Quattro poesie di Paolo Aldrovandi.
Paolo Aldrovandi ci racconta qualcosa di sé:
“Mi chiamo Paolo Aldrovandi. Sono nato a Mantova nell’agosto afosissimo e pieno di mosche del 1974. Da allora, credo, non ho mai più sopportato il caldo. Da buon essere invernale, ho scritto la mia prima poesia a tredici anni per un amore non corrisposto (ovviamente). Ma ricordo che già allora trovai il modo per essere assai poco carino nel far notare il mio disappunto. Infatti, quando la lei del momento si ritrovò la mia poesia tra le mani e la lesse, non mi abbracciò affatto.
Il mio modo di scrivere è così: crudo, reale e poeticamente quotidiano… Nel mondo e nella vita, anche nella peggiore, esiste uno strato di poesia ben compatto, anche se il più delle volte impercettibile… Viaggiando molto, e spesso da solo, ho avuto la possibilità di farmi più idee e di prendere spunto da queste. Di osservare i vari mondi e le diverse abitudini, di parlare con persone che quasi certamente non incontrerò mai più… È stata essenzialmente questa la linfa vitale della mia poesia. Non ho nessuna pubblicazione rilevante: ho scritto per decine di riviste di poesia, sia cartacee che online, ma non ne ricordo nemmeno i nomi. Scrivere poesia è una liberazione obbligatoria, e io faccio così.”
***
Il battito dell’Autunno
C’è un silenzio che scherza
e prende a bastonate tutti i sogni
avanti anni luce oltre le voglie segrete
che se fossero senz’anima
vittoria avrei già in mano
ma le mani hanno tempesta tra le dita
e grandine grossa come pugni all’alba
che riecheggia con tuoni muti
nel nostro cielo stamattina
come ogni mattina a venire
il cerchio ha fatto un gioco sporco
lasciando aperto l’androne
porta dentro tutta-merda-santa
con l’occhio verso Caronte
mentre Notte tira il freno
tra la morte e il sonno
gemelli per l’eternità
anche davanti a tutto-il-chiamare
mai degno del tuo sentire
il tempo siede se ne fotte
e nulla si risolve da sé
che immaginando corridoi vuoti
fatti di tutte-porte-chiuse
ricambia il tuo scopo
con giornate stupide fino all’osso.
***
Uso compassionevole
Se la compassione è tristezza
la vita che scorre diventa l’amaro
sul fondo del mio barile
che si camuffa i denti
sotto i baffi stanchi
il vento passa attraverso
anche con imposte chiuse bene
e muto sorride il sentimento
mio e pentito
come dopo la sbornia
di vita e sangue e amore
ma il cammino piscia dei forse
che ne sa del suo affare?
mentre nasconde in sacchi juta
lo schifo nefando con naftalina
e dorme notti serene
tenendo stretto un manuale al petto
come il cane fa con la ciotola
compassionevole è triste sì
rende brutale il dopo
e intanto metto un passo
tra me e il resto.
***
Un sogno d’Estate fatto in Autunno
Ho scordato quella città
e l’ho portata via
con tutte le sue piazze
e le sue vie del centro
angoli illuminati di fiori
con sagge carezze sui volti
le vecchie sedute coi gatti
con la mia forma che esterna
quei pianti silenziosi dei ghetti
a lacrime secche come sabbia
e ruvidi ricordi carta-vetra
appesi alle guance
come abili puttane
sono purgatori eterni come torri
a pietre rosse di disgrazia
una affianco all’altra
e le vedo nei sogni d’estate
spalancando occhi e finestre
che vogliono sedurmi a tutti i costi
in sempre veglia impaurita
a portarmi in alto in cima
vedendo il basso così dolce
atteso sonno d’estate
a stelle fioche mi sorridi
ma non rivelarmi la verità
a dirmi che c’è terra e mare
oltre la barriera dei tuoi denti
malnutriti a cibo instabile
servito “à la carte” la notte
dopo ore fissate al muro.
***
La chiara visione
La chiara visione delle tue forme
è musica a tutto volume che mi bacia
e trema con note vibrando nervi
e tendini che si occupano di me
come una madre lontana
che andavano fieri a cuore scalzo
in connessione combinata
aggrappati al gancio da macello
che tiravano carrozze full-time
lungo binari di organi in attesa
e di partenze razzo verso praterie
e ora che le tue forme sono mani
mi derubo dell’aria malsana
lasciata marcire per anni
e ti dono un nulla che sa di niente
con aspettative dal volto celeste
che mi tirano zappe sui piedi
nel risucchio mentale notturno
infilando note tra denti stanchi
che sciolgono sonniferi
durante passaggi di coperte
al freddo del privato inverno
e la salvezza si avvita occhi
su perni acciaio a forma fallica
del perenne sull’attenti ci siamo
e fabbrica un sogno da regalare
e stende tappeti su cui sedere
parcheggiando il silenzio alle spalle.
