Acque e canzoni, racconto di Loris Maria Marchetti

Acque e canzoni, racconto di Loris Maria Marchetti.

    

     

E’ un sabato di fine agosto. Giungo alla chiusa di  Grurupt in bicicletta, verso mezzogiorno.  La  chiusa  è la n. 32 del Canal des Vosges, quello che nascendo dalla Mosella a Épinal attraverso la Bassa Lorena porta le sue acque  fino alla Saona donde confluiranno nel Rodano e da questo nel Mediterraneo. La chiusa di Grurupt sta a circa mezza strada tra la 29 (Pont du Côney, con attracco di riferimento per Bains-lés-Bains da cui dista circa tre chilometri) e la 35, posta all’uscita del porto turistico di Fontenoy-le-Chateau.

La giornata è splendida. Brilla un sole caldo e luminoso, i verdi degli alberi che circondano il canale, la chiusa e il ponticello esaltano vivacemente le loro molteplici, quasi incalcolabili tonalità. Non c’è nessuno e per molti minuti, incredibilmente, non passa nessuno, né via acqua né in bicicletta o a piedi  lungo i margini del canale o in auto sul ponticello che lo traversa. Anche gli uffici della società di gestione e controllo del canale, una cinquantina di metri oltre la casa già dimora degli addetti alla chiusa (ormai da qualche anno tutte le chiuse sono automatizzate, perdendo molto del loro fascino attuale e letterario…), sono deserti e inanimati, forse perché è sabato. Il paesaggio svela un carattere immoto e bloccato, un poco incantato, non vi compaiono né persone, né animali (i cavalli montati dai ragazzi della scuola di equitazione, ad esempio, o qualche uccello acquatico), né mezzi di trasporto, solo scorre lentissima limacciosa torbida l’acqua del canale (che per la verità pare immobile, ma pare sempre immobile, densa e fangosa com’è) a cui si affianca, alla sua sinistra nel senso dello scorrimento, l’acqua invece limpida fresca trasparente del  Côney, incassato tra due folte sponde di rigogliosa e quasi anarchica vegetazione.

Anche il silenzio si potrebbe definire assoluto, con l’eccezione dello stormire delle foglie favorito da un venticello gentile e dall’amabile chioccolio delle acque del Côney, se non fosse che… se non fosse che da una finestra spalancata della ex residenza dei chiusaioli (comunque abitata) si snodano e si diffondono ad altissimo volume le note delle più belle e famose canzoni di Francis Cabrel. Seduto sulla mia bicicletta a metà del ponte, non riesco a comprendere se a produrre la musica siano nastri o CD o DVD o un’emittente radiofonica privata, sta di fatto che la suite di canzoni, già iniziata quando arrivai, prosegue almeno da una buona mezz’ora. Analogamente, mi è arduo intendere se in casa vi sia qualcuno giacché non ne esce alcun rumore, nessuno vi è entrato o uscito, nessuna finestra è stata aperta o chiusa, e neppure si avvertono indizi olfattivi di preparazione di pranzo. L’impressione un po’ fantastica è quella di una casa abbandonata da cui provengano, non si sa da che fonte sonora e a volume non certo sommesso, canzoni una più bella dell’altra, almeno per il mio orecchio, dato che sono un fervente ammiratore del cantautore tolosano: e a me, accostato a una spalletta del ponte senza dover scendere di sella, viene offerto un concerto straordinario e  affatto inatteso. Ma il più curioso è che nulla e nessuno, quasi per prodigio, è venuto a turbare quei minuti così intensi e singolari.

Dopo oltre mezz’ora, e col “programma” che continua, devo pedalare verso casa, a malincuore. Non senza un grato pensiero per chi mi ha procurato involontariamente un così vivo piacere e non senza un moto di compiacimento per aver trovato un ignoto e celato compagno (o compagna) nell’apprezzamento del raffinato artista francese. La cui musica si integrava perfettamente, senza alcuno stridore o forzatura, con la luce, i colori, le sensazioni, i sentimenti dell’ora.

                            

Branciforte, "Peperoncini", 2014, olio su tela - in apertura  "Acqua e cielo", 2013, olio, acrilico e tempere su tamburato
Branciforte, “Peperoncini”, 2014, olio su tela – in apertura “Acqua e cielo”, 2013, olio, acrilico e tempere su tamburato

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