Poeti con nome di donna, di Valeria Raimondi

Poeti con nome di donna, di Valeria Raimondi.

    

    

Tempo fa un poeta, genere maschile, si infervorò spiegandomi la differenza tra “poeta” e “poetessa”, cercando di convincermi circa la correttezza  della prima definizione: poetessa svilisce la donna che scrive poesia, sosteneva.  Si scaldò, quasi si arrabbiò. Pure io mi arrabbiai, non capivo perché volesse decidere in quale modo dovremmo farci chiamare; ma tant’è, che si tratti di poesia o Vita, questa storia la conosciamo.

Per quanto mi riguarda credo arriverò a fine vita con mille dubbi: so bene che si dovrebbe dire poeta, so bene che politicamente e linguisticamente è più corretto. Eppure ultimamente riesce stranamente a darmi fastidio. Lidia Menapace, incontrata alcuni anni fa, si raccomanda con me sull’importanza del linguaggio sessuato come strumento fondamentale contro il sessismo. –Tu non sei il sottoprodotto dell’esemplare “maschio che scrive poesia”!  Ha ragione penso. Tuttavia mi pare che comunque ci chiamino, rischiamo di cadere nella trappola del sottoesemplare, non so perché. Mi è capitato di dover difendere la proposta di inserire in uno spazio dedicato di un Festival, una triade di poetesse-poete che hanno contribuito a un dialogo collettivo di produzione e riflessione, anche linguistica, sul fare poesia. Mi è accaduto di essere accusata di fare politica parlando delle antologie poetiche collettive, non femminili, collettive, da parte di poeti che si considerano “impegnati”.  In questo caso ho capito che venivo attaccata anche in quanto donna, perché in qualche modo, non autorizzata. Oggi da questa prospettiva non critica ma di esperienza, provo a interrogarmi su un argomento ozioso come quello che riguarda la poesia femminile.
Dunque esiste una poesia femminile? O, peggio, al femminile?  Riporto alcune citazioni di poete italiane: …Perché esporsi tutte insieme come in un umiliante circo-ghetto all’interno della cultura del re? Non è dunque possibile superare una volta per tutte questa assurda discriminazione?… Provo fastidio. È un perfetto modo per ghettizzare la poesia scritta da creature di sesso femminile. Io voglio stare in classe mista, è più rassicurante per il mio senso di parità.. . Io non vedo differenze che non siano stereotipi…  Poetessa viene dal greco poetria, da cui il poetry inglese, ma era un termine già confuso. La Morante insorgeva indignata a sentire parlare di poetessa. E anche la Rosselli. E tuttavia è perfino preferibile alla locuzione “poesia femminile”, davvero restrittiva per la poesia e per chi la scrive, come se ci fossero argomenti femminili e maschili o una lingua femminile e maschile

Negli anni Settanta chi ha sostenuto questa locuzione ha voluto mettere l’accento sul carattere rivoluzionario del richiamo al privato, anche a discapito del lavoro formale, visto questo come potere del re, un non-potere scelto consapevolmente. Chi oggi la sostiene, al contrario, parrebbe voler uscire dallo stereotipo di una scrittura destrutturata, debole o sentimentale.
Mi torna in mente la polemica intorno all’uscita nel 2012, per la storica Collana Bianca Einaudi di  “Nuovi poeti italiani 6”,  una raccolta delle opere di dodici poetesse.  Si dice nella presentazione : –Le poetesse hanno età e stili diversi tra loro, ma hanno alle spalle pubblicazioni e riconoscimenti letterari… Il libro mostra una poesia libera, poco influenzata dal canone poetico che per anni ha accolto solo gli uomini. I versi delle poetesse sono ricchi di sentimenti… É vero che la poesia femminile ha una temperatura più alta di quella maschile… Gli uomini, più cerebrali, quando scrivono si pongono il problema di offrire una visione del mondo. Le donne esprimono le proprie emozioni… Questa antologia non ha la pretesa di raccontare l’Italia di oggi, ma racconta le donne e gli uomini come la poesia fa da sempre… Ci sono casi in cui le poesie fanno riferimento alla realtà contemporanea. Ma si tratta sempre di una realtà filtrata dalle esperienze e mai universale.

