PINPIDIN. Una rubrica piccola e grande. A cura di Eloisa Guarracino

PINPIDIN. Una rubrica piccola e grande. A cura di Eloisa Guarracino.

    

   

Questa rubrica, la prima di una serie che speriamo abbia un lungo e felice seguito, si intitola Pinpidin, in onore all’omonima antologia, curata da Antonio Porta e Giovanni Raboni, uscita nel 1978 per Feltrinelli. Il titolo “Pinpidin” era stato preso a sua volta dalla Cantilena inglese di Andrea Zanzotto, contenuta nella stessa raccolta, già pubblicata dalla Edizioni del Ruzante e servita a Fellini nel suo film Il Casanova (1976).

Si tratta di un lemma nel cosiddetto petél zanzottiano, lingua spontanea, impastata di invenzioni e idiomi originari, qualcosa di più evoluto della lallazione, ma appartenente a una dimensione dell’infanzia e a un italiano anti-ufficiale, eppure non (o non del tutto) dialetto. Un linguaggio che custodisce significati profondi, così come sottolineano Porta e Raboni, “come tesori perduti della nostra infanzia”. L’antologia, contenente testi di interpreti illustri dell’allora poesia contemporanea (Sanguineti, Spatola, De Angelis, Balestrini, Orengo, Niccolai, per dirne alcuni) si proponeva a quel tempo di dare voce a un possibile genere, non secondario, né specialistico, che si rivolgesse ai bambini, con una cifra linguistica autentica e non forzata, né adattata allo schema di un parlare infantile, e perciò artificiale.
Un genere insomma, che già genere era, ma che potesse esprimersi, riferendosi direttamente ai ragazzi, tenendo fede alle proprie strutture fondanti, alla propria ars, senza perdere cioè un’identità, che coerentemente, sia pure con le dovute selezioni a monte, si rivolgesse in modo riconoscibile a un adulto quanto a un bambino, di cinque o dieci anni, per esempio.
Ecco quindi che i poeti chiamati a dare un testo per l’antologia, lo avevano fatto senza tradire la natura della propria poesia. Basti pensare a Edoardo Sanguineti in piangi piangi, testo già edito e apparso in Segnalibro, in cui linguaggio e ideologia si fanno tutt’uno, sotto un omnicomprensivo segno marxista; in aperta critica al consumismo e alle sue politiche di espansione, mettendo in luce un’alienazione umana, e perciò sociale, che arriva a condizionare subdolamente, come un veleno, persino le relazioni affettive, come quella genitoriale, a testimonianza di una dimensione totale, che investe l’individuo esattamente come la sua società.
Quello su cui insistevano Porta e Raboni, era dunque la necessità di coinvolgere giovani lettori alla partecipazione di un diritto alla lettura fondato, proprio come lo è la poesia, sulla libertà: “vere poesie” dichiarano nella prefazione, “nelle quali siano presenti le caratteristiche di libertà inventiva e profondità formale, proprie, in assoluto, della poesia”. Lo fanno chiamando, appunto, a raccolta alcuni loro contemporanei, i più adatti a rispondere a quell’intento programmatico, senza modificare il proprio stile né dimidiarlo a una sintassi falsa e artificiosa, persino anti-educativa.
“In altre parole, siamo convinti che l’unico modo per comunicare positivamente con i bambini con i mezzi e nel senso della poesia sia quello di offrire loro degli autentici (e attivi) modelli linguaggio: cosa che evidentemente, solo delle autentiche poesie possono fare”.
Questa rubrica, esattamente su quella traccia, si propone come uno spazio aperto di poesie e racconti, che possano essere lette, con quella stessa “libertà” da tutti, ma anche come spazio in cui rendere conto di progetti realizzati nei più vari contesti dedicati all’infanzia, testimonianze di chi opera nel settore, con intelligenza e creatività, per coltivare ciò che è altro non è, che il futuro. Non un’utopia, dunque, ma un importante, progressivo lavoro in corso.

     

“COMINCIAMO” dunque!… con un bell’augurio di Vivian Lamarque, la quale sa, come un Pollicino, disseminare sempre generosa poesia, per ritrovare ogni traccia perduta, che in qualche modo parole nuove ripareranno. È l’incanto, vicino e segreto, di Vivian, che (rida, pianga, si arrabbi, pensi) è sempre una carezza aperta, anche quando ha sfiorato le spine.

