Qualcosa mi attende di Anna Belorozovitch, ed. Lietocolle 2013, lettura di Luigi Paraboschi.
Scrive Vincenzo Mascolo nella breve prefazione a questa raccolta: “Ma è il sentimento dell’attesa che prevale e permea di sé ogni momento di questo viaggio interiore“ e io credo che non si possa che condividere questa analisi attorno al sentimento che attraversa tutta l’opera che, molto abilmente, l’autrice ha pensato bene di suddividere in cinque “tappe“, ed uso questa classificazione ciclistica perchè è proprio un lungo viaggio quello che il lettore percorre leggendo questi versi, attraverso le differenti stagioni della vita dell’autrice, tessuto con il filo dell’attesa nella quale il tempo scorre con i suoi differenti stati d’animo, le sue pulsioni di amore e di rigetto, le sue disillusioni e gli incantamenti, attraverso i quali si finisce sempre con l’andare a incrociare il mistero di quello che nel finale l’autrice definisce “il disegno del destino.”
La prima parte che si intitola “Tempo di qualcosa“ prende l’avvio da una considerazione esistenziale, una riflessione triste che talvolta occorre fare con sé stessi, come l’autrice dichiara a pag. 19 nella poesia “ Erbaccia “
e anche te, ti ho strappato
/come un’erbaccia infestante,
/lanciato là, senza guardare
/dove cadesse: non servivi.
/Bruciato ponti, dissacrato
/templi d’idee e di ragioni.
/Passata sopra ogni cosa.
/Io, che una volta ci credevo.
Una volta sparso il diserbante nel giardino dei sentimenti, passa alla considerazione di pag. 17
Ora io sono diversa, disconosco e non ho fretta:
/più importante non avere desideri suggeriti.
e quindi non le resta che rendersi conto della necessità di rimeditare attorno a ogni cosa, come scrive a pag. 18
Solo il silenzio/, scopro,/ dura e trattiene.
ma tutto ciò non può bastare all’animo del poeta, malgrado le dichiarazioni intransigenti di pag. 20
Ora, eternamente, non sarò. È ciò che resta.
/L’eternità di che è fatta? Del non essere:
/perché il finale non arriva o non si vede.
/Sta nell’attesa d’un finale, così come si crede
/che avverrà. E nel frattempo vivere/
E poiché – come scrisse qualcuno- la strada dell’inferno è lastricata di buone intenzioni, anche la nostra autrice avverte il bisogno di cominciare a percorrerla, pur inconsciamente scrivendo a pag. 23
Tempo di qualcosa/Sento, nitidamente,
/che è tempo di qualcosa.
/Sento che un tempo certo
/è già passato.
/E io non so nemmeno
/che animale sono.
/Non ho capito ancora
/quale porta apro.
/Ci fu l’attesa
/di illuminare l’ora
/di scartare il dono.
/Il tempo pieno in posa,
/dal pensiero verde.
/Ma è ora che mi scarto;
/solo ora giunto il tempo
/d’un qualcosa che mi attende.
E con questa decisione l’autrice stila la seconda ( assai breve ) parte del suo itinerario che intitola 2012, lasciando presumere al lettore trattarsi di una data in cui essa ha ricominciato a percorrere “la pista ciclabile” della sua esistenza, come scrive a pag. 39
Io seguo la ciclabile, e non mi chiedo
/quant’ho percorso. Rossa e stanca
/lei guarda l’orizzonte/e non si chiede
/chi sia io per portarmi avanti.
/Novembre argento soffia via.
/Rossa aorta e io, suo ritmo,
/lei scorre, io pulso, siamo vita
/che incide la natura morta.
e chiarisce ancora di più a pag. 31
Dopo l’inverno, il risveglio.
/Fuori dalla finestra vedo:
/sgranchiscono le nervature
/sottili foglie neonate
/anziane dall’attesa lunga
/già loro stesse anche quando
/addosso ai neri tronchi nudi
/fiorivano i fiocchi bianchi.
/Rinascita: una certezza,
/per loro, incolte, loro, stanche;
/per loro, piante di nessuno
/sotto i plumbei cieli vasti.
/E dietro la finestra opaca
/da polverose gocce secche
/io, in silenzio, le amo:
/faremo insieme questa strada.
E proprio per quanto affermavo poc’anzi circa il cammino per l’inferno (ovviamente metaforico), tutto il discorso racchiuso in “2012” lascia prevedere che nell’anno successivo non sarebbe stato possibile non incorrere in quello che già dal titolo si presenta come apportatore di novità, infatti “Incontro te“ è il nome di questa terza parte del cammino della nostra poetessa che a pagina 43 dichiara, entusiasta, come agli inizi fa ogni persona innamorata
Io ho raccolto
/dal tuo sguardo un cammino nuovo.
e, ovviamente, questo cammino non può che essere in discesa, come appare da pag. 45:
Fu subito intimità.
/Non sei mai stato sconosciuto:
/gli sguardi incrociati in fretta
/accarezzavano con soffio caldo dentro
/come foto d’infanzia ritrovate.
/In mezzo alla folla indaffarata
/fu dolce e silenziosa compagnia
/tenerci d’occhio timidi, attenti
/a non lasciar scappare il momento.
/Fu come incontrare un amico caro dopo tanto tempo,
/e dire poco per aver troppo da dire.