A parte il criterio di scelta che non mi è del tutto chiaro, qui il carattere confessionale della poesia che si vorrebbe ribaltare in senso positivo, sortisce lo stesso effetto finale: l’etichetta si rinforza e impoverisce contemporaneamente, la poesia perde potere, torna ad essere innocua, al massimo viene “raccolta” e legittimata nella sua esperienza filtrata e mai universale, ancora ricca di sentimenti,  dunque ancora una volta destinata alla separatezza come subalternità.  Una quota rosa.

Che cosa ci può far lecitamente parlare di poesia femminile come di una lingua o linguaggio forte e potente, che riguardi dunque anche la Forma e gli elementi che possano assicurare universalità e aderenza al proprio tempo?  Forse è necessario spostarsi nell’osservare l’oggetto indagato che diventa allora la stessa posizione femminile rispetto al complessivo contesto letterario. Trovo molto vero ciò che sostiene Ida Travi: –Se la mia poesia è la mia biografia trasfigurata, la poesia d’un uomo dovrebbe essere la sua biografia trasfigurata, e quindi la poesia d’un uomo non mi somiglia affatto… Vivo un’altra condizione… Siccome non posso fingere di essere differente da quel che sono o non voglio adeguarmi a logiche che non mi appartengono cerco con tutte le mie forze di tenermi distante dalla cosiddetta neutralità della storia e dei suoi frutti: parlo solo dal punto di vista e dalla condizione in cui sono, il resto mi interessa poco. Nessuno può confondermi con un uomo.  E’ vero. Il discorso pubblico, quindi politico, e la poesia che comunica lo è, esprime sempre una differenza di genere, anche quando la differenza di genere non è l’oggetto del discorso. Il linguaggio non è mai neutro, il linguaggio è sempre portato da un soggetto, e bisogna pur avere presente quale. E’ caratterizzato da una voce aderente al proprio stato.

Vorrei dire due parole anche sulla poesia del corpo, quella poesia  indicata come dotata di una temperatura più alta: il corpo non può essere centrale di per se stesso, centrale dovrebbe essere l’intero soggetto femminile  (a meno che il corpo non diventi il contenuto dell’opera stessa, ma questo a patto che sia un tema come un altro, visto che la poesia  dovrebbe essere libera di parlare di qualsiasi cosa).

Detto questo, sappiamo che rispetto alla quantità di poesia scritta e trasmessa dagli uomini, quella delle donne è stata davvero poca, e dunque poco considerata, questo è un dato oggettivo. Ieri come oggi, negli eventi pubblici, nei circoli, negli stessi movimenti poetici è presente un maggior numero di uomini. Quello di cui sono certa quindi è la fatica, la doppia e infinita fatica che non riguarda solo le faccende che oltre la scrittura ci affacendano tutte: la fatica di avere pari forza e credibilità.   E sono certa anche di una cosa quasi dimenticata: non è che forse ciò che ancora fa paura della poesia delle donne, che ci tiene qui oggi a doverne negare o affermare o giustificare l’esistenza, sia quella conoscenza profonda che il potere, maschile, nonostante i roghi, non ha mai potuto controllare?  Quella conoscenza che conduce alla libertà come sguardo lucido e vero sul mondo, pericoloso sguardo, non filtrato, che smaschera il potere e non lo desidera fatto così, per sè?

