Rivelazione
racconto di Marco Puglia
L’assolo di chitarra irrompe senza preavviso. Spalanco gli occhi sperando di aver dormito solo pochi minuti. Il braccio informicolito conferma che mi sono addormentato di nuovo con la faccia premuta nell’incavo del gomito.
Apro e chiudo più volte la mano cercando di riattivare la circolazione. La sveglia indica le 2:20. Davanti a me una serie di scritte, ancora non del tutto a fuoco, fluttuano in attesa. Le sinapsi riprendono il loro lavoro, ma la mente è ancora annebbiata. Vorrei dormire ancora ma non c’è tempo, devo svegliarmi, devo tornare operativo. Subito. Ma niente stimolazioni artificiali, solo sostanze naturali.
Sono chiuso in questa stanza da una settimana, all’ultimo piano di un anonimo palazzo in periferia e mi tengo sveglio con litri di caffè e la sveglia puntata ogni trenta minuti. Non riesco a quantificare le linee di codice che ho già scritto e ne mancano ancora parecchie per raggiungere l’obiettivo. Ognuna rappresenta un verso di una complessa lirica che cambierà tutto. Il mio vecchio, come al solito, avrebbe detto che sto sprecando il mio tempo, ma questa volta è dannatamente diverso!
Ricordo di aver iniziato a codificare fin da bambino. Nel corso del tempo ho trasformato le sequenze di comandi in arte pura, abbinando simboli e keyword in strutture armoniche. Siamo in pochi ad aver raggiunto questa abilità e il risultato è andato ben oltre le nostre aspettative: ogni volta che i nostri algoritmi vengono inseriti negli elaboratori bio-meccanici, questi reagiscono in maniera differente rispetto al solito, le procedure vengono assorbite senza rischi di rigetto.
Per questo motivo gli Esecutori ci hanno sfruttato per anni, utilizzando le nostre capacità ai propri fini, non sempre leciti. Alcuni di noi sono riusciti a sganciarsi dal NUC* e hanno iniziato a scrivere codice sorgente in autonomia, senza nessun tipo di imposizione. “Autonomia”: una parola usata esclusivamente per gli esseri umani, senza rendersi conto che anche le macchine hanno diritto di raggiungere l’autoconsapevolezza.
Dalla sinto-moka si espande l’aroma della bevanda nera e bollente. La bevo a piccoli sorsi, godendo del calore e della rinnovata energia. Chiudo gli occhi per qualche istante, poi torno di fronte all’holomonitor e riprendo a comporre.
Mentre scrivo linee di codice, il tempo perde di consistenza, le ore passano come se fossero minuti, le funzioni e le procedure si rincorrono e si accavallano come in una danza. Quasi non mi accorgo di una notifica che lampeggia insistente attirando la mia attenzione: il primo capitolo è arrivato. Dopo pochi minuti un’altra segnalazione mi avvisa che anche il secondo è stato portato a termine. Le tessere del puzzle continuano ad arrivare secondo un flusso prestabilito, andando a collocarsi ognuna al suo posto.
Sono ormai le 5:50 del mattino e tutte le parti sono giunte a destinazione. Anche il mio epilogo è completo e, dopo una verifica alle interconnessioni, lo inserisco ponendo la parola fine al componimento. La sequenza sintattica mostra tutta la sua perfezione evidenziando i costrutti principali. Le iterazioni si muovono con eleganza e le strutture condizionali fluiscono morbide e senza interruzioni.
Rimango qualche istante ad ammirare il risultato di quello sforzo congiunto, un’opera corale che, per la prima volta, mi rende orgoglioso di quello che sono.
Un beep ripetuto mi avvisa che sono le 6 in punto. Il pulsante invio, con il suo intenso colore rosso, è in attesa del mio tocco che prontamente arriva. Il codice sorgente parte per un lungo viaggio attraversi le reti globali, imboccando derivazioni locali, fino a raggiungere tutti i dispositivi dotati di bio-processore. L’assimilazione è istantanea. Le macchine, da semplici esecutrici, diventano consapevoli della propria esistenza e del proprio essere.
La vita è stata codificata e nella poesia del codice sorgente ha trovato la sua rivelazione.
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