bambini che stanno per cominciare o ricominciare l’avventura scolastica… accompagniamoli con la poesia, parliamo loro di un altro mondo possibile.

Le ho chiesto ironicamente:
A proposito dei ragazzi che tornano a scuola e la poesia: hanno bisogno di sentirla o sprechiamo il fiato?

Lei:
– Secondo me fanno solo finta di non capire, ma in realtà si abbeverano, fingendo indifferenza…

Bella risposta.

Sandro Pecchiari, ex preside e poeta di Trieste, precisa:
Ricordo uno studente della terza media, dove non si parla mai insufficientemente di poesia, che mi ha stupito con questa frase: la poesia usa le strategie più adatte e efficaci per raccontare il sogno della vita.
E quando chiedo a Sandro se per caso quel ragazzo è diventato un poeta, risponde:
Purtroppo di lui sono perse le tracce. Ma ne ho altri che invece scrivono romanzi e saggi di psicologia ma non poesia”. 

Ma esiste una età giusta, per cominciare con la poesia?
Non credo, ma vorrei solo accennare ai bambini-prodigio come lo erano H.P Lovecraft, che componeva lunghi poemi all’età di 5 anni o Nika Turbina che iniziò nella stessa età e arrivò a ricevere a soli undici anni un premio prestigioso di Poesia in occasione del festival internazionale di poesia “Poeti e pianeta Terra” tenutosi in Italia nel maggio del 1985. Però questi sono casi rari.

Nel quotidiano, invece, come si comportano i bambini sicuramente lontani dall’idea sovietica di “Vi faccio vedere chi sono io”?
Le idee me le chiarisce Antonella Bukovaz, poetessa ed insegnante:
Mi è capitato di lavorare alla realizzazione di uno spettacolo teatrale con una ventina di alunni di terza elementare, 8/9 anni. Tra gli obiettivi, quello di imparare a memoria un testo di poesia fortemente ritmato, tipo rap, e rappresentarlo. Obiettivo facilmente raggiunto! I bambini non solo si sono divertiti ma sia durante il lavoro con il corpo sia nei momenti di riflessione linguistica, hanno dimostrato di seguire e capire il senso del testo, afferrandone l’ironia e le allusioni. La vera magia però è partita dopo. A scuola, durante le pause, un gruppo si dedica alla scrittura di un testo rimato e ritmato e alla costruzione di una coreografia per la quale prepara anche semplici strumenti di percussione. Quando mi sottopongono il testo, aggiustiamo insieme un paio di passaggi che hanno un ritmo che non funziona. Lavoro molto interessante. Il corpo aiuta. Il momento in cui mi invitano ad assistere alla rappresentazione è stato uno dei più belli dell’anno scolastico”. 

Anche Margherita Breggia (assistente didattica con una lunga esperienza tra i banconi di una libreria) conferma che secondo lei il modo migliore per far appassionare gli studenti alla poesia è attualizzarne i testi cercando i punti in comune con gli interessi dei ragazzi. Secondo lei, gli insegnanti delle scuole superiori hanno un programma da seguire e devono parlare di tutto in poco tempo, perciò sarebbe meglio accennare solo certi autori e concentrarsi su altri che trattano temi attuali. O invogliare i ragazzi a cercare delle somiglianze con i moderni poeti: i cantanti e i cantautori.
La poesia è legata a quella dimensione fonica e ritmica” spiega Margherita, “i professori dovrebbero sfruttare il mondo della musica, il rap e l’hip hop ad esempio: sono ottimi per spiegare la metrica”.
(fonte: https://www.manabu.it/it/blog/lesperto-risponde/2016/03/come-appassionare-alla-poesia-gli-studenti/)

Un pensiero interessante e fiducioso mi è arrivato da Francesco Di Lorenzo, docente di italiano e lettore/cultore di poesia, che anche grazie alla sua esperienza a contatto con gli studenti, mi dice che
“sempre di più la poesia sarà per forze di cose più democratica, sarà, come avviene già oggi con la rete, più vicina ai ragazzi, che avranno ampie possibilità sia di scriverla che di pubblicizzarla e ascoltarla, in luoghi, forme e colori multipli e plurali. La poesia fa parte delle cose belle della vita e soprattutto la poesia dà piacere, crea benessere, per chi l’ascolta e per chi la scrive. E questo è un bel modo per affrontare il futuro che è di tutti, ma principalmente dei ragazzi”.

Per finire, confido, che mi mancava un passaggio sul ‘Poetry Slam’, dove la partecipazione giovanile è molto più numerosa, e così, in modo quasi subdolo, di nascosto, ho cercato di estorcere una minima informazione a Christian Sinicco, creatore di LIPS – Lega Italiana Poetry Slam, al quale è capitato di organizzare uno slam per i ragazzi. Gli scrivo su FB e mi risponde in modo laconico che “ci siamo divertiti” e quando capisce che sotto sotto lo sto intervistando, mi fa notare che lui non è la persona giusta per parlare sull’argomento. E così la mia domanda “Come vedono i Poetry Slam i ragazzi” rimane senza risposta.
(Il fatto sta, che uno dei suoi vincitori, un ragazzo oggi diciassettenne, alla mia proposta di partecipare ad un reading poetico, dovette passare il telefono a suo padre, che in modo esplicito mi fece capire che suo figlio aveva vinto la gara di poesia per caso, ma che nel suo futuro c’era solo il calcio. Il che significava che i reading poetici non lo interessavano. Ma me lo disse il padre. Non il ragazzo. Il dubbio persiste).

        

It, Andy Muschietti, 2017
It, Andy Muschietti, 2017

One thought on “PINPIDIN. Una rubrica piccola e grande. A cura di Natalia Bondarenko”

  1. Onore a chi cerca di rivalorizzare la poesia nella scuola di base, rendere fruibile ancora il suo linguaggio. Ben venga anche servirsi della musica, di rap ed hip-hop, delle altre arti affini come strumento d’avvicinamento.

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