                       

Mary Cassatt, Bambina che si sistema i capelli, 1886 - in apertura Bimba su poltrona blu, 1878
Mary Cassatt, Bambina che si sistema i capelli, 1886 – in apertura Bimba su poltrona blu, 1878

3 thoughts on “Poeti con nome di donna, di Valeria Raimondi”

  1. All’uscita dell’Antologia di Enaudi, ricordo che il critico de La Lettura la recensì con un voto appena sufficiente e per questo me la comprai subito. Amo gli atti di disobbedienza civile. Dispiace poi leggere le affermazioni della Morante, i cui pochi libri di poesia sono di un respiro ipnotico, e da questa (personalissima) linea cerco di interrogarmi anche sui reali strumenti di cooperazione generazionale delle donne di quell’epoca e metterle in comunicazione con la mia, per tracciare un percorso se mai ne fosse possibile, per quella richiesta ultima della riflessione di Valeria sullo sguardo lucido e vero del mondo, che chiama noi tutte.

  2. Quello di cui sono certa quindi è la fatica, la doppia e infinita fatica che non riguarda solo le faccende che oltre la scrittura ci affacendano tutte: la fatica di avere pari forza e credibilità. E sono certa anche di una cosa quasi dimenticata: non è che forse ciò che ancora fa paura della poesia delle donne, che ci tiene qui oggi a doverne negare o affermare o giustificare l’esistenza, sia quella conoscenza profonda che il potere, maschile, nonostante i roghi, non ha mai potuto controllare? Quella conoscenza che conduce alla libertà come sguardo lucido e vero sul mondo, pericoloso sguardo, non filtrato, che smaschera il potere e non lo desidera fatto così, per sè?

    Le donne frequentano l’università da non molto tempo, sono molte le laureate e soprattutto le laureate in discipline che erano regno degli uomini, soprattutto quelle del ramo scientifico e tecnico e tecnologico. Alle donne si riservavano le lettere. Non è di molto tempo fa un articolo in cui si svalutano coloro i quali si occupano di letteratura poiché il mondo del lavoro, ma sarebbe meglio dire il mondo capitalistico, è affamato di quelle scoperte che lo possono arricchire ancora di più ma non di valori diversi da quelli derivati dalla materia da cui produrre cose, i beni non IL BENE.Viviamo in un momento in cui serve l’appagamento dei sensi ma nessuno si preoccupa del senso di vivere, del come relazionarci con la terra che ci ospita e con gli altri nostri pari:tutti gli altri viventi del pianeta. Le donne sono quelle che nel micro e nel macro dell’indagine vivono e analizzano, sì, analizzano usando un cervello e una logica da cui non si dissocia la sensibilità profonda, non l’epidermico percepire ciò che ci sfiora e passa. Apprezzo il lavoro delle donne poprio per quella fatica e tenacia che devono dimostrare contro tutti quelli che le valutano come un cofanetto di dolcetti da distribuire o di fettucce da balia o corsetti neri per animali sessuali sempre proni, in tutti i casi. Le donne siedono su troni magnifici, hanno superato i roghi dell’inquisizione maschile, hanno scritto nel libro della vita non nel diario quotidiano delle tante morti, degli omicidi e genocidi siglati dagli uomini e anche in letteratura sono state molte le donne a cui gli autori hanno tagliato il futuro.
    Lunga vita allora alla loro forza alla loro testarda capacità di ricrearsi e di mettersi in terra come punto da cui riprendere il viaggio insieme a tutto ciò che è l’universo che ospitano.ferni

  3. Sono d’accordo con Ida Travi quando dice “io non sono un uomo”. E’ chiaro quindi che il fatto di essere o non essere qualcosa, indica un genere che pur nell’anima universale della poesia, ne determa le differenze. Differenze che si percepiscono già nei gesti, nella voce, se è vero che la poesia nasce nel corpo e forse in particolare quella delle donne. Ma perchè? Forse gli uomini non hanno un corpo? Certo che sì, lo hanno eppure è proprio il corpo delle donne che è stato più che mai negato (purtroppo talvolta violentato). La donna ha quindi avuto la necessità, senza alcuna retorica, di riappropriarsi del proprio sè identitario attraverso il corpo e la differenza. La necessità di raccontarsi definendo il suo essere al mondo e la sua visione del mondo. Un cammnino aperto e un arricchimento nel quadro generale della poesia e delle arti in genere.

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