QUADERNO NUOVO

Poter domani
il Foglio di Bella
della vita cominciare
correggere la brutta cancellare
togliere gli errori (modi e tempi
sbagliati, nomi) ritoccare.

Che bello il bianco foglio nella mano
luccica il pennino, cominciamo…

VIVIAN LAMARQUE
(da “Poesie 1972-20002”, Oscar Mondadori)

    

“OLTRE LE PAROLE”, O SULLA LORO FORMA GEOMETRICA, SECONDO I BAMBINI

Oltre le parole è un progetto realizzato da una sezione della Scuola dell’Infanzia di Giorgilorio, frazione Schermata 2016-04-27 alle 23.32.13di Surbo, in provincia di Lecce. L’idea che ne è alla base gioca su un concetto chiave, essenziale durante il corso dell’infanzia, nel determinare una rappresentazione del mondo, e da qui la sua conoscenza. Il progetto parte, infatti, dal principio secondo cui ciascun bambino è in grado di conoscere e sperimentare la realtà esterna attraverso un linguaggio, costruitosi personalmente sulla base di analogie, pensieri “magici”, associazioni scaturite da esperimenti, frutto di una scienza dalle dimensioni esatte e misteriose, che tanto bastano a considerarsi “mondo”. Basti pensare a Jean Piaget, come cita a conforto la direttrice Maria Rosaria Manca nella prefazione a quello che, da progetto realizzato in classe, è stato poi raccolto in un libricino, pubblicato per le edizioni Terra d’Ulivi. La capacità di rappresentazione da parte di un bambino è in relazione al suo linguaggio, ed è proprio su questa base che le maestre della sezione “Scoiattoli”, Raffaella Pico e Serafina Miglietta, hanno impostato l’iniziativa.

Oltre le parole, nella sua veste editoriale, è la raccolta di un’esperienza che attraverso la provocazione di immagini mentali associate a una geometria fantastica, ha dato forma, in senso stretto, alle parole, fra Schermata 2016-04-27 alle 23.33.09le più comuni e familiari. Ed ecco che, una volta accese le scintille delle analogie costruttive, i bambini hanno stabilito “mamma” come una parola dalla forma tonda, a differenza di “papà”, che è quadrata, e di “guerra”, che invece è triangolare, così come “bugia”, “autunno” e “preghiera”. Tutte queste scoperte, talvolta motivate da argomentazioni in effetti ineccepibili (“il papà è quadrato perché lavora”), talaltra date come assunto (“si sente che è rotonda!”), sono state accompagnate da rappresentazioni grafiche, realizzate su cartone di imballaggio per la pizza.

L’edizione è la prima della collana “Il Veliero parlante”, voluta dell’editore Elio Scarciglia, sensibile nel prestare attenzione ai fermenti creativi più in erba, inaugurando una serie che si propone di raccogliere e documentare le più varie sperimentazioni, che possono prendere vita in contesti scolastici attivi, così come quello di Giangilorio, da sostenere e incoraggiare, perché capaci di sviluppare linguaggi e forme di conoscenza.

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“LEGGERE È OTTIMOMASSIMO”. INTERVISTA A DEBORAH SORIA, LIBRAIA PER RAGAZZI A ROMA

Deborah Soria è socia fondatrice della libreria Ottimomassimo, punto di riferimento a Roma, per la migliore letteratura dell’infanzia. Nata nel 2006 come libreria itinerante, un furgoncino che aperto si trasforma magicamente in libreria, Ottimomassimo è dal 2012 spazio stabile per bambini e ragazzi, nel cuore di Trastevere, dove poter trovare libri di qualità, scelti con cura e lontano dalle pure logiche di mercato, dove partecipare a incontri con autori, illustratori, editori, compresi quelli indipendenti; uno spazio che propone laboratori e corsi di formazione di vario genere, per tutte le età, dal teatro delle ombre alla guida alla lettura dei cosiddetti “silent books”, gli albi illustrati senza parole. Tre libraie, Deborah, Tiziana e Francesca, che con dedizione e competenza, portano avanti un lavoro che non si esaurisce nella semplice vendita di libri, ma attiva meccanismi virtuosi che dal quartiere si propagano oltre, per esempio nelle scuole, di Roma e dintorni, dove più di una volta a settimana, Ottimomassimo si reca a svolgere laboratori e letture animate in diverse classi.