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Foto di testata: Impressive di Luca Bartolotti
e ora che le tue forme sono mani
mi derubo dell’aria malsana
lasciata marcire per anni
e ti dono un nulla che sa di niente
con aspettative dal volto celeste
Quando le parole vanno oltre sé stesse, per ricercarsi. Quando il soliloquio intimo e creatore lacera silenzi e si fa dialogo proteiforme, teso alla conoscenza – quella che si nutre di domande, non di risposte, ché talora le risposte esasperano, e quel che occorre al Poeta è solo mettere ad asciugare certi umidi interrogativi e incontrarne di nuovi.
Poesia che osa: e come non potrebbe, e perché non dovrebbe, se i percorsi che intraprende additano vie come feritoie di pensiero, in cui l’addentrarsi è un’immersione quasi obbligata. Ci s’addentra, dunque, come lettori-spettatori, compartecipi e vieppiù consapevoli dell’asperità del discorso, del ‘j’accuse’ che non decade, del riscatto che non cerca vessilli da sventolare, della voce e dello sguardo policromatici che di certe sonorità e di certe visioni si sono nutriti per evolvere, quasi a dispetto di sé, in un discorso affatto originale e per più versi inedito.
Altrove scrissi che certi passaggi del poetare di Paolo mi richiamavano la rabbia cruda di Bukowski e i flash onirici del Prog Rock degli anni Settanta: echi che, in realtà, soggiacciono ad altre istanze, quelle della personale visione del presente, dell’elaborazione implacabile del passato proprio e collettivo – il Poeta maturo ruba e trasforma il materiale in qualcosa di migliore e di diverso, per dirla con Eliot -, dell’intuizione che sembra premonizione o perfino auto – ammonimento, della parola che scardini le certezze imposte entro un versificare serrato, entro un poetare non asservito ad alcuna legge interiore autoimposta – se non quella dell’onestà a tutti i costi – e che sperimenta più piani comunicativi e sensoriali.
E allora ecco che si viene catapultati, senza soluzione di continuità, da un furore a stento trattenuto :
C’è un silenzio che scherza
e prende a bastonate tutti i sogni
avanti anni luce oltre le voglie segrete
che se fossero senz’anima
vittoria avrei già in mano
ma le mani hanno tempesta tra le dita
e grandine grossa come pugni all’alba ( da ‘Il battito dell’Autunno’)
a una calma apparente:
compassionevole è triste sì
rende brutale il dopo
e intanto metto un passo
tra me e il resto. ( da ‘Uso compassionevole’)
dal disgusto :
nel nostro cielo stamattina
come ogni mattina a venire
il cerchio ha fatto un gioco sporco
lasciando aperto l’androne
porta dentro tutta-merda-santa ( da ‘ Il battito dell’Autunno’)
a una tenerezza appassionata:
La chiara visione delle tue forme
è musica a tutto volume che mi bacia
e trema con note vibrando nervi
e tendini che si occupano di me
come una madre lontana ( da ‘La chiara visione’)
E sopra a tutto questo, sospeso al di sopra delle immagini nitide come le scene di un film, delle metafore taglienti, della ricerca talora drammatica di un’autoassoluzione per poter infine assolvere, si staglia – impalpabile, tenace – il velo dell’ironia: ironia disperata, mascherata, disillusa e molto accorta che conduce, per vie a lei sola note – per vie al solo poeta note – alla Speranza di più alto respiro: quella che non s’intesse di sogni in altri o altrove riposti, ma delle certezze erette con le proprie mani.
Sottosrcrivo il commento di Alba. La crudezza di queste poesie rendono quel dinamismo che mi piace sempre riscontrare in un testo poetico, perchè ciò che è crudo è anche molto vero e pertanto anche nuovo, lontano mille miglia dai clichè ai quali cj ha abituato una lunga tradizione poetica.Una voce che lascia il segno, quella di Aldovrandi, tutta da seguire in quanto ha carattere.
Vi ringrazio molto per le vostre parole.