Rapimenti, la rubrica di Lol Von Stein: Jacques Brel.
Facciamo un gioco.
Dimentichiamo che due tra le più struggenti poesie d’amore mai composte appartengano al mondo dei suoni.
Dimentichiamoci che sono canzoni.
Procediamo per sottrazioni.
Spogliamole dei ritornelli.
Poi, dato che questa è una rivista, leggiamole.
E dopo averle lette, – ricordiamoci tutto di nuovo.
Gli chansonniers non sono poeti. Se capita che scrivano versi poi li devono imbrigliare nelle regole della musica e perdono l’autonomia del verso libero. Così parlò Jacques Brel, più o meno.
Cantante, compositore, attore, regista.
Guitto – animale da palco.
Bocca grande e occhi brillanti.
Il gusto per lo sberleffo e l’anarchia.
Le sue interpretazioni erano provocazioni emozionali.
Il pubblico si innamorava – piangeva – si esaltava – si lasciava travolgere.
Nato belga e poi francese per sempre. Una nazione intera lo adorava.
Appartenuto ad una generazione morta troppo presto.
Quando si scopre malato si prende il lusso della fuga.
Comincia a veleggiare intorno al mondo, insieme alla sua amante ballerina.
Poi trova la Polinesia e sceglie di restare.
E’ lì, ancora oggi.
Sepolto accanto a Gauguin.
Ne me quitte pas
Non mi lasciare
Bisogna dimenticare
tutto si può dimenticare
è già passato
Dimenticare il tempo dei malintesi
e il tempo perduto
a domandarsi come
Dimenticare quelle ore
che talvolta uccidevano
il cuore della felicità
a colpi di perché
Non mi lasciare
Io ti offrirò
perle di pioggia
venute da paesi
dove non piove mai
Scaverò la terra
fino alla morte
per ricoprire il tuo corpo d’oro
e di luce
Creerò un regno
dove l’amore sarà re
dove l’amore sarà legge
dove tu sarai regina
Non mi lasciare
Per te inventerò
parole senza senso
che tu sola capirai
Ti parlerò di quegli amanti
che hanno visto per due volte
i loro cuori prendere fuoco
Ti racconterò di quel re
morto per non averti potuta incontrare
Non lasciarmi
Si è visto spesso
ravvivarsi il fuoco
di un vulcano antico
che si credeva spento
Pare esistano
terre bruciate
che danno più grano
del migliore degli aprili
E quando viene sera
perché il cielo fiammeggi
il rosso e il nero
forse non si sposano?
Non mi lasciare
Non piangerò più
non parlerò più
mi nasconderò
ti ascolterò cantare
e ridere
Lasciami diventare
l’ombra della tua ombra
l’ombra della tua mano
l’ombra del tuo cane
Non mi lasciare
Chanson des vieux amants
Certo, ci sono state burrasche
vent’anni d’amore, è l’amore folle
Mille volte hai fatto i bagagli
mille volte ho preso il volo
E ogni mobile si ricorda
in questa stanza senza culla
i lampi delle vecchie tempeste
più nulla assomigliava a nulla
tu avevi perso il gusto dell’acqua
e io quello della conquista
Io, conosco tutti i tuoi sortilegi
tu conosci tutti i miei incantesimi
mi hai trattenuto
una trappola dopo l’altra
ti ho perduta
di tanto in tanto
Certo, hai avuto degli amanti
bisognava pur passare il tempo
bisogna pur che il corpo esulti
dopo tutto
ci è voluto del talento
per esser diventati vecchi
senza diventare adulti
E più il tempo ci accompagna
più il tempo ci tormenta
ma non è la trappola peggiore
per degli amanti
vivere in pace
Certo, ti metti a piangere un po’ meno presto
io mi lacero un po’ più tardi
proteggiamo meno i nostri misteri
si lascia meno fare al caso
non ci fidiamo più della corrente
ma è sempre la stessa tenera guerra
Cara amica
perchè ogni numero mi giochi questi scherzi mancini ?
Perchè mi costringi a rituffarmi in quel passato così vicino così lontano ?
Ma senza musica, senza la voce, senza le sigarette, senza le bottiglie di Vecchia Romagna etichetta nera, senza gli amici di allora, senza la politica, senza quelle ragazze nate dopo il ’48
come si fa ad ascoltare oggi Brel, come si fa ?
Ecco perchè si finisce col diventare ” vecchi che guidano contro mano “, ecco.
Beh, grazie in ogni caso.
Luigi, avevo 20 anni: ascoltavo Brel. E non solo. Avevo (ho) una grande stima, una grande passione per Brel. Per quello che faceva, sì, ma soprattutto per come lo faceva. Avevo 20 anni e i miei coetanei mi guardavano come fossi un pazzo. Il vero artista, quello che sapeva fondere recitazione, musica e parole era lui. Non altri. Alcuni coetanei, gli intellettuali, ascoltavano (ancora!) Gaber. Consideravo Gaber un insulto a Brel. Ancora oggi lo penso. La capacità di Brel di riassumere il proprio tempo in recitazione musicale non è stata più di nessuno. E non solo. Qui leggiamo testi di due splendide canzoni (specialmente Les vieux amants) ma non si può dimenticare che Brel fu soprattutto autore di denuncia, civile, ma con uno spirito assolutamente irripetibile. Basti ascoltare “Les Bonbons” e “Les bonbons ’67”. Per non parlare di “Les bourgeois”. E “Les singes”? Figlio della ricca borghesia di Bruxelles, mollò la facile eredità dell’azienda di famiglia e visse per anni a sandwich al formaggio, dormendo nelle palestre, quando gli andava bene, a Parigi. E la malattia? Scriveva in una canzone: “Morire, è niente… Ma invecchiare, invecchiare”… Non ha avuto il tempo di invecchiare. E come non piangere (e dico piangere) ascoltando “La ville s’endormait…” e “Ces gens là”? Non solo dei capolavori di musica-recitazione, ma anche di poesia. Non solo lo si può ascoltare, ma si dovrebbe farlo. Perché anche in altri si accenda una lucina che dicesse: cosa significa essere un artista?