La libreria in tal senso è molto più di un’attività commerciale, sia pure, per così dire, “nobile”. È un concetto molto più allargato, che tende a unire e collegare, intrecciando percorsi che coinvolgano tante realtà, rivelandosi uno strumento innanzitutto sociale, di cambiamento.

Questo ed altro si respira a Ottimomassimo: un’energia che solo chi pensa al lavoro come a qualcosa di fortemente coincidente alla vita, sa trasmettere. La fantasia generosa di chi, in fondo al cuore, è ancora bambino, e una visione molto concreta della lettura, pensata come un’esperienza da esplorare da diverse prospettive, capace di generare e moltiplicare un diletto assoluto: quello di poter viaggiare, a partire dalle parole. Deborah Soria si racconta. 

     

Deborah Soria, una breve presentazione di te. Come nasce il tuo lavoro di libraia, su quali basi e principi fondi la tua attività?

Ho studiato illustrazione allo IED e frequentato a lungo la Fiera di Bologna per l’editoria dei ragazzi, poi c’è stata l’occasione di una grossa libreria che apriva allora a Roma, all’interno della quale ho lavorato per diversi anni. Ma è un’attività che nasce anche dalla mia famiglia, mia madre faceva la bibliotecaria al British Council di Roma.
Il libraio è un lavoro che modifica il contesto del territorio in cui opera, e di questo ne hai immediato riscontro: lo vedi nelle famiglie, che modificano le proprie abitudini, acquisiscono una familiarità con lo spazio della libreria, diventa per loro un di punto di riferimento.
È un lavoro pratico, in cui si continua a imparare, ci si evolve continuamente, e naturalmente oltre alla concretezza stanno alla base principi pedagogici importanti, come il valore della lettura, la partecipazione dei bambini. Questa combinazione di concretezza e intelletto incontra perfettamente la mia filosofia di vita.

     

Avendo attraversato un periodo di attività relativamente lungo in questo campo, che cambiamenti hai osservato nell’ambito di questo mestiere? In che direzione credi stia andando l’istituzione libreria e di conseguenza l’editoria per l’infanzia, se davvero questo nesso (libreria-casa editrice) può essere ancora considerato necessariamente intrinseco?

La libreria, la casa editrice, tutto ciò che ci sta attorno, sono strettamente collegati alla società. Viaggiando per le librerie di tutto il mondo, per esempio in America ti accorgi di quale saranno le tendenze qui fra qualche anno. Oggi tutti gli intermediari sono in crisi, essendo considerati un costo. Anche il fruttivendolo lo è, anche il sarto. Si va direttamente alla fonte. Se si vuole un libro lo si compra su Amazon, la frutta e la verdura, così come i vestiti, al supermercato e nelle grandi catene. Ma posso dire che c’è comunque una contro-ondata a questo fenomeno. In America, appunto, è già in atto e da noi, sempre più in espansione. Perché chi compra su Amazon, dopo un po’ non sa più cosa comprare, ha bisogno di un consiglio, di una mediazione. E soprattutto, quello di cui si inizia a sentire la mancanza è il lato umano. È questo fattore, la sua assenza, che sta creando un ritorno al locale. Da noi, al momento, sono solo fasce medio-alte che hanno iniziato a ricercare questa dimensione, ma è un processo che si va incrementando.
Quello che è importante è alimentare il piacere: il solo fatto di venire in libreria, di usare questo intermediario, attiva il piacere e la conoscenza. Naturalmente la libreria deve adattarsi al sistema, che è veloce e abbondante di stimoli, ma la sua forza è e deve essere la relazione. La relazione umana contro la solitudine di una fruizione (v. Amazon) non supportata da esperti. È l’umanità che fa la differenza, il suo apporto sociale sotto diversi aspetti.

      

Quanto è importante per la vita di una libreria costruire programmi e attività “extra”, di sensibilizzazione e avvicinamento di pubblico?