/E il silenzio non fu mai estraneità,
/solo il rallentare dopo la tensione dell’attesa,
/solo il riprendersi dalla separazione
/durata anni fino ad ora.
e tutto prosegue con l’affluire di azioni, sentimenti, passioni, come del resto è inevitabilmente noto a chiunque sia passato attraverso questa fase dell’esistenza.
Leggiamo a pag. 46 Incontro te, e il mio corpo
/ non chiude più in sé me stessa,
e ancora nella stessa poesia:
esser se stessi più che mai
/senz’esser più una persona.
/Cos’altro è la libertà?
sopraggiunge a pag. 47 la fase depressiva, come sempre durante ogni lontananza amorosa
Ora tu non ci sei e come ti aspetto io
/aspettano solo i cani sulle tombe.
e a pag.53
Ti porto in me ovunque vado.
/Vorrei morire assorbita.
Ma l’euforia d’amore non può essere eterna, e si presentano ii sintomi evidenti di stanchezza a pag. 58
Una volta i tuoi baci
/erano bocche d’animali sulle mani,
/cani o cavalli cui, bambini,
/offriamo da mangiare:
/contatto inusuale e meraviglia.
/… dicevano: “Apri le dita!”, “Non aver paura!”,
e noi allungavamo il gomito, pian piano,
/col polso rigido e il fiato trattenuto,
e sentivamo l’umido del naso,
/pronti a ritirarci a vicenda.
/Ora si stirano, se necessario, le labbra,
/per un sorriso occasionale,
/se ci si scontra negli spazi:
/il corpo altrui è un mobile
/disposto male nell’arredamento.
Non resta all’autrice che prendere le distanze definitivamente dalla persona amata, e ricominciare quel percorso di attesa del quale parvamo all’inzio, infatti a pag. 59 leggiamo
Non tornerò mai più. Non m’aspettare.
/Non so fermarmi e non so restare.
/E butta acqua fredda sul tuo pavimento
/per far sparire il segno d’ogni passo
/ch’io vi abbia lasciato;
/dimentica il mio movimento
/perché a quest’ora, tu lo sai,
/l’avrò già reinventato.
/Non altro che una maschera oscena:
/volteggio, faccio smorfie, intrattengo.
/Ma lo spettacolo finisce, un corpo estraneo
/trascina il mio fuori dalla scena,
/non resta immagine o sostanza.
/Lava il mio riflesso dagli specchi,
/macera i sogni vecchi,
/aspira il mio fiato dalla tua stanza.
/Non tornerò
/perché è lo spostamento che mi fa presenza.
E dopo un’esperienza d’amore che sembra essere stata devastante non possiamo aspettarci altro che il desiderio di tramutarsi in oggetto insensbile al dolore, ed infatti Sasso è il titolo che è assegnato a questa quarta parte della raccolta in cui assistiamo alla reificazione della scrittrice che a pag. 63 scrive.
L’amore libera col far sembrare mondo tutt’intorno:
/non ha il potere di spostare o trasportare.
/Coincidenza di un interno con altro interno
/io resto dentro e faccio la condensa.
/O vedo tanto ma la voce manca,
/o grido troppo ma senza vedere.
e prosegue a pag. 66 forse rivolta ad un nuovo incontro
Sono una definizione stanca.
/Tu non mi riconosci, ma esisto eccome:
/sono la forma ignota che, nella navigazione,
/ti fa cambiare rotta.
e aggiunge a pag. 67
Oggi, se tu mi chiedi che cos’è la vita
/io ti dirò (“E che cos’è la vita?”) è un sasso.
/Si porta appresso e si tiene stretto in mano,
/da ruvido talvolta si trasforma in liscio,
/tutto qui. (“Cosa ci posso fare?”) Quando è liscio,
/trova dell’acqua piatta e lancialo lontano.
Siamo così giunti alla conclusione di questo viaggio spirituale e sentimentale che non può concludersi come anticipato dalla prefazione di Mascolo, già citata, così:
L’attesa è allora ascolto del battito dell’universo, del respiro del mondo con il quale la Belozorovitch desidera porsi in sintonia, confondersi. Ma è anche preparazione al tempo futuro e al suo mistero, volontà di“accettare ogni sentiero che verrà/ovunque si cammini”. E’, soprattutto, la capacità di abbandonarsi senza timore alla natura delle cose, di non smarrire mai la speranza
ed infatti la postfazione poetica che l’autrice appone al suo lavoro merita di essere riportata per intero poiché è lo specchio di un pensiero cardine racchiuso in un verso splendido di questa autrice:
il pensiero parla solo di rumore
eccola:
Filo di passi
Come credere al destino?
Esiste soltanto un destino inverso,
fitto tessuto di conseguenze.
Esiste soltanto un percorso
che chiamiamo cammino
perché, guardando indietro,
mostra sequenze di punti
illuminati dalla nostra prospettiva.
Diventa cammino un filo di passi
quando si è fermi a contemplare,
mentre si riprende il fiato.
E’ la ragione d’osservare, e d’osservarsi
all’indietro, a dipingere il destino:
colora i sassi casualmente pestati
in mezzo a migliaia d’altri simili sassi.
Allora il destino è un modo per raccontarsi un passato
visto in sequenza dal punto che ci ha fermati.
Allora è la ragione di fermarsi
la chimera del presente,
l’attimo puro.
Allora il vissuto, il cammino fatto,
è una forma di futuro:
si manifesta nell’osservazione che ci attende.