Poesie famigliari di Giovanna Frene

Poesie famigliari di Giovanna Frene.

                     

                    

Presento qui di seguito una piccola selezione di poesie del primo periodo della mia produzione poetica (grossomodo fino ai trent’anni), che ritengo legate tra loro da un filo sottile, quello della riflessione sulle radici della nostra vita e quello sul nostro destino di morte. I personaggi qui richiamati sono, nell’ordine, mio nonno paterno, mia madre, un io del poeta, uno zio suicida, un  altro io del poeta. I testi contenuti in Datità sono stati scritti prima di Spostamento, ma pubblicati dopo – questo spiega la nota finale all’ultimo testo di questo manipolo di poesie.G.F.

                

Descrizione

   

Gli pongono le mani intorno al sesso         a ogiva
per prima cosa mentre è ancora seminudo.
Ha gli occhi spalancati e non prova vergogna.
Anche la bocca è del tutto aperta      tanto che non può
parlare o forse nessuno lì ha il tempo per ascoltarlo.
Per seconda cosa mentre è ancora disteso
gli puliscono il corpo con una spugna morbida
sostenendo chi la schiena chi le braccia    perché non si affatichi.
Bisogna preparalo a festa. Non si può
mancare alla festa     quando viene preparata.
Non è il momento di vergognarsi per tutte quelle donne.
Camminano avanti e indietro    vanno su e giù
per la camera come api in un giardino d’inverno.
La sua voce si perde nel loro brusio. Cercano
l’abito migliore    le scarpe più nere.
A cosa starà pensando mentre scruta il soffitto
quasi attonito…    Per terza cosa volevo dire
ora che sono vestito    che non riesco a parlare
con questa benda attorno alla testa e non posso
vedere con le palpebre così abbassate.
Gli guardo le mani sopra il petto            a crociera.
Un morto non ha polmoni per un ampio respiro: è tutto
concentrato sulla sua morte,
non pensa a domani:            domani
non esiste         

             

Dialogo sul corpo della madre
               

ditele di non spostarsi di un passo, di non muoversi
di un millimetro,
                        di rimanere dove si trova
          per conservare intatte
                       le energie
affinché sta per morire.
lo spirito è immobile, la carne scivola. Ogni
volta più in basso e trascina con sé
il pensiero e le cose decadono avvolte
in un ammasso di morte. non
appena alza la mano o scuote la testa
ecco che gli anni sono passati
ecco che una ruga si è aggiunta
sulla fronte fra gli occhi incavati acquosi
rosi anch’essi dal tarlo del tempo. andate
a dirle che strappi i drappi agli specchi
e che dopo aspetti seduta e muta. ma
ancora ogni parola deforma la bocca in fessura rossa. ossuta
la carne precipita a capofitto
e travolge se stessa quando sta per mutare
in altra cosa immortale.
la morsa rimorde e agghiaccia.
di nuovo la mano si affanna
all’opera consuma a poco a poco sempre
in anticipo sul tempo la carne del corpo. si secca
il sangue della vita in bande scure.
si dovrebbe conservare intatta ogni energia
ogni terrore. ditele che anche la morte
si muore

   

***

          

Le parole mi ricordano i luoghi
i luoghi                         le condizioni
è tutta qui la mia vita
raggrumata   rappresa su fogli
tendenti al bianco? Il nero a cui
mi appresso   è più chiaro
ma scendendo ho visto l’abbraccio di natura e
dissipazione         proprio ai miei piedi, e il vagito
spento del bambino senza fallo mi ha indicato
un’eternità immemore di pietra, un infinito
spegnersi della luce.