Promuovendo la lettura nei bambini, è importante farlo in diversi modi. Oggi tutti corrono e considerano fondamentale trovare intrattenimenti continui per i propri figli, tanto che la qualità va spesso a discapito della quantità. La libreria ora, più che un tempo, agisce come attivazione del territorio. L’acquisto oggi non è più sufficiente. C’è una richiesta sociale che il pubblico fa, che sembra dire: “Emozionami! Fammi divertire!” Prima la libreria non era così. Oggi i genitori hanno un continuo bisogno di riempire le vite dei propri figli, per quanto riguarda i libri, hanno quasi paura (o non hanno tempo) di esplorare da soli e scegliere, chiedono un supporto esterno, che si sostituisca completamente a loro e che al tempo stesso sia in grado di attivare al massimo tutti i sensi dei propri figli, e che li salvi dalla noia. Questo è un gran punto dei genitori, unito a una diffusa “infantilizzazione” della società, di cui sono vittime. I genitori hanno paura di dire no ai propri figli. Appena manca qualcosa, li riempiono di attività, temono la loro noia, temono i loro capricci, non sapendo più come imporsi, molti di loro, rimandano quello che dovrebbe essere il proprio ruolo educativo ad altri. Noi cerchiamo di rivolgerci sempre direttamente ai bambini quando vengono in libreria, cerchiamo, nel bene e nel male, di richiamarli a una responsabilità, che è fatta di scelte autonome (facciamo in modo di valorizzare i lori interessi, che siano i loro gusti a orientare l’acquisto di un genitore) ma è una responsabilità fatta, se necessario, anche di richiami, ricordando loro che è importante rispettare le regole (per esempio negli spazi della libreria, nell’interazione con gli altri bambini, nell’uso degli oggetti di tutti). Dando spazio ai bambini ti torna anche il loro rispetto, e questo passa anche attraverso un no!

      

Sappiamo che oltre alla tua attività di libraia sei attiva su diversi fronti. Uno per tutti, Ibby Italia, associazione che si occupa del diritto alla lettura nell’infanzia, attraverso la quale hai ideato e porti avanti il progetto della biblioteca di Lampedusa. Puoi spiegarci meglio di che si tratta?

Lampedusa si fonda sulla semplice idea di aprire una biblioteca su un’isola remota, al centro del Mediterraneo. L’isola, e in particolare Lampedusa, è un punto di passaggio e di incontro. È un posto per molto aspetti “dimenticato”, in cui mancano molte cose: una biblioteca per esempio, che puo’ invece essere considerata come un aggancio alla vita, qualcosa per rimettere “i piedi per terra”. Questa biblioteca, in realtà, non c’è ancora, nonostante si tratti di un processo avviato da tre anni a questa parte, e nonostante esista già una struttura gestita dai bambini di Lampedusa e dai volontari, fra cui, durante tutto il periodo dell’anno, alcune mamme e maestre, che si preoccupano di tenerla attiva. È diventata nel tempo un motore sociale forte, un punto di incontro e conoscenza, ed è per questa partecipazione, sentita soprattutto dai bambini, che la biblioteca continua a stare in piedi. Poi dall’altro lato c’è la burocrazia, la politica… Ibby sostiene da lontano questo progetto, dà delle linee guida, un apporto continuo, anche se a distanza, ma si tratta di una realtà che deve appartenere al territorio ed essere supportata dalle istituzioni. È questo il senso: creare qualcosa che sia un bene per chi sta sull’isola e che sia l’isola stessa a prendersene cura, a portarla avanti, facendola crescere.

     

Per chiudere, tre parole chiave che ti rappresentano, nella vita come nel lavoro.

Coerenza, che è una qualità, nonostante oggi molti la considerino il contrario! Non significa non cambiare idea, ma che le azioni sono il frutto di un pensiero che le ha generate.
Arte: intesa come quella cosa magica, per tutti i motivi e senza motivo. È quella cosa “in più” che uno ha nella vita.
Silenzio, perché c’è tutto in questa parola: la lettura, le relazioni, la comprensione.

Ottimomassimo via Luciano Manara, 16/17 – 00153 Roma

                 

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