Questa rubrica è un invito alla lettura – o alla rilettura, che, a suo modo, è anche una lettura per la prima volta – e passa attraverso i miei personali innamoramenti, le mie commozioni, i rapimenti.
Gioco a fare l’ambiziosa. Comincio dal mito. Dal capolavoro. Troppo facile. O difficilissimo.
Vecchio, vecchissimo amore. Cotta da adolescente – immutata – immutabile – amore sezionato, fatto a pezzi, “La pioggia nel pineto” di D’Annunzio è stato un colpo di fulmine.
Perché fin da subito, li ho visti, gli amanti. E li vedo.
Giovani, ma non giovanissimi. Allacciati l’uno all’altro.
Lei in silenzio. Perché lui le dice di tacere. E lo fa con un soffio di voce – il respiro corto – eccitato – perché sopra tutto è quel suono.
E’ estate. La pineta è in riva al mare.
E’ estate, ovviamente.
Solo d’estate, sotto la pioggia, esplodono i sensi.
Solo d’estate la pioggia può essere poesia e non fastidio.
Gli amanti è lì che si trovano, quando li sorprende la pioggia.
Prima forse avranno corso per cercare di fuggire poi lui l’avrà fermata. Si sarà fermato.
Così, invece di scappare, saranno rimasti. Ipnotizzati dal suono. Abbracciati. E piano piano la pioggia avrà inzuppato loro i vestiti e i pensieri.
“La pioggia nel pineto” è una canzone. E’ un rap aulico. Un rap sinfonico.
La magia dei versi sciolti, fradicia di sensualità.
E’ l’invenzione della musica in poesia. Dei suoni che si fanno scrittura. Della scrittura che si fa suono.
Danzano, i versi liberi e liberati, su di una partitura melodica di una modernità disarmante, pur nella classicità delle parole.
Ma non è solo ritmo. E’ anche visione puntuale e perfetta di ciò che il suono produce su ogni essere vivente, vegetale e animale. Un magnifico videoclip d’autore, dove – i critici insegnano – si rappresenta il connubio con la natura, lo sposalizio con ogni particella di quella pineta. Il panteismo, ma cantato, con voci di una vitalità estrema.
E – sopra tutto – una meravigliosa poesia d’amore.
(D’altra parte, che si trattasse di rock, l’hanno capito anche Vasco, Sally – senti come piove – senti che bel rumore e Jovanotti, Piove – guarda come piove – madonna come piove – guarda come viene giù).
Buona lettura. E alla prossima.
l. v. stein
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La pioggia nel pineto
(Gabriele D’Annunzio)
Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove su i pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
t’illuse, che oggi m’illude,
o Ermione.
Odi? La pioggia cade
su la solitaria
verdura
con un crepitìo che dura
e varia nell’aria
secondo le fronde più rade,
men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
né il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancóra, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
E immersi
noi siam nello spirto
silvestre,
d’arborea vita viventi;
e il tuo volto ebro
è molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.
Ascolta, ascolta. L’accordo
delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce
più roco
che di laggiù sale,
dall’umida ombra remota.
Più sordo e più fioco
s’allenta, si spegne.
Sola una nota
ancor trema, si spegne,
risorge, trema, si spegne.
Non s’ode voce del mare.
Or s’ode su tutta la fronda
crosciare
l’argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta.
Ascolta.
La figlia dell’aria
è muta; ma la figlia
del limo lontana,
la rana,
canta nell’ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione.
Piove su le tue ciglia nere
sì che par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pèsca
intatta,
tra le pàlpebre gli occhi
son come polle tra l’erbe,
i denti negli alvèoli
son come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
(e il verde vigor rude
ci allaccia i mallèoli
c’intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri volti silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude novella,
su la favola bella
che ieri
m’illuse, che oggi t’illude,
o Ermione.
grazie molte per questa lettura, ho sempre amato La pioggia nel pineto, e anchio l’ho intesa nel senso descritto dall’autrice del commento. Mi piace l’accompagnare i versi con una propria personale visione che si discosta dalle critiche troppo tecniche e a volte incomprensibili che ne fanno i critici; la poesia dovrebbe essere stimolata attraverso questi interventi semplici e accessibili, i discorsi troppo complicati allontanano dalla poesia e non aiutano ad amarla, esattamente come fa la scuola, che ce la mette proprio tutta per non far amare la poesia, e mi sono sempre chiesto perché, forse la spiegazione sta nel fatto che anche chi insegna letteratura non ama realmente la poesia, la considera un oggetto estraneo di cui diffidare
Grazie molte a te! Hai colto perfettamente lo spirito della rubrica e di ciò che ho scritto. A presto, spero! L.V.Stein