Poeti all’infinito: Francesco Accattoli, Lidia Are Caverni, Giancarlo Baroni, Francesco Paolo Dellaquila, Canio Mancuso, Sergio Sichenze.
Vi proponiamo il punto di vista sul tema del mese di diversi autori, con una sola poesia a testa, a esemplificazione e dimostrazione di come la parola poetica possa fornire una molteplicità di spartiti aderenti a un medesimo assunto:
di Francesco Accattoli
Col vento di maggio te ne sei andata
anche tu, in abito da sposa,
tra i pollini di cristallo.
I fiori bianchi nel tuo vestito
saranno gigli dal gambo lungo
sulla mia pietra o il mughetto
che cresceva nell’orto di mia nonna,
la donna che più ho amato insieme
a te, mistero venuto col nord ovest
in un pomeriggio d’inverno, nel pudore
di cappotti sigillati fino al mento, e
zigomi levigati dalla tramontana.
Coloro che passando ci videro
la prima volta, chiesero ai familiari
se mai si ricordassero d’aver visto
l’amore nel suo farsi una scogliera.
*
di Lidia Are Caverni
Nel chiuso mantello brividi
di freddo penetrano lame azzurrine
di gelo che fanno dilatare occhi
impalliditi spersi su pianure allunate
dove gli uccelli cercano sementi
col becco dischiuso per l’arsura
dei giorni galaverne ornano reti
rami tesi di alberi dimentichi di foglie
di gemme dormienti dove si depone
la neve la polvere del tempo inospitale
perverso di un inverno che non smette
di gridare in mattini opachi tramonti
uguali dove il sole si nasconde per
non mostrare pensieri gettare frammenti
di cristallo a illuminare il cielo
tormentare il cuore.
*
di Giancarlo Baroni
Fili colorati trame
come un arazzo cresce l’universo
*
di Francesco Paolo Dellaquila
L’idea di non guardare
L’idea di non guardare
fa sempre scalpore
l’autonomia del pensiero
scorre lungo la schiena
ci sono solitudini
che attendono visioni
le cattiverie
che si legano al collo come souvenir
le beatitudini riconosciute solo ai santi
Intanto la battigia si riduce
il mare si solleva
l’ente dell’angoscia procede
il divenire si inabissa
Ci sono le migrazioni dell’anima
all’infinito
fonte di spazio e tempo
Leopardi non teme il nulla
ancora pensa e scrive di noi
e del mondo
di Canio Mancuso
Addestramento sul lago
Ripetiamo i gesti delle anatre
il sonno scivola con noi
sull’acqua dal collo
al grasso delle piume.
La luce acquosa che ci rassicura
fino al nodo dei canneti
e i nostri voli da riva a riva
le indigestioni di molliche
lanciate da coppie svizzere.
Neanche la montagnola
accartocciata sul lago ci spaventa.
Dove sono i cacciatori?
Ci dicono: Restate qui, non emigrate.
La gentilezza dei cani da guardia:
i cartelli sussurrano attenti
i cani scodinzolano nasando
dai cancelli: alani incrociati
con orchidee, rottweiler morbidi
come camerieri invitano i ladri
in giardino ma i ladri fanno
anche loro la vita delle anatre.
Eh sì, le anatre…
Non imitatele, restate qui.
Dove sono i cacciatori? chiediamo.
Nessuno di noi riesce a vederli
nascosti dietro i canneti: i vecchi
che lucidano armi ammaccate
soffiando tra i denti di ceramica.
Ci aspettavano, ci dicono grazie:
le anatre non sono più tornate.
Ci pregano di restare, noi anatre
apprendiste, ci chiedono un po’
di sangue per le loro doppiette:
avranno anche le piume, il becco e la carne.
*
di Sergio Sichenze
Domande all’infinito
Di domande
e segni chi è
nell’aldilà tormentiamo.
I nostri occhi
non vedono: cristallino
dall’ottusa mortale
curvatura, adattamento
alcuno.
Nerofumo
Lucifero temiamo
ci risucchi.
Altrettanto
luminosi, prima
del suo vorticare, i sedicenti
misfatti evochiamo.
Dietro
la porta un portafortuna
che delle fughe l’urto
deve reggere.
Sull’uscio
della santità ci siamo estinti.
Carnivoro
dubbio scava. Presagio
di lugubre giudizio
si presenta a riscuotere
la paura dovuta.
L’infinito
in una cabalistica
probabilità inauguriamo.
Tra riti
e scongiuri sovrumana
fiducia a un crocevia
di nodoso noce
riponiamo.
L’α e l’ω senza
inizio né fine.
*