Portella della Ginestra: prima strage di Stato, di Sergio Sichenze

Portella della Ginestra: prima strage di Stato, di Sergio Sichenze

 

 

La possiamo considerare la prima strage di Stato postbellica: l’oscuro intreccio tra mafia, politica e potere.
Mai accertati il movente e i mandanti.
Il Primo maggio del 1947 duemila lavoratori della zona di Piana degli Albanesi, di San Giuseppe Jato e di San Cipirello si riunirono a Portella della Ginestra per la Festa del Lavoro: area geografica di lingua arbėreshė in Sicilia. La storia ufficiale recita che alcuni uomini a cavallo, guidati dal bandito Salvatore Giuliano, spararono sulla folla, uccidendo dodici persone e ferendone più di trenta: bambini, donne e uomini. L’eccidio fu guidato dal potere restaurativo del latifondo siciliano, dalla perversa commistione tra lo Stato, con alcuni dei suoi rappresentanti, e la mafia, che proseguirà drammaticamente nei decenni successivi e a noi prossimi.
Il fumo fu immediatamente alzato, indicando in Salvatore Giuliano, figura grottesca e leggendaria, l’unico responsabile di tale efferatezza. Il potere mostrava il suo volto più odioso: colpire gli inermi, i lavoratori, le vite di persone che credevano e speravano in un riscatto della loro eterna posizione di vinti.
Un potere omicida che si scagliava contro i discendenti di quelle popolazioni albanesi che la storia aveva già colpito in quel piccolo ma strategico lembo dei Balcani. A seguito dell’occupazione ottomana della seconda metà del 1400, avvenuta dopo una resistenza leggendaria di venticinque anni guidata dall’eroe nazionale Giorgio Castriota, si ebbe la diaspora di un popolo fiero e indipendente. Si perpetua così, nel 1947, non solo una strage, una violenza di Stato, ma si rinnova una ferita, si riapre un vallo tra la giustizia e le comunità albanesi, tra la loro autodeterminazione di popolo e l’alveo democratico repubblicano che la stessa costituzione italiana, che sarebbe stata di lì a qualche mese promulgata, aveva determinato quale invalicabile principio di legalità, in questa vicenda prontamente violato.

Portella della Ginestra

Rosso
maggio il popolo
canta.

Le donne
in un cielo di bandiere
la servitù piegano.

Bai,
danza di cavalli
nella carica: il pane
e la nascita falciano.

Il vento
si sgola: suono d’albero
perduto, denudato
aratro.

Voce per chi sa.

 

Sergio Sichenze è nato a Napoli nel 1959. Vive e lavora a Udine. Ha pubblicato il racconto “L’attesa” in “Racconti Udinesi” (Kappa Vu edizioni, 2007); la raccolta di poesie “Nero Mediterraneo” (Campanotto Editore, 2008); il racconto “BOBBIO Y MOSTAR” in “La natura dell’acqua: almanacco di letteratura rinnovabile 2011” (Marcos y Marcos Editore, 2011); selezioni di poesie in tre raccolte poetiche (Pagine Edizioni, 2013 e 2014); cinque poesie indite, con nota introduttiva di Rosa Pierno, pubblicate nel numero 8 dell’ottobre 2016: gli animali dei poeti, su Versante Ripido (www.versanteripido.it); “Nei chiaroscuri del tango”, raccolta di poesie con Elisabetta Salvador (Campanotto Editore, 2018); la poesia “Che pacchia la spiaggia!”, in “La pacchia è strafinita: antologia di scritti poetici e in prosa” di Versante Ripido (Amazon, 2018); la poesia “Et in Arcadia ego” è stata segnalata al Premio Lorenzo Montano 2018; la poesia “Evoluzione” è stata inserita nell’Agenda 2019 Il segreto delle fragole (LietoColle edizione).
Dal 2017 collabora con la fanzine on line Versante Ripido.
Nel 2018 ha vinto il Premio Nazionale di Poesia Terra di Virgilio.

     

Peter+Norman+Beau+salute
foto tributo donata dagli studenti delle Bahamas alla figlia di Peter Norman – in apertura Tommie Smith, Peter Norman, John Carlos, nel gesto di protesta contro la discriminazione razziale e a favore delle Pantere Nere alle Olimpiadi di Città del Messico, 1968 (foto originale a colori)

One thought on “Portella della Ginestra: prima strage di Stato, di Sergio Sichenze”

  1. È una bella sorpresa per me trovare tra le pagine di VR ancora una rievocazione di questo eccidio. Anche per me si tratta della prima di quelle che vengono chiamate “Stragi di stato” e dunque una delle pagine più nere della nostra storia. Trovo la tua poesia davvero adatta alla circostanza, sobria e capace di evocare nel lettore rispetto per quella gente che vi rimase coinvolta. “Il vento si sgola” e la poesia trasmette non rassegnazione di fronte all’ingiustizia e al perpetuarsi dell’ agire violento ai danni di chi non ha che il proprio lavoro da offrire. ciao franco

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