Rapimenti: Disorder di L.V. Stein

La rubrica di L.V. Stein: rapimenti. Disorder

              

Questa poesia – da subito – l’ho amata per la sua fine. Che è la frase d’amore più bella che abbia mai letto.

Poi per il suo inizio – un’invocazione – d’amore ancora.

Poi, come fosse una terra ignota, mi sono attardata ad esplorarla. Come si fa con il corpo dell’amante. E a volte mi sono persa. Perché questa non è una poesia docile. Non sta ferma. Si fatica ad acchiapparla. Ostica e leggera allo stesso tempo, allegra e greve. E un tantino snob.

Così, tra quei meravigliosi versi d’apertura e quelli insuperabili della fine, tra le parentesi – gli inserti in francese – ho indovinato un viaggio – da giovani – la Francia – da nord a sud – la fine dell’estate – una coppia – la compagnia colta – i giochi – le intimità – un amore – un tradimento forse.

Controcorrente. Quando penso all’avanguardia – qualunque cosa voglia dire – penso a questa poesia. Alla rivoluzione dei suoi versi. Al suo bisogno di osare, di sperimentare.

La metrica anarchica, il ritmo sincopato del parlato. Quel modo che hanno i pensieri di attraversare le nostre frasi creando periodi monchi, rimandi, pause, – che se potessimo riascoltare i nostri discorsi a volte ci parrebbe di sentir parlare un matto.

Una poesia di 50 anni fa che sembra scritta oggi. Anzi – sembra scritta domani – o dopodomani. In un tempo che ancora non esiste. Che ancora deve arrivare. Che forse non arriverà mai.

Per leggerla – per amarla – bisogna viaggiare leggeri – abbandonare i sentieri segnati – accettare strade sconosciute – abbracciare l’ignoto.

Il suo autore sosteneva la necessità – per la poesia – di rifiutare i modelli. Di tornare al disordine.

Appunto.

MAN RAY DONA               

            

Oh, dove (sulla spiaggia? dove?); (place-scene, plage-plage); dove cercarti,

adesso?

            (avec “les deux Françoises”, per esempio); e in angoscia, anche?

e discutere, anche, intorno al «premier pas» (timidamente, il 10 settembre),

(a Donville); e attendere, così, l’autunno;

                                                                 o con monsieur Bens, nell’alta (e poi,

giù!) stanza delle ragazze:

                                            (aux écuries, tra le gigantesche zanzare, leggendo

Memmi, conversando con Lapassade, il mostruoso sociologo); analizzando

madame Garache e madame Toussaint; o a Grandville , quel venerdì,

uscendo dal Casino, e procedendo sur les remparts, contro vento (e tutto

sudato, perché si ballava, anche, Pepito); e in solitudine, anche, in vera

solitudine…

                      ma Mocky, tornando da St Lô, si aggiustava i capelli sulla fronte

(abbiamo bevuto, anche, con Alain Born, di Montélimar, Drôme);

                                                                                                      (ma non volle,

la sera, giocare aux Ambassadeurs): poi tutti dormirono, in macchina,

sulla strada di Parigi, nell’alta (e poi, giù!) notte

(nell’alta nebbia):

                          e poi, stringermi a te (il 19 settembre), nell’alto sogno

(e poi, giu!), amore!

Philippe (disse),

                          J’ai SOIF!:

attraverso Hebecrevon, Lessay, Portbail, St Sauver (sotto la pioggia,

sempre); poi Edith disse che non ero gentile (perché non scrivevo, come Pierre,

per lei, quelques poèmes); (e che non dovevamo partire);

                                                                                            Micheline

ci giudicò molto semplici; e Edith e Micheline, quando io dissi che non l’avevo

tradita (mia moglie), vollero crederlo;

                                                            (e qui cade opportuno ricordare quel:

«se ti buttassi le braccia al collo ecc.», che venne poi);

                                                                                       poi si ballò tutti, anche

Micha, nel salottino, attraverso Cerisy, Camisy, Coutances, Regnéville; (ma il 12

luglio era chiuso il Louvre, martedì);

                                                          e scrisse (sopra un foglio a quadretti):

“pensavo che non posso guardarti in faccia”; e: “mi dispiace per te”;

e ancora scrisse (mia moglie): «sto male»;

                                                                   e poi a Gap (H. A.),

(due giorni più tardi), storditi ancora, quasi inerti: e pensare (dissi);

che noi (quasi piangendo, dissi); (e volevo dire, ma quasi mi soffocava,

davvero, il pianto; volevo dire: con un amore come questo, noi):

un giorno (noi); (e nella piazza strepitava la banda; e la stanza era

in un strana penombra);

                                      (noi) dobbiamo morire:

                               

Edoardo Sanguineti

                        

MAN RAY the-kiss-1935

2 thoughts on “Rapimenti: Disorder di L.V. Stein”

  1. desidero fare un complimento alla decisione di scegliere questa poesia che apre spazi alla fantasia del lettore, ma anche alla scelta
    di accompagnarla con le foto di Man Ray che sono quanto di meglio ci sua per esprimere ciò che Sanguineti ha scritto.

    grazie a tutte 2

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