Dell’incertezza, dell’imprevedibilità – dell’amore, quando è nuovo. Andrea Donaera.
Il giovane Andrea Donaera è nato il 20 giugno 1989 a Maglie (Lecce), da padre sardo e madre salentina. Vive a Gallipoli e studia presso l’Università del Salento.
Ha pubblicato le raccolte di poesia:
De atra Lacruma (Premio Barocco Editore, Gallipoli, 2009); Ombre e Quesiti (ApprodoSalento Edizioni, Lecce, 2010); Additato (Edizioni Il Papavero, Avellino, 2011); Il latte versato (Sigismundus Editore, Ascoli Piceno, 2012); Certe cose, certe volte (Marco Saya Editore, Milano, 2012); Piccolissima (Gds edizioni, Milano, 2013); L’amore, a dirlo, è una cosa difficilissima (‘Round Midnight edizioni, Campobasso, 2013).
Si sono occupati della sua scrittura, tra gli altri, Valerio Grutt, Stefano Guglielmin, Elio Pecora, Isabella Leardini, Nicola Vacca. È presente in numerose antologie, e diversi suoi componimenti sono stati pubblicati e segnalati su riviste web e cartacee nazionali (come “La lettura” del Corriere della Sera, “Poeti e Poesia”, “Blanc de ta nuque”, “Mangialibri”, “L’EstroVerso”, “Parco Poesia”); è tra i vincitori del concorso permanente “Unpoeta.com”, finalista al “Premio Centro per la Nuova Poesia d’autore” 2014, semifinalista del “Premio Rimini” 2014.
È tra gli ideatori e organizzatori del Festival della Letteratura di Gallipoli “Il Mestiere di Scrivere”. È co-organizzatore e segretario di giuria del Premio Nazionale di Poesia “Tempo d’Aedi”. Nel ruolo di moderatore della sezione dedicata alla poesia, fa parte dello staff di Writer’s Dream, il più importante portale italiano dedicato agli scrittori esordienti ed emergenti.
Da diversi anni si occupa di regia e scrittura teatrale. Nel 2013 ha creato la sua compagnia, il Gruppo Teatro 4e48. Suoi spettacoli sono stati rappresentati in rassegne nazionali e locali. Dal 2009 cura i Laboratori Teatrali presso il Liceo Quinto Ennio di Gallipoli.
Appassionato di musica, ha fatto parte di numerosi progetti musicali, fra cui la one-man band “Onirica”, con cui ha inciso l’album Cosasonora per la casa discografica statunitense Beneath The Fog Productions. Ha diretto la rubrica dedicata alla musica emergente “SalentoUnderground” per il portale d’informazione ApprodoSalento; ha collaborato come recensore per le webzine musicali Metal Wave, Powermetal.it e Underground Attack.
http://andreadonaera.tumblr.com/
http://andreadonaera.webnode.it/
Ad Andrea abbiamo posto tre domande sul tema di questo numero di Versante Ripido, leggiamo le sue risposte prima di avvicinarci alle poesie:
C’è un aspetto del tuo sguardo che consideri nuovo?
Credo nel concetto di nuovo in Poesia solo quando totale, riferito a un intero progetto di scrittura: lo sguardo, la prospettiva, ma anche il linguaggio, la manipolazione di un’immagine colta con piglio originale. Per quanto riguarda la mia scrittura posso cavarmela solo con: ci provo, giudicate voi. Tentando invece un’analisi un po’ più oggettiva, credo che la novità nel mio sguardo riguardi principalmente il contesto (l’universo) nel quale avvengono le cose che narro – e le conseguenze da esso provocate su una scrittura in versi: un Sud circondato da poca forza vitale, spento e opaco, che nel suo nulla esterno amplifica ogni attività interiore; un Sud in cui un urlo produce un’eco insopportabile, un Sud così tanto arido da rendere la Poesia uno sforzo salvifico, la voglia e necessità di creare qualcosa che valga la pena raccontare, lasciare un segno del passaggio, un’occasione montaliana che salva dall’anonimato di questi luoghi. Questo Sud mi fa parlare una lingua che è diversa dalle altre ma riconoscibile, una lingua che prima di essere scritta è pasticcio, è balbettio, è non saper trovare le parole. L’amore, il nascere, il cadere, gli incontri, gli occhi, il vivere generico: certe cose, in questa cornice, credo che acquisiscano contorni e tonalità poco tracciate in poesia (certo non del tutto inedite). Con uno sguardo di questo tipo mi divincolo dalle visioni ammaliate e puramente contemplative con cui il Sud viene costantemente descritto.