(da: Immagine di voce, Facchin 1999)

             

                

V. [DELL’IRRADIAZIONE]

   

luce della luce dei corpi senza luce
luce dell’essere dei corpi senza essere
essere del tempo dei corpi senza tempo
diversamente linguaggio ai bordi della parola
appena pronunciata sulla tela marginale contorno
lenta illuminata irradiazione di insufficienza ovale
evanescente scendi sul suo capo sul suo cranio opaco
come sentita nuova natura di uranio di cera
nella notte svanisce della sera il tuo crepuscolo di sasso
non a un passo dalla chiusa di soluzione
                                           mortomorto senza assoluzione

(da: Spostamento – Poemetto per la memoria, Lietocolle 2000)

                 

Per l’operazione subita

siamo per noi stessi
la stessa immagine per gli altri
sia da vivi che da morti

tutto questo anche la fruttificazione dei miei tagli
ricuciti è una preparazione all’inutile
un esercizio per il balsamo ad azione oggettuale
(virtuale) è un segno che forse l’essere abbracciante è
anche i nolenti i dolenti incalliti allibiti

tutto questo mi fa eclissare prima nel sonno
dell’ipotesi temporale stabilita come una foglia
ingiallita rinvigorisce alla roteante visione
dell’allontanarsi del ramo e non vede la terra
dell’attesa dove non appena stesa sarà putrefazione

così dormo ogni momento un’anticipazione
affatto vera verso l’occasione dei miei forni
crematori a involucro mi sento fluttuante       corporale
oscillante nella notte interiore a forma           |di corpo mentale|
scivolosa illucidita  dentro  un antro  di beato sfondamento

tutto quello che viene verso la mia immagine
azione pura di uno sguardo senza paragone
non sussiste come me in diversa maniera esistente
e dunque non mi differisce la visione viva del vivo      mentale
nell’esito di illusione dal percepire morta una             |mente corporale|

tutto quello che è non rimane nell’essere
non esce dall’essere non entra in niente non sta
stesa con me la mia assenza operante lontano
un giorno finirà la tensione di ostacolare il progetto
con l’apertura dal basso della soppressione
del sonno

  

[1997, agosto. A distanza di quattordici
giorni dalla scrittura di questa poesia,
accadde il suicidio di mio zio.]

                  

(da: Datità, Manni 2001)

Bio-bibliografia

Giovanna Frene (Asolo, 16 dicembre 1968) vive tra Crespano del Grappa e Padova. I suoi libri: Immagine di voce, Facchin 1999; Spostamento – Poemetto per la memoria, Lietocolle 2000 (Premio Montano, 2002); Datità, postfazione di A. Zanzotto, Manni 2001; Stato apparente, Lietocolle 2004; Sara Laughs, D’If 2007 (Premio Mazzacurati-Russo 2006); Il noto, il nuovo, prefazione di P. Zublena, postfazione di S. De March, fotografie di L. Callegaro, traduzione inglese di J. Scappettone e J. Calahan, Transeuropa 2011; e, con lo pseudonimo di Federica Marte, il prosimetro Orfeo è morto, Lietocolle 2002. Ha pubblicato poesie in riviste italiane e straniere, tra cui “Paragone”, “Il Verri”, “Anterem”, “Poesia”, “Gradiva”, “Atelier”, “Semicerchio”, “Italian Poetry Review”, “Aufgabe”. È inclusa in varie antologie poetiche: Nuovi Poeti italiani 6, a cura di G. Rosadini, Einaudi 2012; Poeti degli Anni Zero, a cura di V. Ostuni, Ponte Sisto 2011; New Italian Writing, numero monografico sulle nuove poesia e prosa italiane, a cura di J. Calahan e R. Palumbo Mosca, “Chicago review”, 56:1, Spring 2011; Parola Plurale. Sessantaquattro poeti italiani fra due secoli, Sossella Editore 2005; Nuovi poeti italiani, a cura di P. Zublena, “Nuova Corrente” n. 135, 2005. È tradotta in antologie di poesia italiana statunitensi, inglesi e spagnole, ed è pubblicata in vari siti di poesia.

Pagina Facebook: https://www.facebook.com/pages/Giovanna-Frene/421171374585232?ref=h

                            

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