Ti ritieni debitore di qualcosa nei confronti dei padri? di qualcuno in particolare?
Nei confronti del mio sicuramente, per tantissimo, anche per l’essermi ritrovato a leggere poesie e poi a scriverne di mie. Poi anche i padri che hanno mosso le loro parole nelle stesse terre in cui muovo io le mie: Toma, su tutti, come me nato a Maglie, morto per troppo Salento attorno. E i padri che dettano la strada: Montale, Pagliarani, Caproni e così via.
Parole nuove, visioni nuove, cosa può fare la poesia?
Siamo in un periodo in cui gli autori in qualche modo affermati nel panorama letterario provano a recuperare quel lirismo (quella ricercatezza aulica) che durante il Novecento aveva perso ragione d’essere. Questa è sicuramente una reazione a tutto il bivacco poetico ospitato dal web, come ha fatto notare anche il critico Enrico Testa: si tratta di una caciara inquietante che porta gli autori concreti a rifugiarsi nella tecnica forte, nel recupero di tradizioni letterarie, quasi a mettere un muro tra loro e un popolo intero che va a capo appuntando i propri pensierini. Penso che questo indietreggiare sia fisiologico, ma sbagliato. Sono del parere che questo ripiegare stilistico stia rendendo sempre più vero il comune pensiero che «la poesia è difficile». I poeti stanno negando le loro possibilità e si stanno negando a loro stessi: ritornare così radicalmente alla tradizione blocca il fluire letterario che ogni periodo storico ha bisogno di sviluppare – in questo modo, senza ricerca, fuggendo dal tempo che si vive, si crea lo stagnamento culturale che stiamo vivendo, uno stagnamento che non permetterà a questi tempi di dire e tramandare mai nulla. Mi sento circondato, spesso, da poesia brutta da un lato e da poesia snob dall’altro. Le parole invece andrebbero ritrovate nel parlare di chi ci è accanto. Utilizzare la poesia per conversare e narrare con gusto e stile, svelare il senso nascosto di ogni più umile cosa, dare dignità all’avvenire di questa epoca: se la poesia tornasse a essere ricerca potrebbe illuminare quel cono d’ombra causato dalla pochezza del quotidiano.
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DELL’INCERTEZZA, DELL’IMPREVEDIBILITÀ – DELL’AMORE, QUANDO È NUOVO
UNO
Quel senso tutti i giorni
di morte che ora arriva,
di morte che c’è sempre,
tutti i giorni quel senso,
per un tempo sfiancante,
la scala tutta in corsa,
una vita, una vita
di così tanta morte.
E fu lo schianto nello sguardo a caso
e tutto quel cercarti per le strade
e quel trovarti e non capirci niente
e quel senso tutti i giorni di averti
poi finalmente «in tasca nel giubbotto»
fu il cassetto riordinato per fare
spazio alle tue cose: quel senso. Tutto:
di morte che non c’è,
di quell’ a mors – senza morte – che è amore.
*
DUE
Lo so che non è facile
capire per chi non c’era, ma noi,
a dividerci una birra, eravamo
un qualcosa che io poi ho pregato Dio
nell’alto dei grattacieli, ho pregato,
che non mi facesse poggiare le
labbra dove le aveva poggiate lei,
e non lo so se ho pregato per bene,
non sono mica pratico,
ma io ancora sento, a giorni di distanza,
se mi lecco il labbro inferiore sento
un sapore, un retrogusto, un amore,
non so.
*
TRE
Stavo lì (tramontava un poco) alla ricerca
di un bel gesto, di una bella parola
e l’unica cosa che mi è venuta
è stata questa cosa:
che a pensarci è successo
che tu sei capitata
come capitano certe giornate
di freddo ma non troppo;
e un’altra cosa: che guardarti negli occhi è
un’esperienza – che esperienza? Non so.